Quello che i librai non dicono

La prima volta che ho messo piede in una libreria Feltrinelli

Illustrazione di Gaetano Di Riso, 2021

Illustrazione di Gaetano Di Riso, 2021

Scrupoloso, sondava lo scaffale delle guide turistiche. 

Nel cercare aiuto, alzò la guida del Nepal in modo che la libraia potesse vederla e domandò: “scusami, la guida di Napoli, solo in inglese?”

Sono Francesco e lavoro in una libreria Feltrinelli. 

Nei momenti di calma, spesso mi capita di guardare, attraverso la vetrina del negozio, il flusso di persone che scorre lenta davanti la libreria. Qualcuno getta un’occhiata distratta, altri tirano dritto senza nemmeno accorgersi della nostra esistenza. “Come si fa a non voler entrare?”, penso.  

Mi capita, certe volte, di provare a ricordare la prima volta che ho messo piede in una libreria Feltrinelli. 

Qualche lontano ricordo viene fuori, ma è davvero la prima?

Il cervello dovrebbe avere più cura dei ricordi delle prime volte, non dovrebbe mischiarli con roba simile. E sarà che sono figlio dei cartoni animati degli anni ’90, ma immagino tutto quello che avviene dentro il mio corpo (e nella mia testa) come in un episodio di “Esplorando il corpo umano”.

Molte persone, tutte somiglianti tra loro, sono sedute in piccole scrivanie ben ordinate in una grande stanza. Tutte le postazioni hanno obsoleti calcolatori a transistor, e i dipendenti, oberati di lavoro, sudano premendo tasti colorati e stipando fogli nei cassetti.

Un vecchio con una lunga barba bianca è seduto al centro della stanza, controlla il tutto. Sembra essere il capo.

Dai tunnel che circondano il perimetro dello stanzone entrano ed escono i messaggeri, minuscoli omini con la fascia da jogging che corrono con dei fogli arrotolati come pergamene tra le mani. 

Uno di loro si rivolge a un impiegato.

- C’è un ricordo da archiviare!

- Che ricordo? Risponde distratto l’impiegato. 

- È la prima volta che mette piede in una libreria Feltrinelli, potrebbe servirgli tra qualche anno.  

- Lascialo qui, dopo lo sistemo.

Inutile dirvi che dopo poco ne arriva un altro con un nuovo ricordo, e così via. I ricordi si mischiano e io qui a pensare che quel vecchio dovrebbe controllare meglio i suoi dipendenti, che non sta facendo bene il suo lavoro, che è un altro legato alla poltrona e che come al solito non si dà spazio ai giovani. Sto pensando che è meglio che quel vecchio se ne vada in pensione e che passi il resto della sua vita a guardare e commentare, con le mani dietro la schiena, i lavori delle piastrine sui cantieri delle ferite da taglio.

Sì, sto proprio pensando a tutto questo. Pensiero che probabilmente quel vecchio sta leggendo, visto che è il capo della sala comandi del mio cervello, ed eccomi qui a fare una figuraccia in una puntata di “Esplorando il corpo umano”. 

Forse dovrei solo prestare più attenzione alla vita che mi accade.

Me lo ripeto per fissarmelo bene in testa: devo prestare più attenzione alla vita che mi accade. 

(“Come ha detto che si chiama?”, chiedo alla cliente che sta ordinando un libro). 

Ecco appunto, più attenzione.

La verità è che mi distraggo facilmente e, ve ne dico un’altra, non sono bravo con i titoli. 

Non me la ricordo la prima volta che sono entrato in una libreria Feltrinelli, e non so perché ho titolato così questo racconto, però mi ricordo di quando ho provato a far sorridere una libraia, domandandole: “scusami, la guida di Napoli solo in inglese?” 

Lei rise, e rise anche quando, dopo aver pagato, le dissi: “trovo molto irrispettoso che qualcuno abbia fatto l’orecchio al libro di Van Gogh”. 

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