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Festa dei Lavoratori: un momento di riflessione

Illustrazione di Costanza Lusini, 2022, studentessa del Triennio in Media Design e Arti Multimediali, NABA, Nuova Accademia di Belle Arti

Illustrazione di Costanza Lusini, 2022, studentessa del Triennio in Media Design e Arti Multimediali, NABA, Nuova Accademia di Belle Arti

L'Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro

Art.1 della Costituzione italiana

Il Primo maggio si celebra la Festa dei Lavoratori, istituita per ricordare le lotte operaie combattute a partire dalla seconda metà del 1800 per il riconoscimento dei diritti sul posto di lavoro, in particolare per la riduzione della giornata lavorativa a otto ore.

Un giorno di non-lavoro e di riposo, quindi, in cui dedicarsi alla famiglia, fare una scampagnata fuori porta con gli amici, o in cui scendere in piazza per ricordare il valore del lavoro e per proseguire la propria protesta sulla scia di chi ci ha preceduto. Tutt’al più, una giornata di musica in cui godersi il concertone del Primo Maggio in diretta da Roma che tornerà a trasmettere da Piazza San Giovanni in Laterano.

Ma in questa era in cui, grazie alle innovazioni tecnologiche e alla “svendita” della nostra vita privata alla rete e ai social media, ci ritroviamo sempre più iper-connessi, la distinzione tra il tempo dedicato al lavoro e quello dedicato al resto delle nostre vite, è sempre più labile. Quel lavoro, che le lotte operaie e sindacali avevano saputo circoscrivere entro regole e confini per lo più chiari, sembra essersi svincolato e aver intrapreso un percorso di costante e inesorabile conquista dei nostri spazi e delle nostre esistenze.

Fa parte della natura stessa della tecnologia la possibilità di non fermarsi mai, di non aver bisogno di riposo, di riflessione, di tempo da dedicare ad altro che non sia la produttività e, al suo lato opposto, il consumismo. Così, grazie ad essa, si è potuto parcellizzare il lavoro, portarlo in spazi diversi, esternalizzarlo, renderlo “flessibile”, sfruttando una rete di connessioni che ha allungato all’infinito la catena di montaggio ottocentesca e sta impedendo sempre di più ai lavoratori di liberarsi dalla fatica che il lavoro comporta.

Questa tendenza, a cui assistiamo ormai da alcuni anni, ha avuto un booster notevole durante la pandemia. Lo smart working a cui milioni di lavoratori sono stati indirizzati negli ultimi due anni ha avuto successo, è piaciuto alla maggioranza di coloro che ne hanno usufruito e molti non vorrebbero tornare ai ritmi precedenti, trovando difficile rinunciare alla possibilità di organizzare in modo più efficace lavoro e vita personale. Ma per essere “smart” il lavoro ha bisogno di più che un PC, una connessione veloce e Zoom o Teams. Questo probabilmente è il percorso da seguire, ma va supportato da giuste valutazioni e una regolamentazione chiara per il diritto alla disconnessione: quella libertà di spegnere PC, cellulari, smart watch o chissà cos'altro una volta terminato il proprio orario di lavoro, così da evitare che vita privata e professionale si mescolino senza, tuttavia, che questo penalizzi in alcun modo il rapporto con i propri datori di lavoro.

Ma il mondo del lavoro è cambiato anche sotto altri aspetti. La natura stessa del lavoro sembra essere passata da “diritto” a “merce”, possibilmente a basso costo. Se “pretendere” uno stipendio per il proprio lavoro o del tempo libero a fronte di un monte ore lavorate sta iniziando ad essere visto come un sintomo di poca voglia di fare e di imparare, non c’è da stupirsi che ci sia sempre più demotivazione in giro. I giovani di oggi, spesso molto preparati, stentano a inserirsi in modo soddisfacente nel mondo del lavoro. E per “soddisfacente” intendiamo con un contratto, anche a tempo determinato o di apprendistato, e con uno stipendio.
Dove si situa esattamente il limite tra investire sul proprio futuro e lo sfruttamento della manodopera e competenza giovanile? Quando un lavoro non pagato, che già non potrebbe essere definito lavoro, è diventato un'opportunità? Che si debba fare sacrifici, rimboccarsi le maniche e partire dal basso per costruirsi una professionalità e una carriera, è sacrosanto. Ma la tendenza sembra quella di trasformare la famosa "gavetta" in un tour de force infinito.

Che poi ci sia, tra i giovani, anche chi stenta a comprendere il valore e il senso del lavoro, è senz'altro vero. Ma qui torniamo al mondo iper-connesso di cui parlavamo più sopra e ai modelli che TV e social media sbandierano ventiquattr'ore al giorno, contrapponendo a carriere grigie, lente e scarsamente allettanti, vite dorate e interessanti a fronte di lavori cool e molto ben pagati. E non ci riferiamo solo ai classici calciatori, attori o modelle, ma a tutti quei lavori estremamente accattivanti e velati di un'aura quasi magica come i web influencer, i blogger, gli youtuber, i gamer professionisti e così via. 
Purtroppo il rovescio della medaglia di questo edonismo 2.0 è la voragine di precariato in cui i ragazzi stanno consumando le loro vite, tra stage, lavori occasionali e sogni che restano nel cassetto o che cercano di realizzare con i soldi (spesso anch’essi troppo pochi) di mamma e papà.

Quindi proviamo ad utilizzare la Festa dei Lavoratori come occasione per ripensare a come è cambiato il lavoro e cerchiamo di restituirgli la dignità che dovrebbe avere. Così che si torni a riscoprirne il valore, anche sociale, e di realizzazione personale, pur senza lasciargli il controllo della nostra esistenza. 

Il lavoro allontana da noi tre grandi mali: la noia, il vizio e il bisogno.

Voltaire

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