Il logo richiama la F di Fellini e la M di Museum ma quel che viene fuori è FM, con una prospettiva che ricorda la sigla delle onde radio. Un’idea molto forte, che non solo richiama l’apprendistato radiofonico di Fellini – molto importante per il suo cinema successivo – ma anche l’idea che il nuovo Museo, appena inaugurato a Rimini, resti sintonizzato sul presente e continui a trasmettere l’eredità del Maestro.
Era sorprendente che ancora negli anni Duemila in Italia non esistesse un equivalente del Museo Picasso o del Museo Magritte o del Museo Simenon, per citare tre artisti in qualche modo connessi con la visione di Fellini. La città natale dell’autore ha posto rimedio, grazie a un progetto che ha vinto dapprima un bando internazionale molto competitivo, poi si è affacciato con una prima affollatissima mostra e infine ha scoperto le carte trasformando letteralmente il centro della città, ora completamente fellinizzato.
Dall’idea di Marco Bertozzi e Anna Villari, Rimini si aspetta ora dal Fellini Museum lo stesso effetto che il Guggenheim ha avuto per Bilbao. L’idea di riqualificare il paesaggio urbano parte dal quattrocentesco Castel Sismondo e da Piazza Malatesta, che diviene un grande spazio verde, con un’arena all’aperto, una grande vasca d’acqua vaporizzata e al centro un cerchio che allude al circo felliniano.
Il Fellini Museum, come si suol dire oggi, è diffuso. La gran parte del percorso espositivo classico è dentro la rocca rinascimentale. In questo caso i curatori hanno deciso di non optare per un viaggio didattico bensì di privilegiare un’immersione polisensoriale nell’universo felliniano, sempre però rispettando l’idea di documenti e ricerca che ogni Museo che si rispetti deve comprendere. Quindi siamo lontani dai “musei-experience” che hanno di recente permesso alcuni discutibilissime incursioni nell’arte dei maestri, ma al tempo stesso non si vuole escludere – e come si farebbe? – un elemento ludico (una Anitona gigante e spiaggiata da abbracciare fisicamente, dei pannelli che oscillano come vele sopra la nostra testa, delle interazioni digitali con le altre arti evocate dal più multidisciplinare dei registi, oltre che altre innumerevoli installazioni – nicchie a scomparsa, proiezioni a sorpresa, spazi sonori – che uniscono Fellini al paesaggio culturale italiano).
Il rapporto con il castello distingue il Fellini Museum da ogni altro e permette di sentirsi nelle “segrete” di un cervello artistico al tempo stesso traboccante di vita e un pochino lugubre (per l’atmosfera talvolta severa e scura delle stanze, che però ci ricordano quanto Fellini non fosse tutto vitalismo e marcette, ma anche presagio, inquietudine, dialogo infaticabile con la Morte). Tattile, audiovisivo, spiazzante e intrigante, il Museo può evocare tanti sentimenti diversi.
Oltre al castello, e ai suoi spazi giocosi antistanti, il Museo si dispone ancora all’aperto (il delizioso rinoceronte di E la nave va se ne sta riprodotto e serafico a presidiare una piazzetta vicina) e raggiunge inevitabilmente il cinema Fulgor (recentemente riallestito con le scenografie progettate da Dante Ferretti) dove Fellini vedeva i film da bambino e da lui celebrato in Amarcord. Il resto verrà da sé, i visitatori dovranno fellinizzarsi un po’ e il Museo aprirsi al mondo di curiosi che ne recheranno impressioni e reazioni nuove.
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