La premiazione della 75esima edizione del Festival di Cannes è stata un esempio di mediazione culturale. Molte le riconferme, a cominciare dalla Palma d’oro a Ruben Östlund, che aveva già conquistato lo stesso premio nel 2017 con The Square, per Triangle of Sadness, che quanto a tono satirico-grottesco e al tema dello scontro fra super ricchi e servitù ha ricordato a molti Parasite, Palma d’oro nel 2019; o il Premio del 75esimo anniversario coniato appositamente per i fratelli Dardenne e il loro Tori et Lokita, storia di due giovani immigrati africani in Belgio.
Il Belgio si è aggiudicato altri due premi: quello della Giuria a Le otto montagne, diretto dalla coppia Felix Van Groeningen & Charlotte Vandermeersch, e il Gran Premio speciale della giuria a Close di Lukas Dhont, riuscendo così a coprire tutte le generazioni, dai veterani ai 40enni ai millennial come Dhont, che a 31 anni è già al suo secondo premio a Cannes, avendo vinto la sezione Un Certain Regard con il film d’esordio, Girl, nel 2018.
Sia Le otto montagne che Close sono stati ex aequo, l’uno con EO di Jerzy Skolimowski, l’altro con Stars at Noon di Claire Denis: il che la dice lunga su come si siano moltiplicati i premi in un tentativo di accontentare i gusti di una giuria di nove componenti provenienti da otto Paesi diversi (doppiava la Francia grazie alla presenza del regista Ladj Ly e del presidente, l’attore Vincent Lindon), e paritaria in termini di genere. Il che forse chiarisce meglio il senso di alcuni riconoscimenti come quello a Denis, il cui film non aveva entusiasmato nessuno, ma forniva la possibilità di premiare un film francese sui tre in gara (gli altri erano Frère et Soeur di Arnaud Desplechin e Les Amandiers di Valeria Bruni Tedeschi) e una regista (le altre erano appunto Bruni Tedeschi e Kelly Reichardt con Showing Up).
A trionfare, oltre al Belgio, sono state Svezia e Corea del Sud, l’una con la Palma d’oro a Östlund e il premio per la sceneggiatura di Boy from Heaven a Tarik Saleh, di origine egiziana ma cittadino svedese, l’altra con il premio alla miglior regia a Park Chan-wook per Decision to Leave e quello per il miglior attore a Song Kang-ho, protagonista di Broker del regista giapponese Kore’eda Hirokazu, nonché attore feticcio di Park Chan-wook e di Bong Joon-ho, che l’ha voluto in Parasite.
Anche l’Italia, nonostante la delusione per i mancati riconoscimenti a Mario Martone e a Pierfrancesco Favino per il magnifico Nostalgia, ha avuto le sue soddisfazioni: Le otto montagne, coprodotto da Wildside e basato sul romanzo di Paolo Cognetti, è stato girato in Val d’Aosta e vede protagonisti Luca Marinelli e Alessandro Borghi; EO, coprodotto da Alien Films, vanta asinelli sardi e laziali (ringraziati uno ad uno per nome da Skolimowski) nel ruolo centrale; Östlund ha dichiarato di essersi ispirato a Lina Wertmüller e Tarik Saleh a Umberto Eco; e i protagonisti di Tori e Lokita cantano Alla fiera dell’est di Branduardi.
È interessante rilevare, a partire dalle coproduzioni citate, l’impollinazione incrociata fra i film premiati: il francese Stars at Noon è girato in Nicaragua e il giapponese Broker in Corea; Boy from Heaven, ambientato in Egitto, è stato filmato in Turchia con un cast arabo di variegata provenienza e Holy Spider del regista iraniano Ali Abbasi, per cui ha vinto il premio come miglior attrice l’espatriata in Francia Zar Amir Ebrahimi, non è realmente ambientato a Mashad ma in Giordania – entrambi per evitare interferenze e censure.
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