È possibile l’amore così come io lo concepisco? Non è una pazzia pensare che la calma e la ripetizione bastino a tenere unita una coppia? [...] I miei valori sono obsoleti. Vivevo rinchiuso in un guscio protettivo come una lumaca e quel guscio ora non mi protegge più. Ma è proprio necessario affrontare la vita in modo così brutale? Arrivare a prostituirmi? Prendere del denaro per andare a letto con le donne?
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Sono uomini, sono donne. Galleggiano, sopravvivono, reagiscono e affondano. Sono uomini, sono donne in un tempo stretto e veloce, il tempo attuale – quello della Spagna contemporanea – che li consuma e li tortura, li illude e li spoglia nel modo più inaspettato, nel modo più volgare.
Sono uomini, sono donne, e sono tutti nudi davanti a quest’epoca crudele, protagonisti e vittime di una commedia umana che ghigna compiaciuta dei suoi stessi attori.
Sono un coro di voci bianche: pensano, riflettono sull’abbandono del marito, sulla perdita del lavoro, sul tempo che avanza e non lascia salvezza; pensano e si abbattono, stanno a guardare inermi i loro sogni schiacciati da gomme bruciate sull’asfalto. Pensano e si illudono che, forse, la loro vita non è da buttare nell’organico, annaspano, si tengono a galla in un Paese che non ha posto per chi cade poco al di fuori della società.
E poi sono uomini e donne in guerra, una sanguinaria guerra dei sessi mai pronunciata, mai propagandata, che striscia silente sotto la pelle dei personaggi.
C’è lei, Irene, nel suo tailleur Armani, sobrio, dritto, mascolino. Un abito che veste perfettamente la sua anima, volto di pietra, sguardo irremovibile. Irene possiede un’azienda che ha ereditato dal padre – unico uomo degno di essere amato, nella sua vita – un conto in banca vertiginoso e un matrimonio fallito alle spalle. Che si sia sposata per convenienza o per noia, il matrimonio aveva rappresentato l’ultimo tassello del bon ton per poter partecipare alle cene del circolo. Quando il marito la lascia per una donna molto più giovane, a Irene altro non resta che un vertiginoso senso di apatia: non soffre, non si dispera, non ha mai amato e non incomincerà a farlo ora. La crisi si sta mangiando la sua azienda, è una donna sola, affossata nel torpore della sua età, priva di stimoli e di emozioni e compatita dai sorrisi ebeti dei suoi amici sposati, felicemente repressi e felicemente tediosi. Stanca di essere una single commiserata dalle ipocrisie di convenienza, stanca delle false offerte di sostegno morale, Irene tira dentro la sua commedia umana Genoveva, amante del bisturi, della libertà sessuale e individuale, che abbandona il marito per inseguire un turgido insegnante di palestra. Irene e Genoveva scappano dalle convenzioni della loro classe sociale, che le vuole donne composte e profumate di talco, per reagire al malessere delle loro vite imbastite. O per portarlo all’estremo.
Tamara de Lempicka, Portrait of the Duchess of La Salle, 1925.
C’è lui, Javier, giovane insegnante di letteratura e vittima di una crisi che si accanisce soprattutto contro il ceto medio. Javier è “il quasi bravo ragazzo”, mite e dormiente rispetto ai moti dell’animo, quasi sempre asettico di fronte ai sentimenti. Anche quando perderà il lavoro, la sua lenta discesa verso l’abiezione è quasi impercettibile mentre, affranto da un pietoso maschilismo, scopre di non essere aperto a un regime di parità sessuale: la sua fidanzata è l’unica che porta il pane in casa, e Javier si vergogna, si sente come «una vecchia pensionata».
Nella sua, di commedia umana, Javier trascinerà invece Iván, lo scapestrato spogliarellista, libero da buone maniere e rustico nelle sue frasi fatte di arroganza popolare. Grazie a Iván, bello e sfacciato, dai dubbi valori morali e cresciuto per strada, Javier rovescerà completamente quelle che sono le sue flebili certezze, portando alla luce sordide attitudini dormienti.
Questi quattro personaggi s’incroceranno inevitabilmente per scendere giù, insieme, in quell’abisso di abbandono dove le loro classi di appartenenza li condurranno indistintamente. S’incroceranno e si azzanneranno con le loro fauci fameliche, scendendo sempre più in basso in una storia che scivola nel limo umano.
Sono donne, sono uomini che restano nudi quando i loro corpi, affamati e avvinghiati, si contendono il possesso dell’estremo, là dove l’appagamento personale non è arrivato, là dove l’insoddisfazione sarà placata dalla tragedia.
Alicia Giménez Bartlett si aggira in un mondo apparentemente irrequieto e infelice per condurre i suoi lettori sotto il tappeto, dove sa accumulare sapientemente la sporcizia. Dove i ruoli si rovesciano, tra prostituzione maschile e sfrontatezza femminile, i suoi personaggi smarriti e avvelenati dai sogni che li hanno abbandonati, finiranno con l’immergersi nella più fangosa delle discese personali.
Maestra nel raccontare “le bestie umane”, la Bartlett disegna i suoi personaggi intorno a monologhi interiori che si alternano, esasperanti, in flussi di coscienza che galleggiano come iceberg nella melma delle sconfitte. Sono personaggi che portano con sé un carico psicologico ricco e complesso che ci permette di scoprire, pagina dopo pagina, come sia per loro impossibile restare a galla, accompagnandoci verso una tragedia che si assapora lentamente. Una scrittura posata e lineare che ottiene giustizia attraverso i dialoghi e i monologhi indispensabili per intrecciare una trama sempre più folta. Alicia Giménez Bartlett osserva perfettamente la realtà che la circonda e la confeziona in una guerra tra i sessi, in una guerra tra gli esseri viventi che è il sintomo e il segno dei nostri tempi.
Recensione di Jessica Chia
Alicia Giménez Bartlett - Uomini nudi
440 pag., 16,00 € - Sellerio Editore Palermo (Il contesto)
ISBN 9788838934841
Irene è una quarantenne, proprietaria di un'impresa ereditata dal padre che dirige con impegno e soddisfazione. Improvvisamente lasciata dal marito, l'unica sua reazione è quella di licenziarlo dall'azienda di famiglia, consapevole che il loro legame era stato sin dall'inizio non d'amore ma di convenienza. Lei per adeguarsi alle convenzioni di fronte all'élite sociale che frequenta, lui per avere un lavoro. Javier è un professore di letteratura con poche ore di lezione in una scuola di suore. Licenziato per i tagli dovuti alla crisi, perde il piccolo stipendio che gli permetteva di vivere una vita normale, con l'aiuto della compagna Sandra che lavora a tempo pieno. Per Javier la disoccupazione comporta un cambiamento perentorio: dopo l'iniziale ricerca di un nuovo impiego, l'uomo sembra cadere in depressione, mettendo in difficoltà il suo rapporto sentimentale. Accanto a Irene e Javier ci sono Ivan, nome da Zar, sensibilità da bassifondi e humour brutale, e Genoveva, cinquantenne principessa della diversione, "donna senza legami". A poco a poco le vite dei personaggi, la moglie abbandonata e il professore destituito, la single anticonformista e il duro di periferia, entrano in contatto e in progressiva, irresistibile collisione. A far da tramite c'è il mondo degli strip-tease al maschile, messa in scena appariscente e provocante per un pubblico di sole donne, e la possibilità di un lavoro, di una strana professione, mai considerata prima.
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