Il mondo quantistico è governato dalla probabilità. È un luogo dove niente è come sembra.
Per concludere un libro – o una recensione, se è per questo – bisogna prima arrivare ad averne scritta la metà. Ma prima ancora di aver scritto mezzo libro, bisognerà averne scritta la quarta parte. Seguendo questa via, che si restringe ad ogni passo, cosa ci fa pensare che potremmo scrivere un quarto di libro prima di averne messo su carta un ottavo?
Per fortuna i libri si dividono in sedicesimi, almeno nella loro versione a stampa gutemberghiana, e ulteriore partizione non è data, avventi dell’ebook e altre apocalissi permettendo.
Noi sappiamo con certezza che quello che sfogliamo con le dita è un manufatto concluso in sé stesso, che reclama un suo spazio nel mondo, e sappiamo che quando avremo superato la metà delle pagine che lo compongono, saremo avviati ad una fisiologica conclusione di lettura.
Sarà stato un buon libro? Sarà stata una delusione?
Avvertiremo, chiusa l’ultima pagina, che la nostra temperatura corporea è salita o è scesa di un grado, in un accesso di quella febbricola che Raymond Carver pretendeva che un buon racconto sortisse nel lettore?
Mah. Zenone per fortuna non fa il recensore, categoria che peraltro abbonda di cinici (come Diogene, che confutò il paradosso) pronti a misurare la bontà del prodotto su cui sono tenuti, per contratto, ad esercitarsi.
Ma il libro di cui parliamo oggi merita attenzione: è una lettura per umanisti che vogliano dare un po’ di struttura alle allegorie, alle metafore con cui condiscono il proprio discorso, e riappropriarsi di un po’ di chiarezza.
E adamantina chiarezza è quella di cui è dotato Jim Al-Khalili, che squaderna nel corso di poco più di duecento pagine un bellissimo campionario di paradossi per illustrare attraverso “il lato ironico e imprevedibile della fisica” le leggi cui tutti andiamo soggetti, e che a tutti conviene conoscere.
Nove paradossi, nove rompicapo apparentemente insolubili che ci pongono davanti ai limiti del nostro modo di pensare la scienza, con un’ironia pari solo all’intelligenza di chi è riuscito a condensare i massimi sistemi nello spazio di una domanda.
Infatti, anche (e soprattutto) in ambito scientifico la domanda è spesso più importante della risposta che ad essa può essere data.
Così, ad esempio, il paradosso di Olbers, che ci prende per mano durante una seduta notturna di contemplazione delle stelle e ci invita a riflettere su di un semplice problema che può essere condensato nella più classica domanda che un bambino pone al suo papà: perché la notte è buia?
Non cadiamo nel tranello: la migliore risposta al quesito non è la prima che ci viene in mente, e il tentativo di dare una risposta soddisfacente alla domanda implica la conoscenza del paradigma astrofisico più complesso e recente che ci sia; ci sono di mezzo il big bang e il concetto stesso di infinito.
Ma – come già detto – si può pervenire alla soluzione di un dilemma sul quale si siano lambiccati autorevolissimi scienziati anche facendo ricorso all’immaginazione, solo che se ne abbia abbastanza, assieme ad una buona dose di coraggio.
E questo è il caso di Edgar Allan Poe, che nel 1848 diede alle stampe il suo Eureka: un poema in prosa, all’interno del quale si trovava un passaggio che – in anticipo di cent’anni sulla formulazione stessa del concetto di big bang – forniva una risposta sostanzialmente corretta a quella domanda antica come l’uomo.
Non c’è solo il big bang, naturalmente: il “diavoletto di Maxwell” servirà a chiarirci perché il secondo principio della termodinamica sia generalmente considerato il più importante, il cardine su cui si regge l’intero moderno paradigma scientifico.
Mentre il “gatto di Schrödinger” ci insegnerà come non sia blasfemo considerare l’eventualità di essere vivi e morti allo stesso tempo, condizione poco invidiabile nella quale il gatto permarrà fino a che non sia compiuta un’osservazione dall’esterno.
Se in questi paradossi, scelti fra i nove che dànno corpo e fiato ad una lettura godibile e istruttiva, vi hanno ricordato certa letteratura – da Philip K.Dick a Ray Bradbury, giusto per fare due nomi – è perché uno dei meriti della grande divulgazione è proprio questo collocarsi in una zona dove cultura umanistica e rigore scientifico non si escludono a vicenda, e anzi si tendono la mano, allargando i reciproci orizzonti e facendo così salire di un grado o due la temperatura misurata dal termometro del lettore.
Proprio come nei racconti di Carver.
Proprio come nel secondo principio della termodinamica.
Jim Al-Khalili - La fisica del diavolo
Tit.or. Paradox. The nine great enigmas in science. Trad. Laura Servidei
258 pag., 20 euro - Bollati Boringhieri
ISBN 9788833923123
03 ottobre 2012 | Di Matteo Baldi |
Jim Al-Khalili è un fisico teorico di grande talento comunicativo. Per lui i paradossi apparentemente insolubili sono un'ottima occasione per spiegare come funziona la scienza. Per questo ne ha scelti nove, tra più e meno noti, e sulla loro traccia ha costruito questo libro, divertente, stimolante, ironico e che ha la capacità di sconcertare con la semplice accumulazione di elementi imprevedibili. Insomma, un libro che non lascia riposare la mente. Si va dal classico paradosso di Achille e la tartaruga (del quale però scopriamo un insospettabile risvolto quantistico) alla più semplice domanda che l'uomo può farsi guardando la volta stellata: perché di notte fa buio? Sembra incredibile, ma dietro a questa domanda apparentemente banale si nasconde una delle più eclatanti scoperte della fisica contemporanea, che era lì, alla portata degli esseri umani fin dalla preistoria, ma che ha trovato una soluzione plausibile solo pochissimo tempo fa. Incontreremo anche l'inquietante diavoletto di Maxwell, il povero gatto di Schrödinger, che è contemporaneamente vivo e morto, lo strano caso degli oggetti che si accorciano viaggiando, quello ancor più strano del tempo che si dilata e si contrae a suo capriccio, per non dire del mistero (paradossale anch'esso, grazie a un'intuizione di Enrico Fermi) della vita extraterrestre. Sono i diabolici paradossi della fisica, che danno da pensare, ma alla fine hanno una soluzione insperata.
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