Giovanni Allevi
Giovanni Allevi ha dieci anni. In casa sua c'è un pianoforte ma lui non può toccarlo. Un giorno supera il divieto e incontra la musica. Da quel momento Giovanni Allevi ha la musica in testa. Un libro scritto con delicatezza: il pianista diviene per noi un personaggio e la sua storia piena di aneddoti curiosi un piccolo romanzo.
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""Non bisogna mai aver paura di rompere le regole, se è il nostro cuore a chiederlo. Mai temere di destabilizzare un sistema: è nella sua natura la necessità di cambiare. Ma soprattutto bisogna sempre trovare il coraggio di esporsi, di osare, di mettersi in gioco: è un dovere dell’artista!""
Il libro è scritto con delicatezza. Il protagonista è un giovane pianista. Sappiamo che ci sarà il lieto fine, perché conosciamo il successo di Giovanni Allevi. Eppure non possiamo che rimanere coinvolti dalla sua storia. Così finiamo per tifare per lui. In questo libro, Giovanni Allevi diviene per noi un personaggio e la sua storia piena di aneddoti curiosi un piccolo romanzo: questo è il nostro approccio alla sua autobiografia.
Il suo primo incontro con il pianoforte avviene all’età di dieci anni. Giovanni Allevi lo definisce “un appuntamento quotidiano con la trasgressione”. Il padre e la madre sono maestri elementari con un passato da musicisti, lui clarinettista, lei cantante lirica. In casa quindi non è difficile sentir parlare di musica, poter ascoltare dischi di classica. E naturalmente c’è un pianoforte. Un Bachstein. Il pianoforte però è riservato esclusivamente alla sorella maggiore di Giovanni. A lui è invece severamente vietato avvicinarsi allo strumento. La musica è una cosa seria, non un gioco. Un giorno però Giovanni trova in una piccola scatola una chiave d’argento. Con quella apre il pianoforte e scopre la tastiera di tasti neri e bianchi. È l’inizio della sua avventura nella musica. Ogni giorno per molti pomeriggi Giovanni incontrerà il pianoforte, in gran segreto, e imparerà a conoscerlo sempre meglio. Un inizio da bambino prodigio che da autodidatta scopre le prime nozioni musicali e impara a riconoscere a orecchio le note musicali che sente nei dischi. Giovanni è un bambino timido, che sta per conto suo, si sente brutto, non viene invitato alle feste. In compenso forse per sublimazione alla carente vita sociale riesce bene negli studi e naturalmente si dedica anima e corpo al pianoforte. Una passione che lo porta a viaggiare. Inizialmente per la penisola italiana, in treno, senza i soldi per pagarsi una camera d’albergo, magari per un concerto con poche persone. Si trasferisce a Milano per frequentare il Conservatorio Giuseppe Verdi. Vive in un piccolo monolocale. E proprio a Milano, una città che Giovanni ama molto, si consumano i suoi primi passi importanti da concertista, qui si alternano le sue prime delusioni e i suoi primi successi. Si mantiene lavorando come cameriere in aziende di catering, svolgendo supplenze alle scuole medie come insegnante di educazione musicale. Nel libro Giovanni Allevi vive una doppia dimensione. Da una parte ci appare come l’uomo più solo del mondo, nella sua condizione di artista. È solo quando si tormenta, quando è nervoso, dubbioso, ma è anche solo quando deve promuoversi, procacciarsi un concerto. E Giovanni Allevi è forse l’ultima persona che un artista assumerebbe come manager, per la sua imbranataggine e il suo ristretto spirito sociale. Eppure la sua più grande nemica, l’ansia, gli viene in soccorso e lo porta a compiere gesti eclatanti, imprese da ultima spiaggia, che finiscono però per risultare vincenti.
In altri momenti invece Giovanni Allevi diventa un uomo circondato. In questa seconda dimensione lo scopriamo non solo ma dentro il suo destino di artista chiamato a condividere il suo tempo con gli altri, ovvero il pubblico. Il pubblico, piccolo o grande esisterà sempre nella vita del pianista Giovanni Allevi. Ha sempre inseguito un dialogo, ha sempre sentito come un’urgenza l'affermazione tra gli altri.
Giovanni Allevi - La musica in testa
218 pag., 15 € – Edizioni Rizzoli 2008
ISBN 978-88-17-02203-3Prime pagine
L'inizio
È il 9 aprile del 1991, giorno del mio ventiduesimo compleanno. Sono arrivato qui a Napoli da solo, dopo un lungo viaggio in treno, per fare il mio primo concerto lontano da casa. Mentre mi portano in camerino, il mio sguardo cade su un pezzo di carta, appeso con lo scotch sulla porta a vetri della piccola sala da concerto: «Serata jazz. Giovanni Allevi. Pianoforte». Serata jazz? Suonerò la Partita in Do minore di Bach, diversi brani di Chopin, cinque studi di Scriabine, Ravel e alcune mie composizioni. Serata jazz? In camerino mi vesto. Eccomi, sono pronto. La camicia è bianca con il colletto ben stirato, lo smoking è nuovo comprato apposta per l'occasione, le scarpe sono nere lucide e ho un po' di gel sui capelli corti. Lavo gli occhiali, come ultima cosa. L'organizzatrice, con una voce un po' imbarazzata, mi dice che iniziamo alle nove in punto. Perché è imbarazzata? Faccio un sospiro e attendo. Viene a prendermi. È seria e guarda per terra. Ci dirigiamo in silenzio verso la porta di vetro. Me la apre e mi invita a entrare. Ora so che passare quella porta significava iniziare un'altra vita. Ecco il pianoforte, le sedie, ma... non c'è nessuno! Conto solo cinque persone. Sedute, per giunta, in seconda fila. Ecco perché l'organizzatrice è imbarazzata: non è venuto nessuno a sentirmi. «Buonasera, mi chiamo Giovanni Allevi. Grazie per essere venuti al mio primo concerto a Napoli.» Ho la voce tremante. Ho recitato la frase a memoria con il sorriso sulle labbra, ma dentro sto morendo. Aveva ragione mio padre, quando mi diceva: «Ma chi te lo fa fare?». Chi glielo dice che non c'è nessuno? Vorrei sprofondare dalla vergogna. Una signora del pubblico, con un sorriso dolcissimo, prende la parola e con il massimo della gentilezza mi dice che se voglio, posso anche non suonare. Forse immagina la mia umiliazione. «Ma no, già che ci siamo...» rispondo con leggerezza. In realtà, sul treno ho ripassato ogni nota del concerto centinaia di volte e non posso credere che tutta la mia attesa spasmodica si risolva in una bolla di sapone. Suonerò lo stesso. Ci tengo troppo a questo concerto e lo porterò a termine!
© 2008, RizzoliL'autore
07 marzo 2008 | Di Francesco Marchetti |
Questo libro non è l'autobiografia di Giovanni Allevi che, musicista e filosofo timido, non avrebbe mai pensato di scriverne una. La sua storia però, che lo ha portato dal pianoforte scordato di una scuola di provincia al fedele Bösendorfer con cui oggi registra i suoi successi, è davvero eccezionale. Ma è solo il filo conduttore di queste pagine che sono un doveroso omaggio, una dichiarazione d'amore alla "strega capricciosa" che ha monopolizzato la sua vita: la musica, che ha sempre preteso da lui dedizione assoluta. Da quando si sono incontrati ha plasmato il suo pensiero, ha assorbito ogni energia. Per la musica, Allevi ha lavorato come cameriere, come supplente, ha distribuito volantini sui Navigli milanesi. Per lei è volato a New York a conquistarsi una possibilità nel tempio mondiale del jazz. E anche adesso che sono arrivati i dischi di platino, il tutto esaurito dagli Stati Uniti fino alla Cina, le collaborazioni con orchestre internazionali, la musica non gli dà pace e bussa nella sua testa per liberare, attraverso le sue mani, la propria voce. Perché Giovanni Allevi ringrazia questa entità tiranna, che una volta lo ha persino portato a guardare il mondo attraverso il vetro di un'ambulanza? Perché grazie a lei ha potuto esprimere emozioni e sentimenti oltre la barriera della parola. In questo libro racconta il pensiero e l'intenzione che animano la sua musica, in un libro che intreccia vita e filosofia e vibra della freschezza di uno sguardo che non vuole smettere di stupirsi.
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