Una voce d’oro zecchino, una voce morbida eppure volitiva, riconoscibile come una firma, una voce come una melagrana appena spaccata, che sembra sangue e sa di zucchero.
E’ questo uno dei passaggi del libro che Andrea Bocelli dedica con riconoscenza a Luciano Pavarotti , e all’amicizia che li ha legati per tanti anni
Dalla prima pagina all’ultima, si può notare che la parola amicizia ha, infatti, un peso preponderante che fa da filo conduttore fra i vari momenti vissuti insieme sia per lavoro, sia per il piacere di passare qualche ora insieme per riposo e svago.
“Mio amico, credo lo sia stato davvero. Anche se a dirlo sento tuttora qualcosa che stona"", dice Bocelli, ""perché esserlo di un gigante, contempla implicitamente (non senza presunzione) che la propria statura sia comunque adeguata all’interlocutore. Cosa che non credo.”
Un’amicizia appassionata e spassionata e, da parte di Bocelli, rispettosissima, fino al punto che non è mai arrivato a dare del tu al grande tenore, anche se tante volte era stato sollecitato a farlo. Fondamentale in questo rapporto è l’onesta intellettuale, a cui entrambi hanno tenuto fede, e che ha contribuito a saldare e rinnovare di continuo un rapporto profondo, anche se non privo comunque di “scintille” come le definisce Bocelli, le differenze di opinioni sulle quale con il maestro ha dovuto, alcune volte, confrontarsi.
Ma anche ciò è da considerare un valore aggiunto per la costruzione e la tenuta proprio delle più intense amicizie.
Un libro con il quale Bocelli ritorna a ripercorre le tracce di una passione per la lirica che nella sua famiglia qualcuno in particolare coltivava, e che evidentemente ha colpito la sua immaginazione. Il primo incontro fondamentale sarà con la voce di Beniamino Gigli, che lo incanterà.
Via, via si interesserà anche di Enrico Caruso, Mario Del Monaco, Giuseppe Di Stefano, Ferruccio Tagliavini, Franco Corelli. A sei anni ricorda, che era già in grado di riconoscere tutte le loro voci.
Più tardi, adolescente, sentirà e leggerà, sempre più spesso il nome e i successi di Pavarotti.
Pavarotti e Bocelli. Fonte: Getty Images |
Luciano Pavarotti è stata una delle grandi stelle della lirica mondiale, il marchio inconfondibile del belcanto italiano. Ambasciatore infaticabile della musica, con il timbro della sua voce "morbida eppure volitiva come una melagrana appena spaccata, che sembra sangue e sa di zucchero", ha emozionato il pubblico dei più celebri teatri, dalla Scala di Milano al Metropolitan di New York. A suo modo "figlio d'arte" - il padre Fernando faceva il panettiere per mestiere e il cantante lirico per passione - Luciano non frequentò il Conservatorio ma si dedicò a un meticoloso apprendistato con Arrigo Pola ed Ettore Campogalliani, i suoi mentori e maestri, per poi esordire con successo all'inizio degli anni Sessanta. Da allora la sua straordinaria avventura artistica e umana non ha conosciuto soste. Fino al 6 settembre 2007, giorno della sua scomparsa, quando si è capito che Big Luciano avrebbe lasciato un vuoto difficile da colmare. Lo rimpiangono i melomani, ma anche i tantissimi appassionati d'opera, i milioni di fan che hanno imparato a conoscerlo grazie ai concerti con José Carreras e Placido Domingo e ai duetti con le grandi star del pop internazionale, in occasione dei "Pavarotti&Friends". Ma Big Luciano un successore ideale ce l'ha, e porta il nome di Andrea Bocelli. Anche per il tenore toscano la musica è una sola, e il messaggio che veicola, potente e universale, può diffondersi nello spazio raccolto di un teatro come in uno stadio gremito di folla.
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