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Andrea di Robilant: nella quadrisnonna Lucia di Mocenigo ho trovato un'amica

foto Pamela Berry

Ci avviciniamo ad Andrea di Robilant, per parlare con lui della sua biografia storica di Lucia di Mocenigo, e non possiamo fare a meno di scrutarne il viso alla ricerca di qualche tratto di somiglianza con la sua quadrisavola che appare nel bel ritratto in copertina, opera della pittrice Angelika Kauffman. E sarà che vogliamo vederla, questa somiglianza, ma ci pare proprio che ci sia qualcosa di Lucia nella fronte alta e nello sguardo azzurro del nipote che l'ha fatta rivivere a più di duecento anni di distanza.


La prima riflessione che non possiamo fare a meno di fare, leggendo il suo libro, è duplice: che ricchezza incredibile sono, le lettere e i diari che emergono dal passato! e poi - ma i nostri posteri non avranno niente di tutto ciò, noi siamo un'epoca che non lascerà tracce intime di sé. È venuta prima la scoperta delle lettere di Lucia o già aveva in mente di scrivere della sua vita e le lettere l'hanno aiutata?

Non avrei mai scritto la storia di una vita sommersa se non avessi avuto la fortuna di aprire la scatola - una comune scatola da scarpe - in cui mio padre aveva lasciato queste lettere, e le ho trovate dopo la sua morte. Ho incominciato a leggerle e mi sono reso conto che mi trovavo di fronte ad un materiale straordinario: la qualità della sua scrittura, la maturità,  l'intensità di quelle lettere scritte ad un futuro marito che lei neppure conosceva, l'intelligenza che sprigionava da quelle lettere, la saggezza innata mi hanno lasciato sbalordito. E mi hanno acceso il desiderio di far conoscere quelle lettere. Poi, siccome non si poteva fare un libro su qualche lettera che mi aveva incuriosito, ho iniziato una lunga ricerca su Lucia, per far riemergere una vita dimenticata. L'ho fatto perché ho capito che, se fossi riuscito a far riemergere la vita di Lucia, lei mi avrebbe fatto da guida per comprendere un'epoca straordinaria del nostro paese. E la svolta è venuta quando ho trovato, nella Biblioteca di Bergamo, l'epistolario di Lucietta e della sorella Paolina: 1500 lettere che coprivano tutto l'arco della vita, dal 1770 in pieno Illuminismo al 1850 in epoca romantica. Avevo tra le mani un materiale che doveva vedere la luce ed essere pubblicato.


palazzo mocenigo - salotto dei ricevimenti

Io ho letto, nelle righe del romanzo, anche un grande affetto per Lucia di Mocenigo: che cosa ha significato per lei, approfondire la conoscenza di questa donna straordinaria?


Mi sono fatto un'amica.
Conosco tanto della vita di Lucia, conosco anche cose che non voleva fossero rivelate e forse lei me ne vuole per questo.
Sento intimità, complicità, gratitudine per avermi fatto conoscere un mondo, dell'epoca napoleonica, che sembrava complicato. Lei mi ha fatto da guida straordinaria - dalla tragedia della caduta della Serenissima alla vicenda napoleonica vissuta in maniera così contrastata... Mi ha permesso di capire non solo la storia, mi ha offerto anche una comprensione più profonda delle vicende umane.
La cosa più importante è che mi ha dato un senso di continuità: provo un legame più forte non tanto con Lucia come mia quadrisnonna, ma con Lucia come donna di 200 anni fa con cui ho condiviso la sua storia, il suo mondo intimo. Per una persona laica come sono io, è una cosa forte e confortante - la possibilità di un legame intimo e profondo con una persona di tanto tempo fa. Questo collegamento vivo con il passato mi ha dato una dimensione diversa della mia vita.


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Le due città da cui si muove tutta la storia, Roma e soprattutto Venezia, le erano già note: come ha fatto a ricreare gli ambienti di Vienna, della tenuta di Margarethen am Moos, di Parigi? il libro è pieno di dettagli squisiti, dalle cure mediche del tempo agli arredi...

Anche qui Lucietta mi ha fatto da guida - la ricchezza dei dettagli nelle sue lettere mi ha permesso di fare ricerche.
Se lei menzionava un medico che faceva delle polveri curative, io indirizzavo la mia attenzione in quella direzione. E poi l'aver fatto il giornalista per trent'anni mi ha aiutato: si è abituati ad andare al sodo, telefoni per accelerare le ricerche, sei a caccia di dettagli per illuminare qualcosa. Gli strumenti del giornalismo mi sono stati utili. Ho passato un periodo a Vienna per vedere i luoghi e andare a fondo di problemi che andavano chiariti, ad esempio l'identità dell'amante di Lucietta, che ho trovato nell'archivio militare di Vienna. A Parigi è ambientato quello che forse è il capitolo più riuscito, e lo devo al ritrovamento del diario di Lucia a Parigi.


Ho trovato estremamente interessante anche tutte le pagine che riguardano gli sforzi di Alvise di creare una tenuta modello con le terre paludose in Friuli, quella a cui darà il nome di Alvisopoli: è stato lo sforzo più grandioso di Alvise?

Alvise era figlio dell'Illuminismo, aveva sentito parlare della tenuta di San Bencio di re Ferdinando vicino a Caserta. Voleva creare un luogo di industria e di agricoltura, una comunità ideale in cui i lavoranti avessero scuole, strutture sanitarie, case, dove fossero quasi autosufficienti, con una componente architettonica importante. Suo suocero Memmo, un veneziano illuminista e studioso di architettura, condivideva con lui il concetto di costruire una comunità utopica a cavallo tra agricoltura, politica e architettura.
La cosa straordinaria di questa impresa è che nasce dal nulla: Alvise prende in affitto dal padre vasti terreni sommersi dall'acqua nella zona di Portogruaro e comincia immediatamente il lavoro di bonifica. Ma dietro questo ci vedo altro, anche se all'inizio questo era la coda di un progetto illuministico: con la caduta della Serenissima Alvise perde la patria e il governo. Per i veneziani fu una perdita traumatica, soprattutto per i patrizi veneziani la cui storia era legata alla storia della repubblica. Alvise si sentiva orfano della madrepatria, da qui il sogno di creare uno stato ideale che sostituisse quello che aveva perso. C'era anche una componente rinascimentale in tutto ciò.


Il romanzo ruota attorno a Lucietta, perciò noi vediamo sempre Alvise attraverso gli occhi di Lucietta. Alvise pare essere sempre il grande assente: che tipo di uomo era Alvise Mocenigo?

Alvise è un uomo sfuggente: l'ho fatto assente perché così lo sentivo, così era attraverso le lettere. Era una persona che sfuggiva prima di tutto da se stesso.
Certamente contribuiva a questo l'esperienza della sua infanzia, il padre omosessuale, oggetto di scherno nella Repubblica e in Europa, arrestato per atti libidinosi in pubblico. Conta anche il suo DNA - a quanto carattere umbratile fosse predestinato. Aveva la tendenza ad essere sfuggente e a fuggire dalla situazione - come fa dopo la caduta di Venezia, quando lui semplicemente se ne va.
C'è poi un altro fatto ancora per averlo reso così sfuggente: ho trovato anche le lettere di Alvise, ma la sua calligrafia era del tutto indecifrabile.


palazzo mocenigo - camera da letto

Alvise fu criticato per aver - oggi diremmo 'adottato' - fatto passare per suo il figlio che Lucietta aveva avuto dal suo amore per l'austriaco Plunkett: non fu piuttosto un atto di generosità che gli tornava comodo, dandogli un erede?


Mi sono chiesto anch'io il perché di queste critiche. La risposta è che fu criticato perché rese pubblica la cosa, danneggiando la reputazione di Lucietta. C'erano molte storie così all'epoca, ma non se ne parlava. Invece Alvise trascinò per 12 anni una causa con la Chiesa perché falsificò le carte della nascita del bambino, per farlo passare per suo.
Mi è stato difficile ricostruire la vicenda e non avrei capito nulla se non fosse stato per una lettera di pettegolezzi che ho trovato, in cui si parlava di questo figlio illegittimo di Lucietta. Perché da nessuna parte risultava la morte dell'altro bambino, il primo Alvisetto. La chiesa dove era stato sepolto era andata distrutta, e, se non fosse stato che non mi tornavano i conti, che le difficoltà di apprendimento del bambino stonavano con gli anni che doveva avere, avrei pensato che si parlasse sempre dello stesso bambino.


In un certo senso è possibile paragonare il declino della famiglia Mocenigo con quello di Venezia? Vanno di pari passo?

Certo che vanno di pari passo.
Alvise ha partecipato alla fine della Repubblica, ha cercato di contrastarla, era tra i riformatori che volevano una politica più rigorosa verso Napoleone, contro la politica veneziana di una neutralità disarmata che era da suicidio. E tuttavia il suo amore per Venezia era tale che continuò a svolgere un ruolo di primo piano.
Alla fine fu Lucia che, con sforzi immensi, cercò di tenere in piedi le proprietà Mocenigo e Alvisopoli.


Un'ultima curiosità: come mai il romanzo-biografia è stato scritto prima in inglese?

Semplice: perché mi è stato commissionato dalla mia casa editrice americana. Ho iniziato questa nuova vita di scrittore in America, quando ero corrispondente per La Stampa negli Stati Uniti.
Il mio primo libro, Un amore veneziano, è stato pubblicato là, quindi la mia casa madre è americana e ha pubblicato anche questo secondo, che poi io non ho tradotto, ma riscritto in italiano, con un altro effetto - perché, prima di tutto, anche le lettere di Lucietta riportate e inserite nel testo del romanzo erano in italiano, naturalmente.



10 dicembre 2008 Di Marilia Piccone

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