Le recensioni di Wuz.it

La tigre bianca di Aravind Adiga, il romanzo vincitore del Booker Prize 2008

""Il destino della mia vita era segnato. Sarei andato in galera per un omicidio che non avevo commesso. Ero terrorizzato, eppure nemmeno per un istante mi balenò l’idea di dire al giudice la verità. Ero intrappolato nella Stia per Polli.""

“Nella giungla, qual è l’animale più raro… la creatura che appare in un unico esemplare per ogni generazione?” - aveva chiesto l’ispettore al protagonista bambino che aveva saputo rispondere alle sue domande tra i banchi di scuola.
“La tigre bianca.” “Ecco cosa sei tu, in questa giungla.”
Giunge così nelle prime pagine la spiegazione del titolo di questo eccellente primo romanzo di Aravind Adiga, vincitore del Booker Prize 2008. E quella della tigre bianca, splendida nella sua unicità che differenzia lei e il giovane Balram da tutti gli altri esemplari, è la prima delle tante immagini di animali contenute nel libro- un cinico e spietato quadro dell’India odierna.
Già nel villaggio da cui Balram proviene gli abitanti erano soggetti ai ricatti mafiosi degli ‘Animali’- il Bufalo, l’Airone, il Corvo e il Cinghiale, i quattro possidenti che prendevano il nome dai loro specifici appetiti.
Più tardi, quando Balram fa l’autista a New Delhi, verrà soprannominato Topo-di-campagna; lo zio del suo padrone è chiamato ‘la Mangusta’; lui stesso parlerà degli altri servitori come del ‘Circolo delle Scimmie’ e dell’intera India come della ‘Stia dei Polli’: rapaci, crudeli, subdoli, violenti, ridicoli, abietti, sono tutti oggetto di disprezzo e di disgusto. Salvo lui, Balram, la Tigre Bianca, l’indiano ‘cotto a metà’ che ha ricevuto abbastanza istruzione da poter ambire ad altro, anche se non ha abbastanza mezzi da poter uscire dalla stia dei polli in maniera lecita.

Per raccontare la storia della sua vita Balram impiega il pretesto narrativo di scrivere lettere al primo ministro cinese Wen Jiabao, atteso in visita in India la settimana seguente. Balram si definisce “un uomo pensante e un imprenditore” e vive a Bangalore, centro mondiale della tecnologia e dell’outsourcing: in quale modo sia arrivato lì dal villaggio fangoso delle Tenebre- come chiama tutta l’area dell’India solcata da quello che una volta era il sacro fiume Gange ed ora è quasi una cloaca a cielo aperto- è dentro il suo racconto.
La tigre bianca è, quindi e nello stesso tempo, un romanzo di formazione che ci affascina nella sua negatività giustificata ed un ritratto della società visto dal basso, del tipo di cui l’esempio più illustre è dato dalle Memorie di Mr. Yellowplush di William Thackeray, il più romantico da Quel che resta del giorno di Kazuo Ishiguro, o - nell’arte cinematografica -, da Gosford Park con la regia di Altman.


Quello che conta di più nella vita è l’ambizione, sembra dirci Balram. Bisogna essere ambiziosi e determinati per uscire dalla puzzolente stia dei polli, bisogna lavorare per un fine e poi, naturalmente, ci vuole un po’ di fortuna - e lui, Balram è ambizioso ed è riuscito ad ottenere questo lavoro, di fare l’autista per Ashok, il figlio dell’Airone, seguendolo a New Delhi.
Balram osserva, ascolta, registra, impara.
L’ingenuo indiano ‘cotto a metà’ mantiene fino alla fine l’atteggiamento da servo fedele muto, cieco e sordo; in realtà arriva a capire pienamente il grado di corruzione e di degrado morale non solo dei suoi padroni ma di tutti quelli con cui questi hanno a che fare- ministri e poliziotti e albergatori. E non resta proprio niente della signorilità di un Lord Darlington in Mr. Ashok, piuttosto prevale la vigliacca falsità del ricco Tom Buchanam nella scena culmine che ne ricorda una simile del Grande Gatsby, quando si fa ricadere sull’innocente Balram la morte della bambina investita dall’automobile guidata dalla moglie di Ashok in stato di ubriachezza.

Non resta niente neppure dell’India favoleggiata in altri romanzi ne La tigre bianca del giovane Aravind Adiga. Niente fruscio di sari, nessun tintinnare di braccialetti, nessun colore brillante di lucide sete, nessun profumo di spezie, nessuna concessione al folklore.
È un libro che usa il bianco e nero come le pellicole del cinema realistico, che non ci risparmia gli spettacoli più sgradevoli come la fila dei defecatori con il culo per aria, o come gli scarafaggi che si arrampicano sulla branda di Balram negli scantinati umidi dove vengono alloggiati i servitori, e neppure la sporcizia e la puzza.
Il fango e le fogne.
La realtà dei ricchi che corrono per dimagrire e dei poveri che sognano un pugno di riso e muoiono di consunzione.

La tigre bianca
è un romanzo spietato e rabbioso, che colpisce il lettore con la violenza di un pugno nello stomaco.

Titolo originale: The White Tiger
Traduzione di Norman Gobetti




le prime pagine


Per la scrivania di:

Sua Eccellenza Wen Jiabao,
Ufficio del Primo Ministro,
Pechino,
Capitale della Cina, Nazione Amante della Libertà


Dalla scrivania di:

«La Tigre Bianca»
Un Uomo Pensante
E un imprenditore
Residente nel centro mondiale della tecnologia e del outsourcing
Electronics City Phase I (accanto a Hosur Main Road)
Bangalore, India.


Signor primo ministro,
Signore.
L'inglese non è la mia lingua, e neppure la sua, ma ci sono cose che possono essere dette solo in inglese. Pinky Madam, l'ex moglie del mio defunto ex datore di lavoro Mr Ashok, mi ha insegnato una di queste cose; e oggi alle 23.32, circa dieci minuti fa, quando l'annunciatrice su Ali India Radio ha dichiarato: - La prossima settimana il primo ministro Jiabao verrà a Bangalore, - io ho detto quella cosa.
In effetti la dico ogni volta che uno di voi grandi uomini viene in visita nel nostro paese. Non che abbia niente contro i grandi uomini. A modo mio, signore, mi considero anch'io uno di voi. Però quando vedo il nostro primo ministro e i suoi illustri tirapiedi che arrivano all'aeroporto a bordo delle loro auto nere e scendono davanti a una telecamera e vi fanno nomaste e vi spiegano quant'è santa e morale l'India, a me viene da dire quella cosa in inglese.
La settimana prossima sarà Sua Eccellenza a venire in visita da noi, vero? Di solito su queste cose Ali India Radio è affidabile.
Era una battuta, signore.
Ah!
Ecco perché voglio chiedere direttamente a lei se viene davvero a Bangalore. Perché se è così, ho una cosa importante da dirle. Vede, la signora alla radio ha detto: - 11 signor Jiabao è in missione: intende scoprire la verità su Bangalore.
Mi si è gelato il sangue. Se c'è qualcuno che sa la verità su Bangalore, quello sono io.
Poi l'annunciatrice ha detto: - II signor Jiabao intende incontrare alcuni imprenditori indiani e ascoltare la storia del loro successo dalle loro labbra.
Quindi ha spiegato due o tre cose. A quanto pare, signore, voi cinesi siete da ogni punto dì vista molto più avanti di noi, eccetto che non avete imprenditori. Mentre la nostra nazione, per quanto carente d'acqua potabile, elettricità, fognature, trasporti pubblici, senso dell'igiene, disciplina, cortesia o puntualità, ha imprenditori. Migliala e migliala di imprenditori. Soprattutto in campo tecnologico. E questi imprenditori - imprenditori come me - hanno messo in piedi tutte queste società di outsourcing che attualmente fanno andare avanti l'America.
Lei spera di scoprire come trasformare un po' di cinesi in imprenditori, è questa la ragione della sua visita. La cosa mi è piaciuta. Poi però mi è venuto in mente che, in ottemperanza al protocollo internazionale, il primo ministro e il ministro degli esteri del mio paese la accoglieranno all'aeroporto con ghirlande, statuette di Gandhi in legno di sandalo e una brochure piena di informazioni sul passato, il presente e il futuro dell'India.
Ed è stato in quel momento che ho dovuto dire quella cosa in inglese, signore. Forte e chiara.
Erano le 23.37, Cinque minuti fa.

© 2008, Giulio Einaudi editore

Aravind Adiga – La tigre bianca
232 pag., 19,00 € - Edizioni Einaudi 2008 (Supercoralli)
ISBN 978-88-06-19200-6



una strada di bangalore


l'autore



12 gennaio 2009 Di Marilia Piccone

La tigre bianca
La tigre bianca Di Aravind Adiga;

Seduto alla sua scrivania, l'imprenditore autodidatta Balram Halwai, detto la Tigre Bianca, scrive sette lucide e impietose lettere al primo ministro cinese che si appresta a visitare l'India. Gli racconta delle proprie origini e della propria storia: la storia di un ragazzo di una delle caste più basse che da un fangoso villaggio all'interno del paese (dove "ogni buona notizia si tramuta in una cattiva notizia, e in fretta") arriva a New Delhi, dove mall luccicanti, sontuosi palazzi e auto tirate a lucido da magri autisti in ciabatte si accostano a bordelli di lusso con bionde prostitute dell'Europa dell'est. Qui, nel nuovissimo quartiere di Gurgaon, Balram Halwai assiste alla progressiva e inarrestabile corruzione del suo padrone, ne assimila la mentalità e intuisce che il modo per fuggire dalla gabbia della miseria esiste: commettere un omicidio, rubare e mettersi in proprio. Grazie a un duro lavoro, a pasti trangugiati in fretta, a un codice morale dettato dalle necessità produttive, ma soprattutto applicando le auree regole degli affari apprese da Mr Ashok, il suo defunto ex principale, il successo non tarda ad arrivare. Per il futuro si vedrà: forse potrebbe investire parte del proprio capitale in una scuola per i bambini poveri di Bangalore: una scuola piena di Tigri Bianche, in cui non si parli né di Gandhi, né dei 36 milioni di divinità indiane.

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