C'è stato un momento nella storia del rock moderno, in cui qualcosa è cambiato. Per decenni i critici l'hanno identificato come il definitivo sdoganamento del rock e il suo ricongiungimento con la musica popolare (storicamente, i due generi sono stati spesso considerati separati, se non antitetici).
È stato un momento di rottura.
Il momento di rinascita del popolo rock che, come un esercito di zombie, è uscito dalle cripte e ha invaso il mondo. Un momento in cui le classifiche sono state travolte (da quel momento e per sempre) dall'onda d'urto inarrestabile dell'heavy rock.
In pratica, dopo vent'anni spesi tra funky e golden pop, le chitarre tornano ad essere il suono di riferimento di una generazione.
È il 1986. È l'avvento di Slippery When Wet dei Bon Jovi.
Bon Jovi -> GUIDA ALLA DISCOGRAFIA
Pensiamo a questo: negli anni Settanta, nei primi anni Settanta, fu il rock a determinare il grande scarto generazionale e a rappresentare, anche nelle classifiche di vendita, il faro traente di ogni tipo di musica e sonorità espressa. Di lì a poco arrivò l'era della Disco e del funk, della musica nera e, successivamente, del pop da classifica. Un decennio, quello tra la metà degli anni settanta e la metà degli anni '80, perfettamente rappresentativo della sua epoca.
Dalla fine dell'epoca punk e del no future, si entrava di diritto nell'era del Reaganismo, della società opulenta all'ennesima potenza, della grande epopea del sogno economico degli Eighties, prima dell'inizio della vera fine.
Le classifiche di vendita raccontavano di milioni di stelle che vivevano per un solo minuto (giusto il tempo di produrre un singolo di successo e divenire un tormentone radiofonico) e di grandi eroi che consolidavano il loro potere iconografico e pop, stretti nelle giacche di Armani e sotto un casco di capelli
cotonati.
Gli anni '80, i primi anni '80, erano figli della loro epoca: Mtv, le radio network, l'esplosione mondiale della moda per tutti, l'era del fashion, il pop che diventava style, i videoclip, i commercials (gli spot pubblicitari) filmati con la tecnica stessa dei videoclip. Gli attori dei videoclip divenuti veicolo per il cinema e la musica stessa (da Cercasi Susan Dispeatamente di Madonna, alla partnership Levi's - Mtv - Billboard con il caso Nick Kamen). Insomma, tutto era un veicolo d'immagine preconfezionata e di musica ipersintetica. Basi computerizzate, melodie semplici, pochi strumenti.
Fino all'avvento di Jon Bon Jovi e dei Bon Jovi.
Di lì in poi, il popolo cominciò a riscoprire l'importanza e l'eccitazione del rock.
Intendiamoci. I Bon Jovi non avevano l'aspetto rivoluzionario dei grandi eroi del rock. Non erano ai margini della società, non erano indemoniati, non avevano propositi di rottura del sistema. Non erano metallari, non erano punk. Non erano hardcorers. Erano l'esatto prodotto della loro epoca: figli del proletariato e della borghesia americana, annoiata dai suoni pallidi del pop ed in cerca del successo e del divertimento.
Qualcuno in America, li definì all'epoca il volto sano del rock: in realtà era solo il volto più conformista. Meno pericoloso. Più adatto ad essere veicolato alle masse.
I Bon Jovi avevano i capelli lunghi, cotonati, come migliaia di altre band sparse in California e sul Sunset Boulevard. Vestivano improbabili mante di pelle e spandex attillati. Portavano, a volte, foulard colorati e shirts molto rock. Erano, in sostanza, un ponte. Il ponte tra il mondo dell'heavy rock (e quindi, il mondo del motto ""sex, drugs & rock and roll"", che stava spopolando nel sottobosco Usa) e quello della nuova mainstream generation, che cercava una rivincita dalla noia a suon di watt.
I Bon Jovi venivano dal New Jersey, terra di Springsteen e di un cantautorato rock molto genuino (elemento, questo, che entrerà a pieno titolo nella seconda parte della vita dei Bon Jovi) ed erano lontani dalla grande guerra, la ""battle of bands"" che stava imperversando negli stati ""cool"" degli Usa (California, Florida, Stato di New York). Forse, proprio per questo, in loro c'era un'energia genuina e non calcolata. Forse, proprio per questo, loro rappresentavano in pieno il ""sogno americano"": una band in arrivo dalla provincia e alla ricerca della gloria e dei soldi.
In tutto questo, forse neppure i Bon Jovi avevano calcolato l'effetto dirompente che avrebbe avuto la loro musica.
Quando, nel 1986, i Bon Jovi pubblicarono Slippery When Wet, il gruppo del New Jersey non era certo agli esordi. In terra natia erano già una band di culto e, grazie a un sodalizio con la Mercury Records, avevano già realizzato due importantissimi album in studio.
Il primo, semplicemente chiamato Bon Jovi, era un meraviglioso esempio di rock americano da classifica scritto nella piena tradizione dei culti sacri del rock Usa (Journey, Survivor e Foreigner).
Jon Bon Jovi (al secolo Giovanni Bongiovanni, italo americano originario di Sciacca, in Sicilia) scriveva canzoni a sei mani, con il chitarrista Richie Sambora e con Jack Ponti, uno dei più apprezzati compositori rock usa di quel periodo.
Bon Jovi raggiunse le 500.000 copie e garantì la possibilità di un secondo album, 7800 Fahrenehit, meno incisivo ma molto apprezzato dal pubblico.
Ma fu il 1986 lo spartiacque. L'anno di Slippery When Wet che, oggi, è uno degli album rock più venduti della storia.
Mtv lanciò per sfida una canzone: si chiamava Slippery When Wet. I programmatori dell'emittente americana erano piuttosto riluttanti, perchè era una canzone scritta con troppe chitarre e troppo volume anche se aveva quel coro malizioso che poteva funzionare.
Fu un attimo. Un attimo solo. L'America impazzì letteralmente per quel sex symbol dai capelli biondi e la faccia d'angelo, che riportava in vita una tradizione, quella del rock anthemico, il rock da arena, che in America fu elemento portante di tutti gli anni Settanta.
Slippery When Wet divenne immediatamente un caso mondiale. Ma, ancor di più, diede origine a un effetto a catena incontrollabile.
Mentre You Give Love a Bad Name (primo singolo) e la successiva Livin'On A Prayer (secondo singolo) imperversavano nelle radio, sul finire del 1986 un gruppo Europeo, in origine legato all'Hard Rock, cercò di ripercorrere quelle trame, così avvincenti e piene di energia. Venivano dalla Svezia e si chiamavano Europe e anche in quel caso, il cantante dalla faccia d'angelo e dai capelli biondi, divenne un simbolo globale.
La loro The FInal Countdown divenne un successo planetario.
Nasceva l'epoca dell'Heavy Rock.
I Bon Jovi diedero vita a tutto questo, sdoganando definitivamente il rock nelle classifiche mondiali. Gli effetti? Classifiche e date d'uscita alla mano, basti solo ricordare questo: grazie all'imporsi della figura dei Bon Jovi nel mondo, qualcuno si accorse di un piccolo gruppo losangelino, pieno di droghe e di voglia di rock and roll. Li lanciò sul mercato. Avevano appena scritto un album: si chiamava Appetite For Destruction, e loro erano i Guns n'Roses.
E ancora: dall'Inghilterra, un gruppo con già all'attivo quattro album assolutamente nella tradizione dell'hard inglese, s'inventò un disco che infranse ogni record di vendita. Suonava molto simile ai Bon Jovi. L'album si chiamava Hysteria e loro erano i Def Leppard.
Ma non era finita: il management dei Bon Jovi cercò e scovò altre due band subito lanciate sul mercato con grande enfasi e grande risposta di vendita: i Cinderella e gli Skid Row.
Nel giro di un anno l'America si riempì di giovani ragazzi pieni di ormoni che cercavano, con tutte le loro forze, in nome del boom economico, di una vita serena e del sogno di poter accedere a qualsiasi cosa, di suonare un rock globale, cantabile da chiunque, radiofonico, che divenisse l'inno di una generazione che stava vivendo a pieni polmoni gli anni '80, il Reaganismo e il sogno di una vita agiata.
Il rock riprende possesso delle redini del mondo musicale. Definitivamente.
Questo sarà il grande transito per la seconda rivoluzione di mercato: il grunge degli anni '90 il cui dopo Nirvana portò anche i Metallica in classifica e, successivamente, il punk, facendo del rock il genere più importante (in termini di vendita e di fenomeno collettivo) di tutta la storia della musica dal dopoguerra ad oggi.
Jon Bon Jovi è il sogno americano e, per certi versi è l'emblema, la rappresentazione, della borghesia white collar statunitense, quella dalle idee progressiste e dal cuore tradizionalista. L'America che, negli anni '80, vuole aiutare il mondo a cambiare. E anche in questo la figura di Bon Jovi sarà importante.
Siamo in piena distensione nei rapporti fra Usa e Urss. Gorbaciov è il leader di una grande Russia che vuole aprire un nuovo corso. Pian piano si stanno sgretolando i muri di silenzio d'oltre cortina. C'è un veicolo capace di diffondere un messaggio di pace e speranza: la musica. Bon Jovi questo lo sa. Proprio con questo obiettivo, insieme al suo manager di sempre, Dog McGhee, organizza quello che verrà ricordato come il primo festival di musica rock nella Russia libera: il Moscow Music Peace Festival.
Bon Jovi porta tutta la sua carovana, dagli Skid Row ai Cinderella al gruppo locale dei Gorky Park, eroi della capitale sovietica che al termine del festival voleranno in Usa per registrare il loro primo disco.
Il Festival è un successo mondiale. Bon Jovi diviene il simbolo del rock.
Il resto della carriera di Bon Jovi sarà solo un susseguirsi di successi clamorosi e di un parziale cambiamento stilistico che lo porterà, prima con il meraviglioso album New Jersey, poi con l'altrettanto bello Keep The Faith, ad avvicinarsi ad una versione heavy rock del Boss, suo conterraneo. Sarà lì che Bon Jovi erediterà il patrimonio culturale dell'America bianca e del cantautorato duro statunitense.
Il resto, sarà banale, ma è storia scritta indelebilmente nelle pagine del pop mondiale.
26 maggio 2010 | Di Mario Ruggeri |
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