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Carla Melazzini - Insegnare al principe di Danimarca - Sellerio


Mimmo, a 15 anni, è sicuro che il suo dovere sarebbe di uccidere l’uomo per il quale sua madre ha abbandonato da un giorno all’altro i cinque figli. È una ferita indimenticabile, che impedisce di vivere (essere o non essere), figuriamoci di andare a scuola. Il padre lo accompagnava tutti i giorni sotto scuola, insieme alla sorella, e loro se ne andavano, lui spesso scappava dalla madre, che desidera disperatamente riavere con sé...

Carla Melazzini è stata una splendida pedagoga, e “Insegnare al principe di Danimarca” è il testamento esistenziale di un’autentica maestra di di vita.
Insegnante, fondatrice e animatrice – assieme al marito Cesare Moreno – del “Progetto Chance”, scuola che si prefigge di preparare all’esame di terza media tutti quei ragazzi che a causa di gravi impedimenti e problemi familiari hanno dovuto abbandonare la scuola, Melazzini ha operato nel solco di Danilo Dolci e di Don Milani, scegliendo di incidere con il suo lavoro nel corpo sociale di una comunità fra le più disastrate d’Italia, quella che vive nella periferia orientale di Napoli, a Barra, a Ponticelli, a San Giovanni a Teduccio.
Lei, nata in Valtellina nel 1944, ha studiato a Pisa sul finire degli anni sessanta, e poi ha scelto Napoli, dove ha continuato a vivere e a lavorare sino alla morte, avvenuta nel 2009.
Il titolo del libro, innanzitutto: Melazzini pone a se stessa e a chi legge una domanda che parte dall’Amleto, per indurre a riflettere su quanto i condizionamenti culturali operino potenti anche (e soprattutto) in chi da essi si crede immune.
Mimmo, quindici anni, vuole uccidere l’uomo che ha portato via sua madre dalla famiglia, lasciando lui e i suoi quattro fra fratelli e sorelle da soli. Ed ecco: “… un insegnante di media cultura e umanità è disponibile a commuoversi sul dramma del giovane principe di Danimarca, e a riconoscere le ragioni dei suoi atti, anche i più estremi. Ma quanti insegnanti sarebbero disposti a riconoscere la stessa legittimità ai sentimenti di un adolescente di periferia che vive il tradimento della propria madre con l’intensità e la consequenzialità del principe Amleto?”

Fucilazione nel quartiere della Kalsa, Palermo, nel giorno dei morti. Foto © di Enzo Sellerio

Sulla scorta della scia tormentosa e significativa che simili interrogativi lasciano in noi, si articola la riflessione pedagogica di Melazzini, che porta a conclusioni e implicazioni che non riguardano solamente bambini e ragazzi, ma anche (e in qualche misura soprattutto, verrebbe da dire) gli adulti che di essi rappresentano il riferimento.
Quelle dei ragazzi che nel corso degli anni sono passati da Chance sono storie spesso terribili, sempre difficili, segnate da un abbandono che è innanzitutto quello messo in atto dallo Stato nei confronti di molti suoi cittadini. Abbandono molteplice nelle forme che assume: perché la messa in mora “preventiva” di luoghi, culture e portato storico opera perfino nell'immaginario che quei luoghi portano con sé.
Ecco che il tradimento assume davvero tinte shakespeariane, perché sembra dare luogo a vite irredimibili, segnate sin dai primi passi che muovono: e allora l'azione mossa da Melazzini e da tutti quelli che hanno partecipato a Chance spariglia completamente le carte, e asserisce con forza che non è obbligatorio stare a questo gioco al massacro.
Il libro raccoglie una ricchissima galleria di ritratti che Melazzini schizza con grande efficacia, e senza mai indulgere in stratagemmi retorici (che pure sarebbero così facili da adottare, vista la materia che viene trattata).
Nel corso delle pagine di questo libro - che ha un peso specifico straordinariamente alto, e al quale torneremo come si torna ad un classico sempre capace di dirci cose nuove - conosceremo Anna, Mimmo, Raffaele, Ciro, Peppe, Vicienzo, e impareremo ad ammirarne la forza, l'ironia con la quale spesso esorcizzano in parte il peso della loro vita, la creatività con cui accettano di rimettersi in gioco per dare a sé stessi una nuova possibilità.
Attraverso gli scambi, le diffidenze, le aperture improvvise e le altrettanto repentine chiusure a riccio, nel mutuo fluire del rapporto fra alunni e maestri, Melazzini ci esorta a ricordare sempre come l'educazione sia un sistema aperto e in perenne divenire, per il quale la reciprocità è conditio sine qua non.
Dobbiamo sempre saper ascoltare coloro ai quali pretendiamo di insegnare qualcosa, ed essere pronti a imparare da loro non meno di quel che loro possono imparare da noi.
Grazie, Carla.


Carla MelazziniInsegnare al principe di Danimarca
A cura di Cesare Moreno
362 pag., 14 euro – Sellerio
ISBN 9788838925696


L'autrice


09 gennaio 2012  

Insegnare al principe di Danimarca

"L'autrice, Carla Melazzini, è, nella scrittura come nella vita, del tutto aliena dalla retorica e dall'indulgenza facile. Così, commozione, intelligenza e poesia stanno in questo libro con la asciutta naturalezza con cui può sbucare un fiore meraviglioso dalla crepa di un muro in rovina. Senza compiacersi dell'idea che la rovina sia necessaria ai fiori, e ne venga riscattata. Ne troverete di fiori in queste pagine, e di ragazzini fiorai, e anche di rovine. Uno lo anticipiamo qui, è un tulipano finto, così come l'ha raccontato una bambina che era stata bocciata in seconda elementare: ­ C'era una volta un fiore che non voleva essere un fiore, allora la fata dei fiori disse: 'Se tu vuoi diventare un essere umano io ti accontenterò ma se non ti piace, ti dovrai rassegnare perché non potrai più essere un fiore'. Il fiore accettò e la fata lo toccò con la bacchetta e lo trasformò in un essere umano. Il fiore si rese conto che la vita era difficile. La fata allora lo fece diventare un tulipano finto, per non farlo morire, poi scomparì per sempre. Carla ha chiesto a un compagno di classe: 'Secondo te che cosa ha voluto dire Concetta con il suo racconto?' 'Che il fiore non voleva morire e così la fata lo ha fatto diventare immortale.' 'Però l'ha trasformato in un tulipano finto! È meglio essere una persona umana e morire o essere un fiore finto e non morire mai?' 'È meglio morire.'"

La posta della redazione

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