Francesco Abate, Massimo Carlotto
«Volevamo inventare un nuovo personaggio che fosse un grimaldello per raccontare la società scissa e contraddittoria di oggi. Quella dove il nuovo crimine si presenta molto piú accettabile, dove l'illegalità è diffusa e coinvolge tante persone. Un personaggio come Gigi Vianello. Uno cosí, dannatamente simpatico».
Gigi Vianello è l'elegante e fascinosamente ambiguo proprietario del ristorante per intenditori Chez Momò, a Cagliari. Ha due particolarità: una eterocromia oculare (ha gli occhi di diverso colore: uno azzurro, l’altro verde) e un passato ingombrante che si è lasciato alla spalle partendo in gran fretta dalla sua terra d’origine, il Veneto, per trasferirsi in Sardegna. Vianello, però, non è uno dei soliti malavitosi di Carlotto (che girano con pistola e guardie armate per conquistare il potere con la violenza), bensì un disonesto imprenditore che fa affari d'oro con il business della contraffazione alimentare: guadagna soldi riciclando e smistando partite di cibo sofisticato in ogni angolo del pianeta. Cibo che va nei discount, nei ristoranti alla buona o nelle mense dei poveri e della comunità. Mercato dove le nuove mafie si muovono con spavalderia e, spesso, impunità. Specchio e sintomo di una società adulterata in ogni suo aspetto. Gigi Vianello ha messo in piedi un bel business: “un mondo perfetto”, come dice lui. Proprietario di un bel ristorante, con i contatti giusti nel mondo della distribuzione alimentare, la complicità della Guardia di Finanza e dei controlli portuali, Vianello passa le sue giornate tra una truffa e l'altra, le serate con la sua bella ragazza, qualche scappatella ogni tanto, dei bei vestiti, una bella macchina e, soprattutto, una reputazione perfettamente immacolata agli occhi dei suoi concittadini. Un giorno, però, tutto questo meccanismo perfetto si inceppa: Gigi cade in tentazione e si concede un’avventura con la donna sbagliata, moglie di un importante uomo d'affari che sta per mettersi in politica. E tutto il suo mondo perfetto comincia a vacillare: qualcuno, che Gigi credeva di aver sepolto definitivamente nel suo passato di spacciatore nelle discoteche del Nord-Est, torna per compiere la sua vendetta. Stretto tra la morsa della polizia che inizia a indagare su di lui, gli uomini assoldati dal politico cui ha pestato i piedi e le ombre del passato che incalzano, per il “povero” Gigi inizia una discesa che sembra inarrestabile: perde il giro d’affari, la fidanzata, il ristorante. Ma Vianello - personaggio talmente infame da riuscire persino, nella sua cialtroneria, a raggiungere un suo cupo eroismo, traditore senza scrupoli e senza morale - sembra aver dentro di sé le capacità per uscire dai guai…
Un noir appassionante che si legge tutto d’un fiato. Con ironia e disincanto, Abate e Carlotto tracciano una storia dai benefici diabolici, che, con il suo finale aperto, lascia quell’amaro in bocca tipico del cibo stantio. Una storia che racconta la società di oggi, dove il crimine si nasconde sotto la facciata della buona reputazione, l’illegalità va di pari passo con l’impunità e dove chi è abbastanza scaltro, per quanto colpevole sia, riesce sempre, in un modo o nell’altro, a farla franca.
Mi fido di te è un romanzo che scorre rapido come le immagini di un film, supportato da una robusta colonna sonora. Il titolo del libro, proprio come in Arrivederci amore ciao, Niente più niente al mondo e Dimmi che non vuoi morire, è un verso (nonché titolo) di una canzone. Il ritornello del brano di Jovanotti, però, invece di essere un inno all’amore e alla fiducia, risuona sarcastico per tutto il romanzo: la speranza e la ricerca di fiducia di tutti i personaggi, soprattutto di coloro che hanno a che fare con Vianello, vengono puntualmente tradite. Gigi, inoltre, ha una maniacale (e fastidiosa) adorazione per David Bowie (modello estetico scelto per affinità fisica e per la stessa eterocromia), che lo porta ad ascoltare solo la musica del “Duca Bianco”, di Iggy Pop e Lou Reed. La musica, infine, non solo accompagna e scandisce i tempi del romanzo, ma a tratti “tradisce” con ironia il racconto stesso: si pensi, ad esempio, al finale, quando Louis Armstrong darà fiato alla sua più famosa pop song: What a Wonderful World.
Le prime pagine
I.
La mamma era bella. La sbirciavo da quando le nostre auto si erano affiancate in attesa che il semaforo diventasse verde. Bella come se ne vedono in quelle pubblicità della pasta fatta in casa.
La ragazza era bella come se ne incontrano tante quaggiù. Razza femminile superiore, forgiata al sole e al beauty-center. Smerigliata dalla risacca della spiaggia di quarzo e da ore di allenamento acquagym. Un prodotto naturale potenziato, capace di far perdere la testa a chiunque.
La mamma era bella. Il moccioso no.
Il bambino che mi faceva le boccacce dal finestrino posteriore doveva aver preso tutto dal padre, era brutto e nel futuro non sarebbe migliorato.
Storceva la bocca e l'allargava a dismisura tirandola ai lati con le dita minuscole, magre, ossute. Sembravano gli artigli di un piccolo pipistrello o forse le unghie di un topo di fogna.
Lo guardai storto per farlo smettere, mi faceva schifo, metteva a disagio e mi distraeva dall'osservare la madre che giocherellava con una collana e il movimento della mano sfiorava il seno appena velato da una camicetta in lino chiaro, studiata per far risaltare le curve. Me la immaginavo nuda, sotto la doccia, mentre si insaponava e la sua pelle si rilassava sotto gli effetti della schiuma al sandalo. Un profumo che sa di terra ma anche di mare, di cibo da masticare e leccare.
Il bambino smise all'improvviso di contorcersi come una biscia. Il semaforo segnò verde. Ma le auto in corsa verso la spiaggia di Pula non si mossero di un millimetro. Né la mia né la sua. La strada era intasata, come ogni sabato mattina. Nessuno osò neppure sfogarsi con il clacson, un gesto inutile. Il rosso si riposizionò sulle nostre teste, e il bambino iniziò a scartare una merendina. Gli sorrisi.
«Mangia, bimbo bello, mangia», pensai.
Avevo riconosciuto la confezione. Il produttore era un mio cliente. Ogni mese lo rifornivo di alcuni quintali di ovoprodotto. Proveniva da una ditta di riciclaggio di rifiuti del torinese che, invece di smaltire uova ammuffite, rotte, invase da parassiti, le ripuliva alla buona della putrescina e della cadaverina e le trasformava in una poltiglia confezionata in comodi bidoncini da cinque chili, pronti per essere versati nelle impastatrici delle industrie dolciarie. E non doveva essere cattiva dato il gusto con cui il bambino ora addentava la merendina con un'avidità da adulto, senza lasciare che neppure una briciola cadesse fra i sedili. Il proprietario della ditta non aveva mai fatto domande sulla qualità del prodotto ma il prezzo e l'assenza di etichette sui contenitori spiegavano già tutto.
© 2007, Giulio Einaudi editore
Francesco Abate, Massimo Carlotto – Mi fido di te
178 pag., 14,00 € - Edizioni Giulio Einaudi 2007 (Stile libero BIG)
ISBN 9788806182557Gli autori
31 maggio 2007 | Di Sara Marchesi |
Un romanzo di avventura criminale. Dal Nordest a Cagliari, tra mafiosi russi e imprenditori disinvolti, va in scena Gigi Vianello: un personaggio che unisce nefandezza e innocenza, convinto di farcela sempre e comunque e che raggiunge, nella sua cialtroneria, un suo cupo eroismo.
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