Le recensioni di Wuz.it

Chi ha fatto il turno di notte di Izet Sarajlic

8 marzo del novantaquattro.
La Sarajevo amorosa non si arrende.
Sul tavolo l’invito per il matinée danzante allo «Sloga».
Naturalmente ci andiamo.

I miei pantaloni sono abbastanza stazzonati,
e anche la tua veste non è da Via Veneto.
Ma noi non siamo a Roma,
noi siamo in guerra.

Arriva anche Jovan Divjak. Dagli stivali si vede
che è appena giunto dalla prima linea.
Quando ti chiede un ballo, tu sei un po’ confusa.
È la prima volta che balli con un generale.

Il generale non sa neppure lui l’onore che ti ha fatto,
ma, per Dio, anche tu al generale.
Ha ballato con la più celebrata signora di Sarajevo.
Ma questo tango – è solo nostro!

Dalla spossatezza ci gira un po’ la testa.
Cara, è passata anche la nostra magnifica vita.
Piangi, piangi pure, non siamo in Via Veneto
e questo forse è anche il nostro ultimo ballo.


A dieci anni dalla morte, Einaudi celebra Izet Sarajlić, con una raccolta che ripercorre, in ordine cronologico, quasi cinquant’anni (dal 1950 al 1998) della sua produzione poetica.

“Chi ha fatto il turno di notte per impedire l’arresto del cuore del mondo? Noi, i poeti.” È  quanto scrive Sarajlić a Erri De Luca, in una delle Lettere fraterne; forse perché, come scrive lo stesso De Luca, “chi è stato responsabile della felicità, lo è pure dell’infelicità.” Di fronte a questo compito il poeta serbo non si mai è tirato indietro, non ha abbandonato la sua gente né rinnegato la sua città, neanche quando, più volte negli anni, essa ha rappresentato morte e devastazione, perdita degli affetti più cari: “Qui, se chiamo persino i pioppi, miei concittadini,/ anch’essi sapranno ciò che mi fa soffrire./ Perché questa è la città dove forse non sono stato/ troppo felice,/ ma dove tuttavia anche la pioggia quando cade non è/ solo pioggia.” Sarajevo è dunque la Città, quel luogo che non ha un significato solo locale ma porta con sé il senso dell’intera esistenza del poeta, del suo dolore come della sua gioia, di un legame viscerale che, per quanto sofferto, è impossibile recidere: ""C’è un vantaggio nel fatto di non essere un poeta ceco/ mentre prendo congedo da Praga./ Quelli la possono insultare, come io la mia Sarajevo,/ ma non possono staccarsene, come neppure io dalla/ mia Sarajevo"". I versi che hanno fatto innamorare sono anche quelli che danno testimonianza delle sofferenze di tutti, perché essere intellettuale vuol dire questo per Sarajlić: restare in patria e impedire il collasso del proprio popolo, confortare di sera gli uomini soldati di giorno, raccontare le disgrazie di una città assediata. La passione civile si fa poesia.


“Sarajevo e una donna”, verrebbe da pensare leggendo questi versi. Come Trieste e Lina per Saba, Sarajevo e sua moglie furono per Sarajlić le ragioni di vita e i nuclei costitutivi della sua poesia, i punti di riferimento indiscussi anche quando non ce n’erano o non ci sarebbero stati più: ""Tante donne/ e nessuna tu.//  A Sarajevo/ duecentomila donne/ e nessuna tu.// In Europa/ duecento milioni di donne/ e nessuna tu.// Nel mondo/ due miliardi di donne/ e nessuna tu"". Le ripetizioni anaforiche, il procedimento iperbolico (da Sarajevo si passa all’Europa e poi al mondo), l’utilizzo grammaticalmente scorretto ma affettivamente importantissimo del “tu” sono i segni poetici di un amore unico e sempre primo (Se in me un giorno, quando che sia, spuntasse un/ secondo amore/ farebbe fatica con me./ Dovrebbe avere lo stesso viso del mio primo amore./ Lo stesso ricciolo. Lo stesso naso all’insù. Lo stesso/ colore degli occhi./ Lo stesso passo. Le stesse abitudini. Persino lo stesso/  indirizzo./ Di fatto, questo neppure sarebbe il mio secondo amore. Sarebbe semplicemente la continuazione del mio primo,/ unico amore), del tutto di fronte al niente della guerra, del pieno da opporre al vuoto dell’angoscia.

La profondità dei temi è in apparente contrasto con una lingua semplice: le frasi paratattiche, le anafore, la nominazione di luoghi e persone conosciuti sembrano voler ricreare un’ambientazione familiare, intima. Il vissuto personale una volta trasposto in versi non assume mai i toni distaccati di un testo letterario; al contrario, Sarajlić riesce a parlare al lettore con un’immediatezza quasi paterna. D’altra parte un poeta deve “diventare un membro di famiglia e non restare l’autore di versi pubblicati” (De Luca).

Izet Sarajlić - Chi ha fatto il turno di notte
pagg. 123, 12 € - Edizioni Einaudi (Collezione di poesia)
ISBN 9788806210120


L'autore


17 febbraio 2012 Di Manola Lattanzi

Chi ha fatto il turno di notte
Chi ha fatto il turno di notte Di Izet Sarajlic;

Un maestro della poesia anaforica, incalzante, oratoria. E però, contemporaneamente, intima, capace di far risuonare il silenzio fra le parole per toccare le corde più riposte di un sentimento. Sarajlic è uno dei grandi poeti del secondo Novecento: ha affrontato temi di poesia civile, l'amore, la morte, l'arte, sempre trovando le vie apparentemente divergenti dell'emozione e dell'ironia. Questo grazie a un calore umano intensissimo che passa in ogni suo verso e arriva al lettore con forza contagiosa. Lo hanno amato poeti molto diversi fra loro, come Enzensberger, Brodskij, Simic, proprio perché la sua voce poetica ha un segno unificante, è il simbolo di una poesia universale, colta ma immediata, sempre consapevole ma lontana dalle scuole e dalle tendenze. A dieci anni dalla morte, questo libro propone una scelta di poesie di Sarajlic, alcune inedite in italiano, che ripercorre circa cinquant'anni della sua straordinaria esperienza poetica. Prefazione di Erri De Luca.

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