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La colonna sonora di Mike Patton per La solitudine dei numeri primi


""Credo che La solitudine dei numeri primi sia un horror sentimentale sulla famiglia e sulla sua impossibile emancipazione, accompagnato dalle note blu elettrico di un synt analogico""
  • La solitudine dei numeri primi il film


In un film come La solitudine dei numeri primi la colonna sonora non poteva che ricoprire un ruolo fondamentale per esprimere musicalmente il carico di emotività presente di volta in volta nelle scene, sia che si tratti di un momento di empatia fra i due protagonisti, sia nelle scene a sfondo drammatico.

La colonna sonora del film di Costanzo è affidata Mike Patton, un artista completo e versatile, con una carriera musicale di tutto rispetto alle spalle. Classe 1968, di origini statunitensi, residente in Italia, più precisamente a Bologna, per molti anni, Patton ha fatto parte di diversi gruppi musicali, a partire dai Mr. Bungle, gruppo rock/metal sperimentale fondato in California a metà anni Ottanta, e i Faith No More, band attiva dal 1982 al 1998 e recentemente riunitasi nel 2009, dopo più di dieci anni di inattività. Oltre a suonare e cantare in gruppi musicali, Patton ha collaborato con svariati artisti come Björk, Sepoltura, John Zorn, Roy Paci e molti altri.

Il pezzo forte della colonna sonora è rappresentato sicuramente da Bette Davis Eyes, brano scritto nel 1974 da Donna Weiss e Jackie DeShannon e portato al successo nel 1981 dalla voce di Kim Carnes, che richiama la figura della mitica attrice, Bette Davis appunto, una delle personalità cinematografiche più importanti del secolo scorso, ricordata per la sua professionalità, un caratterino non proprio facile e i grandi occhi espressivi.

Il richiamo a Dario Argento è palese: il film si apre con un brano inedito dei Goblin, autori della colonna sonora di Profondo Rosso, Suspiria e Tenebre, e prosegue poi con l’Ennio Morricone de L’uccello dalle piume di cristallo. La scelta delle musiche non è casuale, come afferma il regista stesso in un’intervista. La colonna sonora doveva rappresentare ""una certa ironia horror nell’irrapresentabilità del dolore"" e il tutto doveva ""accompagnare quel senso di artificialità, di sintetico, che caratterizza i vari intrecci temporali del racconto. In fondo si intersecano momenti storici definiti (1984, 1991, 2001, 2008) e la musica doveva da una parte contestualizzare quelle date, dall’altra essere palese fonte di distrazione: era l’unico modo per potermi concedere quei 20 minuti finali di silenzio totale"".




23 settembre 2010 Di Elena Spadiliero

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