Gli appunti scuola di Wuz.it

Cominciamo a leggere: Breve trattato sulla decrescita serena

Un saggio di Serge Latouche, edito da Bollati Boringhieri

Leggi l'intervento di Latouche
Leggi la recensione


Introduzione

Ci sono tre domande in questo mondo, ci dice Woody Allen: Da dove veniamo? Dove andiamo? Che mangiamo stasera? Se per i due terzi dell'umanità la terza domanda rimane la più importante, per noi abitanti del Nord, i sovralimentati del sovraconsumo, non è più un problema. Consumiamo troppa carne, troppi grassi, troppo zucchero, troppo sale. Siamo minacciati dal sovrappeso. Rischiamo il diabete, la cirrosi epatica, l'eccesso di colesterolo e l'obesità. Staremmo meglio se ci mettessimo a dieta. E abbiamo dimenticato le altre due domande, che anche se meno urgenti sono tuttavia più importanti. Va ricordato che gli obiettivi che la «comunità» internazionale si è data all'alba del terzo millennio per il 2015 riguardano la salute per tutti e lo sradicamento della povertà, prima ancora che la lotta contro le fonti di inquinamento.
Dove andiamo? Dritti contro un muro. Siamo a bordo di un bolide senza pilota, senza marcia indietro e senza freni, che sta andando a fracassarsi contro i limiti del pianeta.


In realtà siamo perfettamente al corrente della situazione. A partire da Primavera silenziosa di Rachel Carson (1962), si sono levate abbastanza voci autorevoli per impedirci di far finta che non sapevamo. Il famoso rapporto del Club di Roma sui «limiti dello sviluppo» (1972) ci aveva già avvertito che il proseguimento indefinito della crescita era incompatibile con i «fondamentali» del pianeta. In pratica non passa giorno senza che nuovi rapporti sconvolgenti, della più diversa provenienza, confermino questa diagnosi basata sul semplice buon senso. Dopo la dichiarazione di Wingspread (i991), l'Appello di Parigi (2003) e il Millennium Assessment Report, sono venuti i rapporti del Gruppo intergovernativo di esperti sull'evoluzione del clima (GIEC), quelli delle ONG specializzate (WWF, Greenpeace, Amici della Terra, Worldwatch Institute ecc.), ma anche quelli, semisegreti, del Pentagono e quelli più confidenziali della Fondazione Bilderberg, e poi il rapporto di Nicolas Stern al governo britannico, per non parlare degli appelli lanciati dal presidente Chirac a Johannesburg o da Nicolas Hulot nella campagna presidenziale del 2007, passando per la denuncia dell'ex vicepresidente americano Al Gore...

Ma, sicuri del nostro pasto di stasera, facciamo orecchie da mercante. Soprattutto, evitiamo di chiederci da dove veniamo: da una società della crescita, ovverosia da una società fagocitata da un'economia la cui sola finalità è la crescita fine a se stessa. L'assenza di una vera critica della società della crescita nella maggior parte dei discorsi ambientalisti, che tergiversano con grandi circonlocuzioni sullo sviluppo sostenibile, è significativa. Denunciare la «frenesia delle attività umane» o l'imballamento del motore del progresso non può giustificare l'assenza di un'analisi della megamacchina tecnoeconomica capitalistica e mercantilista, di cui siamo gli ingranaggi forse compiici ma sicuramente non le molle. Questo sistema basato sulla dismisura ci porta in un vicolo cieco. Questa schizofrenia mette il teorico di fronte a una situazione paradossale: ha contemporaneamente la sensazione di sfondare delle porte aperte e di predicare nel deserto. Dire che una crescita infinita è incompatibile con un mondo finito e che le nostre produzioni e i nostri consumi non possono superare le capacità di rigenerazione della biosfera sono ovvietà su cui non è difficile trovare consensi. Ma molto più difficile è trovare consensi sui fatti altrettanto incontestabili che quelle produzioni e quei consumi devono essere ridotti (all'incirca di due terzi in Francia) e che la logica della crescita sistematica a 360 gradi (il cui nocciolo è la coazione alla crescita del capitale finanziario) deve essere rimessa in discussione, insieme al nostro stile di vita. Se poi si indicano i principali responsabili della situazione esistente, si cade subito nella blasfemia.
Mentre il torrente sta uscendo dagli argini e minaccia di devastare tutto, la necessità di ridurre la piena, e cioè l'idea stessa della decrescita, non è ben accetta. E tuttavia accettarla è indispensabile, se si vuole uscire dal torpore che ci impedisce di agire. Allora bisogna (1) misurarne la portata, (2) proporre un'alternativa al delirio della società della crescita, ovverosia l'utopia concreta della decrescita e infine (3) precisare gli strumenti per la sua realizzazione.

© 2009, Bollati Boringhieri


30 aprile 2009 Di Serge Latouche

La posta della redazione

La posta della redazione

Hai domande, dubbi, proposte? Vuoi uno spiegone?
Scrivi alla redazione!

Chiudi

Per poter aggiungere un prodotto al carrello devi essere loggato con un profilo Feltrinelli.

Chiudi

Per poter aggiungere un prodotto alla lista dei desideri devi essere loggato con un profilo Feltrinelli.

Chiudi

Il Prodotto è stato aggiunto al carrello correttamente

Chiudi

Il Prodotto è stato aggiunto alla WishList correttamente