De Giovanni prende un’ambientazione da cartolina e la ribalta, calando il lettore in una Napoli gelida, insolitamente plumbea e fiaccata da un autunno opprimente, su cui incombe l’ombra di un delitto passionale.
«Il cadavere era di un uomo grande e grosso, riverso di lato, le braccia strette al petto e le ginocchia contro il ventre. Il vestito che indossava era di buona fattura, e il soprabito, aperto, pareva nuovo e costoso, anche se sporco di fango. Poteva avere una cinquantina d'anni, forse meno. Il volto era tumefatto e la tempia sinistra recava una strana depressione.»
Napoli d’ottobre è un incanto. Un mese perfetto per visitare la città vigilata dal Vesuvio, il bell’addormentato. Il clima è mite e le sere rimangono tiepide, nonostante, di tanto in tanto, dal mare si levi un pungente venticello a raffreddare i bui anfratti del centro storico, dove, se catapultati negli anni del Ventennio, avremmo ancora la possibilità di assistere a una serenata. Al cospetto delle sinuose guglie barocche del rione Mater Dei, troveremmo dei coloriti guitti intonare languidi inni amorosi, accompagnati da improvvisate orchestrine di chitarre e mandolini, spesso oggetto degli improperi di chi non aveva alcuna intenzione di essere svegliato dagli indolenti latrati dell’innamorato.
De Giovanni prende in prestito questa ambientazione da cartolina e la ribalta, svuotandola della spicciola retorica da Ministero del Turismo e calando il lettore in una Napoli gelida, insolitamente plumbea e fiaccata da un autunno opprimente, su cui incombe l’ombra di un delitto passionale. L’autore ha già saputo in passato giocare con gli stereotipi della bella Parthenope, restituendoci anche stavolta una Napoli dall’atmosfera insolita, che a tratti sembra Trieste o il soggetto di una tela di pittura metafisica.
Ricciardi stesso, laconico gagà di provincia, incarna un ideale di napoletanità ben diverso dall’immaginario comune. Il commissario è schivo, perennemente tormentato da una malinconia che non ne vuole sapere di andarsene. Potrebbe evitare di darsi da fare, dati i nobili natali e le ingenti ricchezze, ma si è messo in testa di lavorare per la Polizia. Unica concessione al folklore autoctono è l’immancabile caffè in tazzina bollente al Gombrinus nonché la compagnia del tragicomico Brigadiere Maione, il suo Watson, una macchietta ossessionata dal cibo e da altre sciocchezze mondane. Il commissario non ha tempo di pensare a certe quisquilie, perché quando indaga viene colto da una furia compulsiva, causatagli dal Fatto, il dono di captare le ultime parole dei deceduti su cui indaga. Il tormento di quelle voci lo getta in un vortice di emozioni tale che, se rimanesse fermo, ne verrebbe sopraffatto. L’unico farmaco è indagare non stop.
In questo romanzo dovrà affrontare, oltre al caso, lo spettro dell’anaffettività, un vuoto che lo sta lacerando da troppo tempo e che forse sarebbe opportuno riempire con una bella dark lady. Come negli altri romanzi della serie, e invero peculiarità del genere, l’indagine è un pretesto per tratteggiare ulteriormente la caratterizzazione del protagonista e di conseguenza a un delitto passionale non potrà che corrispondere l’innescarsi di sentimenti travolgenti nell’altrimenti mite Ricciardi.
Il motore della trama è il ritorno in Italia di Vinnie Sannino, un affermato pugile da giovane emigrato negli States. Aveva lasciato la bella Concettina con la promessa che una volta tornato l’avrebbe resa sua sposa e madre di numerosa prole. La ragazza non ha saputo aspettare, preferendo sistemarsi nell’immediato con un ricco commerciante. Invano il ricorso alla gelida serenata ottobrina sotto casa dell’amata. Le lacrime versate non hanno sortito alcun effetto, se non destare la curiosità degli astanti e l’empatia dell’orchestrina, raramente testimone di una prova d’amore tanto struggente. Il marito di lei chiaramente non apprezza le attenzioni. Coincidenza vuole che qualche giorno dopo venga trovato morto, con la tempia sfondata da quello che sembrerebbe un jab scagliato da un vero professionista. Il caso pare di facilissima soluzione, il movente e la dinamica del delitto sono lampanti. Tuttavia al commissario qualcosa non torna, le ultime parole dei defunti spesso sono enigmatiche e poco utili alla risoluzione del caso, ma stavolta sembrerebbero scagionare il sospettato. Per Ricciardi si prospetta una settimana difficile.
De Giovanni mentre scrive deve provare un gran divertimento. Si è oramai affezionato al suo commissario e tra le righe si percepisce una sorta di identificazione tra autore e personaggio. Dubitiamo che lo scrittore napoletano senta rimbombare dentro di sé le voci dei morti, ma saremmo pronti a giurare che buona parte dei tormenti di Ricciardi appartengano anche a lui. Di sicuro sappiamo che anche questo capitolo della saga del commissario mantiene le promesse, grazie a una trama solida che rifugge dai clichés del noir, offrendoci un’ulteriore prospettiva su un personaggio destinato a rimanere nei cuori dei lettori per molto tempo ancora.
Recensione di Matteo Rucco
Serenata senza nome. Notturno per il commissario Ricciardi - Maurizio De Giovanni
374 p., brossura - 19 € - Einaudi
ISBN 9788806225537
Sono passati più di quindici anni da quando Vinnie Sannino è emigrato in America, imbarcandosi di nascosto su una nave. Là ha avuto successo, è diventato campione mondiale di pugilato nella categoria dei mediomassimi. Ma il suo ultimo avversario, un pugile di colore, è morto, e lui non se l'è più sentita di continuare. Adesso è tornato per inseguire l'amore mai dimenticato, Cettina, la ragazza che alla sua partenza aveva pianto disperata. La vita, però, è andata avanti anche per lei, che ora è donna e moglie. Vedova, anzi: perché il marito, un ricco commerciante, viene trovato morto. Qualcuno lo ha assassinato finendolo con un pugno alla tempia, simile a quello che, in una sera maledetta, Vinnie ha vibrato sul ring dall'altra parte del mondo. Per Ricciardi e Maione, e per i loro cuori, sarà davvero una brutta settimana di pioggia.
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