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L'uomo che cade

Don DeLillo

""Continuavamo a scendere. Buio, poi luce, poi di nuovo buio. Mi sembra di esserci ancora, su quelle scale. Volevo mia madre. Dovessi campare cent’anni sarò sempre ancora su quelle scale. Ci stavamo mettendo così tanto che in un certo senso era quasi normale. Non potevamo correre, per cui non era un fuggifuggi frenetico. Eravamo bloccati tutti insieme. Volevo mia madre.""

Quanti romanzi, quanti poemi hanno a che fare con la caduta, sia reale sia metaforica. E l’aver scelto un titolo come L’uomo che cade, da parte di Don Delillo per il suo romanzo, lascia intendere che pure qui la valenza della caduta sia duplice nel contesto dell’America del dopo-11 settembre. 
Perché certamente gli occhi della mente corrono alle immagini tremende che hanno inondato i nostri schermi in quel giorno fatidico - l’aeroplano simile a un insetto che entrava in una torre, il fumo, lo svolazzare incredibile di fogli, come farfalle, o come i volantini di propaganda disseminati dall’alto durante la guerra. E poi la gente che si buttava nell’ultimo volo disperato e parevano burattini, o bambole di pezza. Ma non lo erano, e non riusciamo neppure ad immaginare quale visione di morte li abbia portati a scegliere quest’altra, nell’aria. E tuttavia, leggendo il romanzo di Delillo, c’è un’altra caduta - possibile, temuta da chi ha il coraggio o l’onestà di guardare bene davanti a sé. La caduta dalla vetta dell’invincibile supremazia americana, dal mito dell’intoccabilità, da tutte le sicurezze. E, come nella caduta originaria agli albori dei tempi, pure dietro questa caduta c’è una colpa, per chi vuole riconoscerla.

La prima pagina del romanzo evoca proprio una scena di guerra: mentre l’aria vibra ancora per il boato, un uomo con frammenti di vetro nei capelli e sul viso si allontana con una valigetta in mano, in strade piene di gente che corre riparandosi la testa, in una pioggia di calcinacci e detriti. 
Potrebbe essere una città europea bombardata durante la seconda guerra mondiale, dagli aerei tedeschi, o inglesi. O americani. 
L’uomo si chiama Keith, lavorava nella Torre Nord del World Trade Center, istintivamente trova la strada di casa, o almeno, di quella che era la sua casa prima che si separasse dalla moglie. Vuole certamente dire molto che, in un momento di grave crisi, l’uomo cerchi rifugio nella famiglia, punto saldo nel suo mondo che è crollato insieme alle torri. La moglie Lianne lo accoglie, il bambino è felice di riavere il padre a casa. Potrebbe essere l’inizio di un nuovo idillio. Ma l’intento del romanzo è un altro - indagare sulle conseguenze che l’attacco al cuore dell’America ha avuto nell’intimo delle persone, sia di chi è sopravvissuto all’esperienza, come Keith, o come la donna la cui valigetta Keith si è ritrovato in mano, sia di chi era a casa -  come Lianne - e ha visto tutto in diretta sullo schermo televisivo, sia di chi - come il bambino Justin, figlio di Keith, e i suoi amichetti - non riesce a comprendere e tutto diventa una sorta di nuovo gioco segreto, una specie di ‘guardie e ladri’ in cui però i ladri sono in aereo e bisogna spiare il cielo con il cannocchiale per avvistarli, e il loro capo si chiama Bill Lawton, o così hanno capito il nome dell’uomo barbuto che minaccia l’America.


È un’America che ha paura, quella del dopo-11 settembre, un’America ripiegata su se stessa incline a pensare al declino, alla fine di un’epoca, alla necessità di difendersi. 
Proliferano le immagini di morte nel romanzo - Lianne ricorda il suicidio del padre, il quadro di Morandi in casa della madre di Lianne è una “Natura morta” e le bottiglie dipinte fanno pensare alle Torri, uno degli amici di Keith è morto alla sua scrivania nella Torre, muore pure l’artista performativo che si lancia da altezze simulando ‘l’uomo che cade’ dalle torri - e Lianne si occupa di un gruppo di persone malate di Alzheimer: di che cosa ha perso memoria l’America? 
Deve per forza essere un personaggio che vive per lo più in Europa a fare le domande scomode, dicendo: “Una cosa del genere la si costruisce soltanto per vederla crollare. La provocazione è evidente.” 

C’è un altro filone nel romanzo, quello che segue la formazione dei terroristi in una vita quotidiana paradossalmente normale che li porterà all’azione fuori da ogni norma, ma è una parte che resta sempre in secondo piano e nessuno dei personaggi è veramente convincente. Neppure l’intero romanzo ci convince del tutto, ci pare migliore la prima parte, quella del tramortimento e dello stupore attonito, che quella che segue gli effetti su Keith e la sua famiglia. Ma chi sa mai, poi, gli abissi in cui si precipita, dopo la caduta.

Titolo originale: Falling Man
Traduzione di Matteo Colombo


Le prime pagine

Capitolo primo

   Non era più una strada ma un mondo, un tempo e uno spazio di cenere in caduta e semioscurità. Camminava verso nord tra calcinacci e fango e c'erano persone che gli correvano accanto tenendosi asciugamani sul viso o giacche sulla testa. Avevano fazzoletti premuti sulle bocche. Avevano scarpe in mano, una donna gli corse accanto, una scarpa per mano. Correvano e cadevano, alcuni, confusi e sgraziati, fra i detriti che scendevano tutt'intorno, e qualcuno cercava rifugio sotto le automobili.
   Nell'aria c'era ancora il boato, il tuono ritorto del crollo. Il mondo era questo, adesso. Fumo e cenere rotolavano per le strade e svoltavano angoli, esplodevano dagli angoli, sismiche ondate di fumo cariche di fogli di carta per ufficio in formati standard dai bordi taglienti, che planavano, guizzavano in avanti, oggetti soprannaturali nel sudario del mattino.
   Lui indossava giacca e pantaloni e portava una valiget-ta. Aveva vetri fra i capelli e sul viso, capsule marmorizzate di sangue e luce. Superò un cartello, Breakfast Special, e altri gli sfrecciarono accanto, una corsa di vigili urbani e guardie private, con le mani premute sui calci delle pistole per tenerle ferme.
   Dentro, dove avrebbe dovuto trovarsi, le cose erano distanti e immobili. Stava accadendo ovunque intorno a lui, un'automobile mezzo sepolta dai detriti, finestrini sfondati e rumori che fuoriuscivano, voci radiofoniche che sfioravano i calcinacci. Vide persone che correndo spargevano acqua, abiti e corpi infradiciati dai getti dei sistemi antincendio. C'erano scarpe abbandonate per strada, borsette e computer portatili, un uomo seduto sul marciapiede che tossiva sangue. Bicchieri di carta avanzavano rimbalzando in modi strani.
   Il mondo era anche questo, sagome dentro finestre a trecento metri d'altezza, che cadevano nel vuoto, e tanfo di combustibile in fiamme, e lo squarcio costante delle sirene nell'aria. Il rumore si posava ovunque fuggissero, strati di suono che si raccoglievano intorno a loro, e lui se ne allontanava e vi entrava al tempo stesso.
   Poi ci fu un'altra cosa, fuori da tutto questo, qualcosa che non c'entrava, su nel ciclo. La osservò scendere. Dall'alto del fumo sbucò una camicia, una camicia che risalì e fluttuò nella poca luce, per poi di nuovo cadere, giù verso
il fiume.
   Correvano e si fermavano, alcuni di loro, continuando a ondeggiare, cercando di strappare fiato ali'aria bollente, e poi le grida convulse di incredulità, e le bestemmie e le urla perdute, e le carte che si ammassavano nell'aria, contratti, curricula che volavano, frammenti integri di affari, veloci nel vento.
   Continuò a camminare. Di quelli che correvano, alcuni si erano fermati, altri imboccavano vie laterali. C'era chi camminava all'indietro, lo sguardo fisso al centro di tutto, alle tante vite che laggiù si dibattevano, e le cose continuavano a cadere, oggetti bruciati che si trascinavano dietro scie di fuoco.
   Vide due donne singhiozzare nella loro marcia al contrario, guardando al di là di lui, entrambe in calzoncini sportivi, il crollo riflesso nelle facce.
   Vide membri del gruppo di tai chi del vicino parco, in piedi, con le mani tese grossomodo all'altezza del petto e i gomiti piegati, come se tutto questo, loro stessi inclusi, potesse essere collocato in uno stato di sospensione.

© 2008, Giulio Einaudi editore

L’uomo che cade – Don Delillo
257 pag., 17,50 € – Edizioni Einaudi 2008 (Supercoralli)
ISBN 978-88-06-18871-9


L'autore



07 marzo 2008 Di Marilia Piccone

L' uomo che cade
L' uomo che cade Di Don DeLillo;

Keith Neudecker lavora nelle Twin Towers e sopravvive al crollo di una delle due. Si ritrova coperto di cenere, vetro e sangue, in mano stringe una valigetta non sua. Scioccato, si fa portare a casa della moglie Lianne, dalla quale si era separato da oltre un anno. Keith e Lianne cercano di riavvicinarsi, con loro c'è il figlio Justin, che passa le giornate scrutando il cielo alla ricerca di altri aerei mandati da Bill Lawton (così, con i suoi amici, Justin storpia il nome di bin Laden). Dalla valigetta Keith risale a Florence, un'altra sopravvissuta, che inizia a frequentare all'insaputa della moglie. Una relazione, anche sessuale, retta sul trauma che li accomuna. Nella seconda parte compare Nina, la madre di Lianne. Da dopo il suicidio del marito sta con Martin, un uomo ambiguo che ha vissuto tra gli Stati Uniti e l'Europa: un miscredente, un occidentale, un bianco, ma forse anche un terrorista. Tre anni dopo, il tentativo di ricostruire la famiglia è fallito: Keith trascorre lunghi periodi in viaggio, da Parigi a Las Vegas, immerso nei tornei di poker, assorbito in una vita che lo riduce quasi una cosa; Lianne aiuta con corsi di scrittura creativa anziani affetti dall'Alzheimer e si è avvicinata alla religione cattolica. Le loro vite sono intersecate dall'uomo che cade, un performer che si lancia in caduta statica da vari punti della città, assumendo le posizioni di un uomo che si era buttato dalle Torri prima del crollo: "a testa in giù, con le braccia tese lungo i fianchi, un ginocchio sollevato".

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