Il vassoio ""Putrella"" Il cestino ""In attesa""
Se mi si chiede qual è l'oggetto ideale che avrei voluto creare rispondo sempre: la palla! Inizi a usarla a un anno, ci giochi fino a novanta, nel corso del tempo ti permette di seguire regole diverse. Non è mai condizionante.
“Progettare è una pulsione insita nell’uomo”, sostiene Mari, “come l’istinto di sopravvivenza, la fame, il sesso”.
Quello di Mari è un libro che alterna riflessioni e considerazioni sulla pratica del design, della quale l’autore è riconosciuto maestro, a spunti autobiografici. Questi non sono mai frammenti fini a se stessi, quanto piuttosto parti di una educazione sentimentale lunga una vita. Oggetto dell’amore di Mari naturalmente è il design, come momento di relazione e confronto fra l'uomo e il mondo da cui questi è circondato.
Sin dai primi anni della sua attività, questo inesausto sperimentatore di materiali e soluzioni che contribuiscano a migliorare la vita di tutti i giorni si è speso per cercare una teoria che unificasse le idee da umanista sul rapporto fra estetica e funzione.
“La forma deve essere eterna, fuori dalle mode e dalle convenzioni”. Proprio come quella delle brocche per l’acqua fatte dagli artigiani di un tempo, portatrici di un’eleganza naturale. ma la forma, naturalmente, non può e non deve mai prescindere dalla funzione cui deve presiedere, altrimenti è ornamento, e Mari non cessa di ricordarci come - anche nell'architettura - ami più di ogni altra cosa l'essenzialità.
Mari, agli inizi degli anni sessanta, realizza che i semilavorati industriali riassumono alcune delle caratteristiche che il design a suo avviso dovrebbe possedere: i materiali sono lavorati velocemente e in modo omogeneo, le forme sono sempre uguali e le tecniche di produzione permettono di “tirare” quantitativi ad hoc dell’oggetto che si vuole produrre. È un’intuizione da cui discenderà una filone aureo, e che troverà nell’Italia degli anni sessanta e settanta una quadratura del cerchio fra tradizione umanistico/estetica, maestria artigianale e capacità produttiva dell’industria. È l'intuizione che sta alla base di ""Putrella"", vassoio che poggia il proprio concetto sulla forma peculiare di un manufatto usato nell'industria, sui luoghi del lavoro, e la traduce in un complemento buono per il salotto. Oppure ""In attesa"", cestino da ufficio che nel suo protendere la bocca verso l'impiegato (o il designer) che vi getterà un pezzo di carta appallottolato rappresenta un cortocircuito fra un'astrazione ironica e un oggetto di uso comune.
Oggi “design italiano” è una locuzione proverbiale, un po’ come “orologio svizzero” o “vino francesi”, ma siccome ogni rinascimento ha un inizo e una fine, sembra ammonire Mari, non bisogna dare per scontata l’eccellenza di una scuola che – negli ultimi trent’anni – ha decisamente segnato il passo, e ha fatto spazio a un “degrado della qualità progettuale” di cui ancora non si intravede la fine. Un libro battagliero e fieramente polemico nei confronti di un settore che sembra essere diventato “terzista dell’industria”, ovvero ha smesso di progettare per dedicarsi esclusivamente a produrre. Questa, nella visione di Mari, è la resa di un'avanguardia creativa che ha saputo farsi interprete della pulsione progettuale ai tempi dell'industria.
Enzo Mari - 25 modi per piantare un chiodo
177 pagine, 17,50 euro - Mondadori (Strade Blu)
ISBN 9788804606918
12 aprile 2011 |
"Se questo libro segue il filo delle mie esperienze è perché, attraverso di esse, un anno dopo l'altro, ho cercato di comprenderne l'obiettivo." Con lo spirito curioso e concreto del bambino che imparando a sperimentare e a muoversi nel mondo acquisisce conoscenza, Enzo Mari si racconta in prima persona, dal periodo di autoformazione dell'infanzia e della prima giovinezza, tra gli anni Trenta e Quaranta, attento ai molti stimoli di una realtà difficile ma in pieno fermento, agli studi all'Accademia di Brera, alla fase di più intensa attività artistica che ha fatto di lui uno dei designer più geniali e innovativi del Novecento. Mari è sempre stato mosso dalla convinzione che progettare corrisponda a una pulsione profonda insita in ogni essere umano. Una convinzione che lo ha portato, negli anni Sessanta, a rivoluzionare il concetto di design, realizzando, con coerenza, un'"utopia democratica": disegnare e produrre oggetti belli e utili per la gente comune, fino ad allora esclusa da un'arte ritenuta elitaria. Con la fine degli anni Settanta, Mari considera conclusa l'utopia del design. Da questo punto in poi la sua testimonianza autobiografica si trasforma in una severa denuncia del progressivo degrado del lavoro progettuale odierno.
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