T'insegneranno a non splendere. E tu splendi, invece.
Se c’è una cosa che abbiamo imparato dalla lettura dei romanzi di formazione è che a un certo punto della vita succede qualcosa che cambia tutto. E che, chissà per quale motivo, succede d’estate. All’inizio è tutto normale: la scuola finisce, la mente si svuota, le giornate si fanno luminose e quasi infinite; poi, il grande evento che rimescola le cose e cambia le prospettive. E alla fine dell’estate, quando la luce si fa più tenue e l’aria porta con sé i profumi dell’autunno, niente è più come prima. Tutto d’un tratto, siamo diventati grandi.
Anche per Pietro è così. Ha dodici anni e vive a Milano – anzi, Milanox, per essere precisi, dato che il quartiere periferico dove trascorre le giornate è talmente malfamato che si può paragonare al Bronx – in un palazzone abitato da immigrati provenienti dal sud d’Italia e del mondo. I suoi genitori avevano abbandonato la loro terra, la Lucania, in cerca di lavoro, diventando agli occhi dei milanesi una «famiglia di invasori in una terra piena di ricchezze e di cose belle». Per diverso tempo le cose non erano andate male, ma poi la madre di Pietro se n’era andata e l’aveva lasciato solo con il padre e la sorellina Nina. A dieci anni era rimasto orfano, e sua madre aveva iniziato a vivergli dentro.
L'estate dei suoi dodici anni inizia con una bocciatura. E con un viaggio. Pietro torna ad Arigliana, il paesino di montagna dove si sono conosciuti e innamorati i suoi genitori, per trascorrere le vacanze insieme a Nina, ai nonni e agli altri ragazzi che ha conosciuto durante le estati passate. Lì la vita scorre lenta, tra lavori nei campi e chiacchiere di paese. Lì per giocare bastano un pallone, una manciata di sassi o un nuovo cunicolo da esplorare. Lì non succede niente da cent'anni, fino a quando Pietro non si avventura nella vecchia torre diroccata e trova una famiglia di migranti. Sembrano rinchiusi lì da un tempo infinito, tanto sono magri e sporchi, invece sono passati ""solo"" tre mesi dal loro arrivo, da quando il parroco li ha trovati e nascosti, per poi quasi dimenticarsene.
Ed è in seguito a quella scoperta che Arigliana sembra risvegliarsi. Gli abitanti si sentono sotto minaccia, pensano alle conseguenze della presenza di questi stranieri, al lavoro che potrebbero rubare e alle terre che potrebbero occupare. Tutti sembrano aver cancellato dalla memoria quegli anni non così lontani in cui ad andarsene erano loro, uomini e donne costretti a lasciare la loro sicurezza per avventurarsi su al Nord o addirittura oltreoceano in cerca di fortuna, disposti ad accettare anche i lavori più umili e stancanti pur di garantire la sopravvivenza alle proprie famiglie.
Anche Pietro e gli altri ragazzi rimangono contagiati dall’umore che si diffonde nel paese. Iniziano a mettere in discussione loro stessi e i rapporti che hanno costruito nel tempo, succubi dei pregiudizi e degli interessi di padri egoisti o forse solo disperati e preoccupati, e di signorotti meschini che non perdono tempo a sfruttare la situazione per i propri interessi. E alla fine di quell’estate nessuno sarà più lo stesso. Rimarranno le delusioni e le speranze spezzate, ma anche nuove strade da percorrere e la sensazione di essere cambiati per sempre.
Come con Non dirmi che hai paura, Giuseppe Catozzella scrive un romanzo di formazione capace di parlare a tutti, ragazzi e adulti, che affronta la tematica del diverso e dell'altro, ma non solo. Ci parla anche di quanto a volte basti poco per mandare a monte un'amicizia, dei rifugi che ci creiamo per sopportare la perdita delle persone care, e di come esistano persone semplici disposte ad andare controcorrente pur di portare avanti gli ideali in cui credono. Con il linguaggio e gli occhi di un ragazzo ci mette di fronte alle luci e alle ombre del nostro mondo, ricordandoci che ci sarà sempre qualcuno o qualcosa – una situazione spiacevole, a volte anche solo la pigrizia o la comodità – che ci spinge a nasconderci nel buio. Ed è proprio in questi momenti che dobbiamo trovare la forza per non farci sopraffare. E che non dobbiamo dimenticarci di splendere.
di Mario Ciusani
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