Piccoli cowboys crescono - foto © Edie Roberts/Crown Publishing Group Ad un matrimonio negli anni settanta. Roberts è il terzo da sinistra - foto © Peter Gallione/Crown Publishing Group Il mugshot dell'arresto di Roberts nel 1986 - foto © Jon Roberts /Crown Publishing Group
“Per gran parte del tempo che ho passato su questa terra, non ho avuto nessun riguardo per la vita umana. Questa è stata la chiave del mio successo”.
Jon Riccobono Roberts
Istruzioni per l’uso: assumere lontano dai pasti, smoderatamente, accantonando ogni riserva morale e lasciandosi trasportare dal flusso di una storia che somiglia ad un fiume in piena.
“Il re” racconta la storia vera del più grande trafficante di cocaina che abbia mai preso il sole sui bagnasciuga di Miami, e la cronaca rock’n’roll della sua irresistibile ascesa criminale si può leggere anche come un ritratto a tinte forti dell’America fra gli anni sessanta e ottanta.
A riportare il tutto con passo veloce, amorale quanto basta e altrettanto spigliato, è un giornalista, Evan Wright, già assurto agli onori delle cronache per aver raccontato sulle pagine di Rolling Stone la guerra in Iraq come inviato embedded in un battaglione dell’esercito USA.
Com'è andata con Jon Roberts? È presto detto: tornato dal Golfo Persico, Wright si incuriosisce di una figura conosciuta attraverso il documentario “Cocaine cowboys” (com’è lo stesso Wright a ricordare nel corso di un’intervista che ci ha concesso), e decide di saperne di più: telefona a Roberts e di lì a poco lo incontra di persona.
“Può darsi che io sia un sociopatico”, è lo stesso Roberts ad informare Wright prima di chiedergli di raccontare la sua storia in un libro.
Ma questo disclaimer sortisce un effetto paradossale sul nostro bravo reporter, che accetterà la sfida con molto entusiasmo e qualche perplessità.
Il vecchio trafficante, passato sotto programma protezione da quando collabora con i federali, ha infatti un modo peculiare di raccontare di sé e della propria vita; Roberts passa in rassegna episodi e nomi di una vita on the wild side attraverso un flusso di coscienza che alterna verità e menzogna senza soluzione di continuità, in modo da intorbidire le acque e rendere più difficile capire dove passi la frontiera fra quello cui si può credere e quello che invece è inventato di sana pianta.
Le frontiere, già: la vita di un mafioso e narcotrafficante ne è necessariamente piena.
Ma quelle varcate da Roberts non sono solamente le frontiere geografiche attraverso le quali far passare tonnellate di coca: sono anche quelle fra un'infanzia marchiata a fuoco dall'aver assisito ad un omicidio compiuto dal padre per futilissimi motivi e un'adolescenza votata anzitempo al crimine.
Evan annusa una grande storia e accetta la sfida: racconterà la vita di Roberts in ""American desperado"".
I risultati gli daranno ragione. Lo stratagemma trovato dal gonzo journalist è quello di alternare capitoli in cui a raccontare la vita di Roberts è lo stesso trafficante ad altri in cui a tenere banco sono le testimonianze di coloro che l’hanno conosciuto o hanno avuto a che fare con lui.
Tutto questo però avviene senza indicare le fonti, né specificare che è avvenuto un cambio di voce, in modo che sia il lettore stesso, con la sua capacità di discernimento, a doversi fare largo nella torrenziale, corale narrazione.
Questo meccanismo, inizialmente straniante, induce presto ad una certa “cautela morale” e sposta il fuoco della narrazione sui fatti, rendendo la lettura di ""Il re"" appassionante e - a tratti - anche molto divertente.
Nel racconto di Roberts, però, è contenuta anche una verità di valore pedagogico: perché se la sua vita ha finito per diventare un romanzo criminale, lo si deve certamente al latte che Jon aveva succhiato in famiglia.
Suo padre Nat fu un sicario della mafia dei tempi di Meyer Lansky, Bugsy Siegel e Lucky Luciano. Freddo, anaffettivo, costrinse il piccolo Jon a imparare presto la lezione che avrebbe guidato i suoi passi per tutta la vita: ""Se sei nel dubbio fra il bene e il male, scegli il male: vince sempre"".
Il libro di Wright descrive una vita drammatica e violenta, ma affidando ai suoi lettori il compito di trarre un giudizio trova la strada più giusta, e ci regala un documento prezioso su trent'anni di America vissuti pericolosamente.
Evan Allen Wright – Il re. La vera storia dietro Scarface
Tit.or. American Desperado, trad.di Giovanni Zucca
531 pag., 18,50 euro - Piemme edizioni
ISBN 9788856623840
09 gennaio 2013 |
La sua è una famiglia che sta alla mafia come i padri pellegrini della Mayflower stanno all'America. Suo padre, un malavitoso dal cognome celebre, Riccobono, uno che spara a un uomo e lo ammazza perché aveva parcheggiato in modo da ostruirgli il passaggio. "Hai visto qualcosa tu?" "No papà" risponde il piccolo Jon. La strada per diventare un "eroe nero" appare segnata. E Jon ne compie tutte le tappe. Ragazzo ribelle. Giovane violento. Piccolo, tenace, aggressivo, Jon non molla mai; se lo picchiano, si rialza, torna indietro, picchia di nuovo. Se non ce la fa con le mani, usa una mazza da baseball, e magari una pistola. Esattore degli strozzini. Gestore di club e ristoranti della criminalità organizzata. Tossico. Spacciatore. Quando si tratta di scegliere tra il carcere e una divisa, anche soldato in Vietnam, dove impara a uccidere per conto dello Stato. Mafioso e complice di mafiosi. I traffici più o meno d'intesa con la CIA in funzione anticomunista. I cartelli colombiani e messicani della droga. Fino a conquistare il mercato criminale di Miami. Nella sua agenda figurano nomi come Jimi Hendrix, Richard Pryor, O.J. Simpson, Carlo Gambino, John Gotti, Manuel Noriega. Poi l'arresto, la condanna e una sorta di redenzione. Ma il dubbio che avesse ragione suo padre - poi rimpatriato in Sicilia negli anni Cinquanta, in base alle leggi americane - quando diceva "il male è più forte del bene" alla fine rimane. E forse si rafforza.
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