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"""Stiamo lavorando per arrivare ai centri di potere"": Giovanni Chinnici intervistato da Antonella Mascali"

Immagine tratta dalla locandina della terza edizione del ""Premio Rocco Chinnici Città di Misilmeri - La cultura per la legalità"". Quest’anno il tema del concorso è stato “Il linguaggio cinematografico veicolo di legalità“, ed il premio è stato assegnato a  Giuseppe Tornatore
La testimonianza di Giovanni Chinnici, figlio del giudice Rocco Chinnici, ucciso a Palermo il 29 luglio 1983.
Potete leggere l'intero testo dell'intervista, insieme a moltissime altre, nel volume Lotta civile, edito da Chiarelettere


«Senza Rocco Chinnici non ci sarebbero stati Giovanni Falcone e Paolo Borsellino.»
Me lo ha detto, con la voce incrinata, l'ex magistrato del pool antimafia di Palermo, Peppino Di Lello. A Radio Popolare ha ricordato, nel XXV anniversario, la strage avvenuta a Palermo il 29 luglio 1983.
Allievo preferito del giudice, Di Lello ha spiegato che fu Chinnici a inaugurare il lavoro di squadra dei magistrati, senza un ombrello legislativo. Fu Chinnici a intuire le straordinarie capacità di Falcone e Borsellino.

Di Lello ha ricordato che arrivò in via Pipitone Federico, il luogo dell'attentato, pochi minuti dopo l'esplosione dell'autobomba.
Abitava a poche centinaia di metri dalla casa del giudice e sentendo un forte boato capì che era successo l'irreparabile. Sul marciapiede, in mezzo alle macerie, c'erano Elvira e Giovanni Chinnici, due dei tre figli del magistrato. Avevano ventiquattro e diciannove anni.
Erano gli unici a essere a casa quella mattina. La signora Chinnici, docente, si trovava all'università; Caterina, la figlia maggiore, viveva a Caltanissetta, dove faceva il magistrato. Ci è rimasta fino a pochi mesi fa. Adesso è tornata a Palermo, è diventata procuratore della Repubblica presso il Tribunale dei minori.

Rocco Chinnici, pochi giorni prima di essere ucciso, aveva detto:
«C'è la mafia che spara, la mafia che traffica in droga e ricicla soldi sporchi, c'è l'alta finanza legata al potere politico. Stiamo lavorando per arrivare ai centri di potere più elevati».


Di quel giorno, il primo di Palermo come Beirut, mi parla Giovanni Chinnici. Lo incontro nel suo studio di avvocato all'interno di una grande banca. È responsabile dell'ufficio legale.

   ""Ho un ricordo lucido, ricordo ogni istante. Io e mia sorella Elvira siamo stati i primi a scendere sotto casa.""

Di quello che è stato costretto a vedere non vuole parlare, tanto meno di quello che ha provato. Il tritolo ha dilaniato il giudice e le altre vittime presenti sul posto. Due figli hanno dovuto vedere i poveri resti del padre salutato pochi minuti prima.

   ""Quel peso te lo porti dietro tutta la vita, devi farci i conti.
Dei miei sentimenti non voglio parlare, posso dire soltanto che ho fatto un mio percorso interiore e solitario per riuscire a convivere con tutto questo. Non ho avuto la necessità di un supporto specialistico ma so che molti familiari, ed è normale che sia cosi, ne hanno bisogno.
Vorrei che fosse istituito per legge un aiuto terapeutico perché da soli si può affondare. Mia madre, morta anni fa, non superò mai il dolore per la scomparsa del suo punto di riferimento. Mio padre per me, per le mie sorelle, per mia madre era un pilastro. Allora non c'era nemmeno la legge che prevedeva quantomeno aiuti economici significativi e posti di lavoro per i familiari delle vittime di mafia. Noi abbiamo dovuto cavarcela da soli.
All'inizio magari si fa sentire un rappresentante istituzionale, ci sono gli amici, ma poi la vita continua e ti ritrovi con il macigno che ti cade addosso.
Ci vorrebbe un intervento specialistico fin dai primi istanti. La sera è dura, i momenti da soli sono duri.""


[...] La consapevolezza di avere dei nemici pericolosi, la determinazione di andare avanti.


   ""Per lui non c'era un'alternativa al far bene il suo lavoro e ci credeva fino in fondo. Quando vado nelle scuole a parlare con i ragazzi dico sempre: voi andate in motorino, sapete di rischiare ma ci andate lo stesso. Chi fa il magistrato sa che può essere ucciso ma lo fa perché ci crede. Se non accettassimo i rischi non andremmo avanti, bisogna credere in quello che si fa.""

L'intervista completa in:
Lotta civile. Contro le mafie e l'illegalità, edizioni Chiarelettere 2009


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20 marzo 2009 Di Antonella Mascali

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