Il ritrovamento in Germania dei Quaderni neri del 1942-48 di Martin Heidegger apre nuovi inquietanti scenari sulla matassa più dolorosa della storia della filosofia occidentale: l’assenso del grande pensatore alla “soluzione finale” nazista.
Se c’è qualcosa che ha sempre occupato – e preoccupato – chiunque anche solo si dilettasse a discettare di filosofia, è la cosiddetta “questione Heidegger”.
Ebbene, è accaduto.
Dopo anni di ostinato silenzio, Heidegger ha parlato.
E la sua voce risuona forte e chiara: dopo la pubblicazione in Germania l’anno scorso dei primi Quaderni Neri (annotazioni dal 1931 al 1941, in Italia sono in corso di traduzione presso Bompiani), sono stati ritrovati quelli che coprono l’arco temporale 1942-1948.
Usciranno in Germania i primi di marzo per l’editore Klosterman, con la curatela di Peter Trawny. Eppure, qualcosa è già trapelato, soprattutto grazie all’indispensabile lavoro della filosofa Donatella Di Cesare, che definisce la Shoah non solo una questione storica, ma una questione filosofica, che coinvolge direttamente la filosofia.
La tesi sostenuta nei Quaderni Neri, che finalmente rompe il rassicurante silenzio ostinato in cui il filosofo si era trincerato (o almeno così credevamo) dopo il crollo del nazionalsocialismo e la scoperta agli occhi del mondo di Auschwitz; è scritta chiaramente, e ripetutamente.
Lo sterminio degli ebrei è in realtà un autoannientamento, il compimento del destino dell’Essere nella storia della metafisica.
Di antisemitismo metafisico dunque si tratta.
Questa volta, dichiarato e non intuito. Messo nero su bianco e non desunto da altro. Le reazioni immediate sono forti, e comprensibili: chi mai potrebbe anche solo pensare che la Shoah sia stata l’autoannientamento degli ebrei?
Come si può accettare che tutto quello che è successo, che continuiamo a studiare nelle nostre scuole, a condannare nelle nostre famiglie, a rimuovere dalla nostra colpa collettiva, a ricordare ossessivamente ogni 27 gennaio; come si può pensare che sia stato voluto dagli ebrei?
Per chiunque ami la filosofia, oggi è un giorno triste.
Triste perché non riusciamo a immaginare come il più grande – perché Heidegger, inutile negarlo, è il più grande dopo Platone, l’unico che abbia veramente posto nei termini giusti il problema mai risolto dell’Essere – abbia potuto non solo assentire, ma fondare filosoficamente le atrocità che il Terzo Reich ha perpetrato per uno dei periodi più lunghi – e più bui – della nostra storia.
Lo abbiamo sempre, in qualche modo, giustificato: è stato Rettore a Friburgo per poco più di un anno; non si è mai “sporcato” con le basse quotidianità del regime; non avrebbe mai potuto immaginare che la “Grande Germania” cui anelava avrebbe portato all’industrializzazione della morte; l’Essere non ha nulla a che fare con le camere a gas; ha preso la tessera del partito perché doveva; in fondo era un buon tedesco.
Eppure, oggi più che mai queste amorevoli giustificazioni cadono, una dietro l’altra: cadono perché Heidegger scrive che l’Ebreo è l’oblio dell’Essere. Che la questione ebraica è una questione metafisica.
Che i tedeschi erano portatori del progetto di grandezza dell’Occidente, e che “per la storia dell’Essere il vero incommensurabile misfatto è quello compiuto contro il popolo tedesco, che avrebbe dovuto salvare l’Occidente”.
Salvarlo da cosa? Ma dall’Ebreo: agente della modernità che ha deturpato lo spirito occidentale, personificazione di quella Tecnica tanto paventata dal grande pensatore. Paradossalmente, l’Ebreo ha contribuito ad avvelenare la nostra cultura, instillandole l’accelerazione impazzita di quella stessa Tecnica che ha poi contribuito al suo annientamento.
Ecco perché la Shoah, sommo compimento della Tecnica, dopo aver usurato ogni cosa, usura se stessa.
Ecco perché Auschwitz è il culmine, la purificazione dell’Essere.
In sintesi, ecco perché l’Ebreo si è autoannientato.
Ecco perché, visto che “elementi estranei continuano a deturpare la nostra essenza” è così che doveva finire, ecco perché i tedeschi avevano il compito di fermare gli Ebrei.
Per un nuovo inizio, un nuovo luminoso avvenire, impedito dalla Liberazione, e dagli Alleati. Dice bene Donatella Di Cesare nel suo dotto saggio Heidegger e gli ebrei (Bollati Boringhieri, 2014): “che tipo di Europa aveva in mente Heidegger? Forse un Quarto Reich?”Heidegger e Gadamer intenti a segare legna
Gli interrogativi angoscianti che il ritrovamento di queste parole – scritte davvero, sui quaderni personali di Heidegger, di suo pugno, destinate alla pubblicazione – sono tanti e importanti.
Lo shock che l’Occidente tutto ha provato dopo l’Olocausto, la ridiscussione dell’etica, la consapevolezza che i principi della nostra società non hanno retto ad Auschwitz, le riflessioni di Jonas su come possa aver Dio permesso la Shoah: tutto questo pare non aver toccato minimamente il grande Maestro.
Che invece si è trincerato in un inspiegabile silenzio, si è auto-esiliato nella sua casa della Foresta Nera, a scrivere di altro.
Che non ha mai ritrattato nulla, che è stato reintegrato all’insegnamento molto presto, che amava teneramente una delle sue più talentuose allieve ebree. La confusione ci assale: come affrontare insieme la vetta e l’abisso?
Hannah Arendt e Martin HeideggerSi potrebbe dire, come suggerisce Emanuele Severino, che i Quaderni Neri vanno messi da parte perché annotazioni personali e non sistematiche; ma è Heidegger stesso che ce lo proibisce. Il problema vero è che queste annotazioni non sono estemporanee, ma sostanziali: sono state progettate per la pubblicazione.
Fanno parte del corpus filosofico di Heidegger, vanno quindi lette alla luce della sua filosofia. Si potrebbe sostenere, come ha fatto Hannah Arendt, che in fondo “i filosofi di politica non ci hanno mai capito granché”; ma è la nostra ammirazione profonda per Heidegger che ce lo impedisce.
Perché il nodo, in questo caso, è filosofico.
Non si può più far finta di nulla, non si può ignorare quello che non ci piace.
Si potrebbe tentare di rileggere quell’immenso capolavoro che è Essere e tempo, questa volta alla luce delle choccanti – e coerenti! E sistematiche! E logicamente ineccepibili! – dichiarazioni del filosofo. Forse, in fondo, l’idea che una mente così eccelsa abbia potuto teorizzare l’antisemitismo metafisico, e continuare a scriverne convintamente anche dopo che tutto era stato s-velato ci atterrisce.
Restiamo muti davanti all’indicibile, restiamo attoniti davanti all’abissale e gravissimo interrogativo che ci si schiude davanti: quale responsabilità ha avuto la filosofia più alta nello sterminio di milioni di persone innocenti?
La nostra lunga e illuminata tradizione di pensiero ha avuto come risultato naturale e consequenziale l’Olocausto?
Questo è il grande rimosso della cultura occidentale cui siamo urgentemente chiamati a rispondere, ed è giunta l’ora, 70 anni dopo, di farci i conti.
Articolo di Martina Gambarotta
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