Sto guardando, mentre scrivo di Kafka, la sua fotografia a quarant'anni (la mia età): è il 1924, con ogni probabilità l'anno più dolce e pieno di speranza della sua vita adulta, e l'anno della sua morte.
Risale al 1973 il breve saggio di Philip Roth su Franz Kafka, cui segue un racconto in cui il maestro è protagonista della scena, pubblicato nella raccolta di articoli su libri e letteratura Reading Myself and Others (1975) e appena edito da Einaudi. Un libricino che gli appassionati di Roth non possono lasciarsi sfuggire, nonostante un prezzo che non è certo giustificato dalla mole (appena 49 pagine). «Ho sempre voluto che ammiraste il mio digiuno» ovvero, guardando Kafka, tradotto da Norman Gobetti, nasce dall'esigenza di rendere omaggio allo scrittore ceco che come pochi ha saputo esprimere l'angoscia, lo sradicamento e lo smarrimento della modernità.
Inizia così la fantasmagoria di Roth: dall'osservazione della fotografia di un Kafka quarantenne. ""Il viso affilato e scheletrico, la faccia di uno che vive a credito"", una familiare fisionomia ebraica (la svasatura nel ponte del naso, lungo e un po' appesantito in punta): che ne sarebbe stato di Kafka se fosse sopravvissuto fino ai campi di concentramento? Forse sarebbe stato sterminato come le sue sorelle, o forse sarebbe fuggito con l'amico Max Brod in Palestina o in America (come Karl in America). Ma un Kafka che fugge sarebbe difficile immaginarlo, lui così paralizzato da un complesso edipico lacerante, dal desiderio di solitudine e dal tormento del perfezionismo. Solo undici mesi prima di morire Kafka era riuscito ad abbandonare Praga e la casa del padre. Mai era stato indipendente dalla madre e dalle sorelle. Il suo rapporto con le donne e il sesso fu molto conflittuale e due matrimoni naufragarono a causa delle sue ossessioni. Prima Felice Bauer, poi Milena Jesenská-Pollak, infine Dora Dymant. ""Sono spiritualmente inadatto al matrimonio"" scrive in una lunga lettera al padre. ""Il matrimonio mi è precluso perché si tratta dell'ambito più propriamente tuo. A volte mi figuro una carta della terra e tu sopra sdraiato di traverso. E allora ho la sensazione di poter considerare per la mia vita solo regioni che tu non ricopri o che sono fuori dalla tua portata. E in conformità all'idea che mi sono fatto della tua grandezza, queste non sono molte e non sono molto confortanti, e il matrimonio non è fra loro"". Eppure con Dora sembra trovare un po' di pace e stabilità. Con lei andrà a vivere a Berlino, già molto malato, e riuscirà ad evadere dalla cerchia soffocante della famiglia. Forse è la vicinanza della morte che ha risolto in Kafka ogni contraddizione e incertezza, si chiede Roth? O forse è l'amore per Dora e di Dora a liberarlo dai dubbi e dall'angoscia? Non è possibile dirlo; fatto sta che a Berlino acconsente alla pubblicazione di una raccolta di quattro racconti senza opporre resistenza, quando qualche anno prima aveva dato disposizione all'amico Max Brod di distruggere tutte le sue carte al momento della morte. Si tratta della raccolta Un digiunatore, che prende il titolo dall'omonimo racconto in essa contenuto, del quale Roth riporta un paragrafo come fosse un'epigrafe alla leggera dimenticanza dei tempi moderni.
La prima parte del breve saggio di Roth riflette, dunque, su quale sarebbe potuto essere il futuro di Kafka, se la malattia lo avesse risparmiato. Una fantasia che non è meno assurda di altre, dalla quale si sviluppa una riflessione su Kafka uomo e scrittore, omaggio alla potenza imaginifica e all'universalità della sua opera.
Nella seconda parte il quadro immaginato da Roth acquista sostanza e diviene un vero e proprio racconto. È il 1942 e Kafka si è trasferito in America, dove vive in una stanza in affitto, da solo, e lavora come insegnate di ebraico. I suoi alunni lo hanno soprannominato Kishka (parola che in Yiddish significa ""interiora"") per il suo alito cattivo. Tra i suoi studenti c'è Philip Roth, che ha nove anni ed è il più diligente della classe. Una sera la famiglia Roth lo invita a cena, impietosita dalla solitudine e dalla povertà dell'uomo, pensando anche di presentargli la zia Rhoda, ancora nubile. Nonostante l'iniziale ritrosia, i due cominciano a frequentarsi. Vanno al cinema, escono insieme, leggono Cechov. Poi una sera la zia piomba in casa Roth tra le lacrime. Philip cerca dalla sua cameretta di capire cosa è successo. C'entra il sesso.
Anni dopo, al college, ritroviamo un Philip Roth angosciato da un rapporto paralizzante con il padre, da una incapacità di costruire la propria indipendenza dalla famiglia. Un Philip che ha ereditato completamente i drammi e le angosce del maestro, un Philip Roth che si è trasformato in Franz Kafka. Intanto Kafka muore, svanisce nel nulla, nella dimenticanza, come il digiunatore del suo racconto, anche nella finzione senza lasciare libri. Non potrebbe essere altrimenti. La verità è che ""semplicemente non è dato che Kafka possa mai diventare il Kafka - perdinci, sarebbe ancora più strano di un uomo che si trasforma in un insetto. Nessuno ci crederebbe, men che meno Kafka"". E Roth non può tradire il suo maestro e il suo magico universo letterario. In fondo, la vita viene sempre prima di tutto il resto.
Philip Roth - «Ho sempre voluto che ammiraste il mio digiuno» ovvero, guardando Kafka
Titolo originale: «I Always Wanted You To Admire My Fasting»; or, Looking at Kafka (pubblicato per la prima volta in Reading Myself and Others, 1975)
Traduzione di Norman Gobetti
49 pagg., 9 € - Edizioni Einaudi 2011 (L'Arcipelago Einaudi)
ISBN 978-88-06-20624-6
L'autore
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