In copertina l'opera Omen, di Trygve Skogrand (2009)
Allora gli dissi quello che aveva continuato a girarmi per la testa. Belano, gli dissi, il nocciolo della questione è sapere se il male (o il delitto o il crimine o come vuole chiamarlo) è casuale o causale. Se è causale possiamo lottare contro di lui, è difficile da sconfiggere ma c'è una possibilità, più o meno come fra due pugili dello stesso peso. Se è casuale, al contrario, siamo fregati. Che Dio, se esiste, abbia pietà di noi. È a questo che si riduce tutto.
Torna in libreria il capolavoro dello scrittore cileno Roberto Bolaño questa volta proposto da Adelphi nella traduzione di Ilide Carmignani.
Il romanzo era stato publbicato per la prima volta in Spagna nel 1998, aggiudicandosi il Premio Herralde.
Vi riproponiamo la recensione del romanzo - nel 2003 edito da Sellerio - firmata dalla scrittrice Daniela Pizzagalli e pubblicata all'epoca (poco dopo la morte dello scrittore a soli 50 anni) nel nostro Café Letterario. Un testo estremamente efficace per comprendere l'anima di questo complesso, originale e non facile libro, che si fissa nel tempo come una stravagante e forte critica alla società e alla cultura contemporanea, a distanza di un decennio altrettanto dirompente.
«Credo» ha affermato Bolaño «che il mio romanzo possegga tante letture quante sono le voci che contiene. Lo si può leggere come un'agonia. Lo si può leggere anche come un gioco».
Erano veramente storie selvagge, le sue, irriducibili ad ogni categorizzazione, indisciplinate e caotiche: ma i suoi sberleffi lasciavano il segno come frustate.
Il cinquantenne scrittore cileno Roberto Bolaño è morto a luglio in Spagna (per un’insufficienza epatica per la quale era in attesa di trapianto), poco dopo l’uscita in Italia del suo romanzo I detective selvaggi e poco prima di pubblicare il suo nuovo libro, un romanzo di fantapolitica intitolato 2666.
Il primo incontro del nostro pubblico con lo stravagante Bolaño è stato nel 1998 con La letteratura nazista in America in cui, nascondendosi sotto il titolo saggistico, lo scrittore cileno già dava una brillante prova del suo talento ironico e anarchico, tracciando un affresco virtuale animato da vite immaginarie.
Anche in I detective selvaggi, le labirintiche peripezie di un gruppo di giovani poeti messicani che si definiscono “realisti viscerali” e sono dediti più che altro a strampalati eccessi sessuali, alcolici e quant’altro, è un pretesto per descrivere, attraverso il caleidoscopio di una fantasia sfrenata e zampillante, l’impossibilità di sopravvivenza degli ideali giovanili in un mondo dagli orizzonti sempre più angusti e sordidi.
Romanzo fluviale e corale, è assemblato in tre parti: quella di mezzo si svolge molti anni dopo le altre due, e fornisce chiavi di lettura sempre diverse attorno ai due protagonisti, Arturo Belano (alter ego dell’autore) e Ulises Lima, a seconda delle versioni fornite da schegge di conversazioni carpite senza un ordine apparente tra amici e conoscenti dei due, partiti forse sulle tracce di una poetessa ignota di cui il loro gruppo si ritiene seguace.
Sono diversi gli ambienti ricostruiti da Bolaño in questa trasversalissima odissea, ma sembra evidente che oggetto dei suoi strali sono soprattutto quegli intellettuali che patteggiano con il potere e cercano il successo appiattendo ogni valore artistico e umano.
Roberto Bolaño - I detective selvaggi
Titolo originale: Los detectives salvajes
Traduzione di Ilide Carmignani
688 pag., 25,00 € - Edizioni Adelphi 2014 (Fabula 271)
ISBN 978-88-459-2872-7
"Anziché lo scrittore," ha detto una volta Roberto Bolaño "mi sarebbe piaciuto fare il detective privato. Sicuramente sarei già morto. Sarei morto in Messico, a trenta, trentadue anni, sparato per strada, e sarebbe stata una morte simpatica e una vita simpatica". Simpatica, eppure segnata già dalla sconfitta e dalla follia, dissipata e bohémienne, esaltante e allucinata, dopata di sesso, poesia, marijuana e mezcal, è sicuramente la vita dei protagonisti di questo libro, che Enrique Vila-Matas ha descritto come "il viaggio infinito di uomini che furono giovani e disperati, ma non si annoiarono mai". "I detective selvaggi" è infatti il romanzo delle loro avventure, ed è quindi un romanzo di formazione; ma è anche un romanzo giallo nonché, come tutti quelli di Bolaño, un romanzo sul rapporto tra la finzione e la realtà. Un libro, ha scritto un critico messicano, "simile a uno stadio dove la gente entra ed esce in continuazione", e dove, come avviene in 2666, si incrociano e si aggrovigliano, spesso contraddicendosi, le "versioni" di un'infinità di personaggi (tutta gente che "on the wild side" non si è limitata a farci un giro): poetesse scomparse nel deserto del Sonora e puttane in fuga, ex scrittori di avanguardia e magnaccia imbufaliti, architetti vaneggianti e poliziotti corrotti, cameriere libidinose e poeti bisessuali, e poi avvocati, editori, neonazisti e alcolizzati...
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