Le interviste di Wuz.it

Tutto Mafalda, la nuova raccolta

Quino si fa portavoce del suo personaggio, uno dei più amati nel mondo e ci racconta il presente impresentabile

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Il più celebre disegnatore argentino, autore dell’intramontabile Mafalda e molte altre strisce umoristiche di non inferiore dignità, incontra i suoi fans alla Fnac di Milano in occasione dell’uscita della raccolta Tutto Mafalda (Salani 2009). Una bambina terribile, brillante, amatissima dai lettori di tutte le età e di entrambi i sessi, la cui mordace perspicacia riguardo alle tematiche sociali più urgenti continua a riverberare dalle sue strisce con la medesima lucidità e lo stesso raccapricciante realismo anche al giorno d’oggi. E dalle pagine del fumetto approdiamo alla voce narrante di Quino, che, affiancato dalla scrittrice Paola Calvetti, racconta con estrema simpatia la nascita del suo personaggio più conosciuto, con aneddoti curiosi, ricchi di spirito, ma senza sviscerare da un certo senso di rassegnazione che prova nei confronti di un mondo sempre più sporco e corrotto. Mafalda non c’è più, ma il suo disappunto rimane impresso nelle parole del suo autore. Ci concederà qualche parola di speranza? Forse no, ma certamente ci farà divertire molto attraverso la sagacità delle sue battute meravigliosamente filtrate da un accento spagnolo di impagabile simpatia.


In riferimento al tuo commento “presente impresentabile”, com’è il presente di questa Milano che hai ritrovato dopo qualche anno?E il presente impresentabile, a parte Milano?

Non è passato tanto tempo, ho passato il capodanno qua. Non è che io ami meno Milano, ma la città mi sembra sporca, trascurata. Mi piace sempre Milano, con il suo alone di mistero, tutte queste stradine che uno non impara mai, però, veramente, la trovo molto trascurata.
Il presente impresentabile vale tanto per Milano quanto per tante altre città. Intanto si nota un degrado generale nel mondo: ho trovato degrado a Londra, per non parlare di Buenos Aires, però sembra qualcosa di inevitabile oggi perché mancano i soldi per fare queste cose, ma se ne buttano per farne tante altre.


© Joaquín S. Lavado (Quino)/Caminito S.a.s.

Mafalda è l’unica protagonista disegnata, non in carne ed ossa, a cui è stata dedicata una piazza. A Buenos Aires c’è plaza Mafalda. E poi mi hanno detto che nella metropolitana di Buenos Aires ci sono delle mattonelle con i protagonisti di Mafalda... E poi ci sono i giardini, con le panchine con i disegni di Mafalda per i bambini, no? Lì è venuto bene? Non c’è degrado?


È da tanto che non la visito...
Comunque sì, c’è un murales di quindici metri, ma è un’abitudine lì a Buenos Aires. Non hanno fatto solo la Mafalda.


Mafalda era nata per una campagna pubblicitaria che non si è mai realizzata. Fortunatamente...

Sì, questo nel 1962, mi hanno contattato per una pubblicità di elettrodomestici. Bisognava trovare un personaggio e un nome con le lettere m f d. Non era una pubblicità vera e propria, ma la si voleva proporre ai giornali come striscia umoristica. Bisognava, però, che ci fosse la marca degli elettrodomestici in evidenza. Se la mamma apriva il frigo, si doveva vedere che il frigo era di quella marca lì. Poi non si è fatta la campagna perché i giornali hanno protestato, hanno capito che era pubblicità e si sarebbe dovuto pagare. Così Mafalda è rimasta in un cassetto per poi cominciare ad apparire su un giornale due anni dopo, nel 1964. Un mio amico, caporedattore di una rivista di arte e cultura, mi ha chiesto se oltre alle tavole umoristiche che pubblicavo dappertutto avevo qualcosa di diverso, così gli ho mostrato quelle di Mafalda e abbiamo cominciato a pubblicarle. Era un personaggio che io conoscevo pochissimo. Poi, in Messico, un giornale di provincia ha chiesto le strisce, ma il giornale sosteneva che la striscia fosse sua. Allora mi sono incavolato e sono andato via. Poi, un quotidiano l’ha presa, ho cominciato a pubblicarla tutti i giorni e dieci mesi dopo un editore l’ha vista  e ha notato che c’erano strisce di Mafalda nei negozi, alla posta, così ha pensato “perché non metterle in un libro?!”. È cominciata così. Si è fatto un libro che ha venduto 5000 copie.

Oltre che di Mafalda, parliamo di un altro aspetto, non meno conosciuto, soprattutto da chi ama il maestro, il suo tratto e il suo pensiero. Ci parli delle tavole che continua a disegnare ogni domenica da 29 anni per il Clarin, un quotidiano argentino. Questo ti costringe a stare sull’attualità. Come avviene questo disegno nella tavola? Hai tema libero ogni settimana?

È uno stile complicato. Mi piacerebbe essere più semplice, però, uno disegna come può, non come vuole. Mi lasciano fare quello che voglio. L’attualità mi attira molto. La tavola nasce dalla lettura dei giornali, dalla TV, dalle lettere dei lettori ai giornali. Mi preoccupo anche di ascoltare le canzoni che vanno di moda, di cosa parlano queste canzoni e ripescare un po’ quello che fanno gli altri colleghi disegnatori e i cantautori e ciò che scrivono i giornalisti. Sono tavole di osservazione, ma anche di denuncia. Ne ho fatte tantissime. C’è un ultimo libro sul cibo che si chiama “L’avventura di mangiare”. Il fatto è che quando si va a mangiare qualcosa in un ristorante non si sa cosa si stia mangiando, cosa ci sia dentro al piatto, soprattutto ora, con i cibi transgenici. È un’avventura. Questo è il tema che mi preoccupa tantissimo, quello dell’alimentazione e di quelle persone che brevettano quei semi che da migliaia di anni si coltivavano naturalmente, mentre adesso devono pagare la certificazione. Questi sono dei delinquenti. Sono semi pensati per non riprodursi da un anno all’altro. Oggi dove si trova un pomodoro che sappia di pomodoro? Non lo si trova né in Europa, né in America latina; non esistono più. E così anche altre cose, ad esempio i polli che vengono allevati in modo artificiale.

© Joaquín S. Lavado (Quino)/Caminito S.a.s.

E la minestra di Mafalda oggi cosa sarebbe, dato che le zuppe sono molto rivalutate?


La minestra rappresentava quella cosa che ci impongono ogni giorno, piaccia o non piaccia. Da noi era il simbolo della dittatura militare. Oggi che la dittatura militare non c'è più, o quasi...c’è una dittatura economica dappertutto. Oggi rappresenterebbe tutti i piccoli delinquenti, gli imbroglioni della globalizzazione.

In alcuni stati, purtroppo, il suo fumetto è etichettato per adulti. La diverte la cosa?

No, ecco, Mafalda è stata bandita da Pinochet e anche in Bolivia quando c’era un generale di cui non ricordo il nome. Anche quando è uscita in Spagna, ai tempi di Franco, è uscita con una fascetta che diceva: solo per adulti. Per fortuna quell’epoca è passata.

È pubblicata anche in Cina Mafalda, vero?

In Cina sì. L’hanno piratata prima. È stata piratata da un inglese che abita in Cina, si sa, la pirateria è una tradizione inglese, poi si vede che hanno imparato anche altri. E poi quando sono andato in Cina, ho chiesto perché avevano tolto tutte le strisce della Mafalda che parlavano della Cina.  Hanno risposto che secondo loro io non conoscevo ancora la Cina abbastanza per parlare di loro così. Non mi è sembrata una brutta risposta perché, è vero, chissà com’è la realtà cinese. Poi non so come sia la traduzione. Chissà cosa fanno dire alla Mafalda in cinese. Uno può controllare quella italiana, quella portoghese, francese, un po’ la greca. Qualche parola in greco la conosciamo, però quella cinese non si sa.

Il suo lavoro ha sfatato alcuni luoghi comuni sull’Argentina, che non è solo dittatura, Maradona,  bisteccone e tango. La cosa è stata intenzionale?

Sull’Argentina non so se uno che viene da fuori, leggendo la Mafalda, capisca che viene da lì. Io a volte penso che non sono vissuto in Argentina, ma nel Mediterraneo, perché nella provincia dove vivevo, piena di immigrati italiani, spagnoli, sirio – libanesi, ho avuto modo di conoscere gli argentini quando sono andato a scuola. Nella mia famiglia, che era spagnola, si parlava come in Andalusia e quando sono arrivato a scuola parlavo una lingua che nessuno capiva. Non sono un argentino tipico che se non ascolta il tango tutti i giorni o non mangia la carne sta male. Sto benissimo con la cucina italiana. Il mio lavoro sdogana lo stereotipo dell’Argentina così come lo fa il Che Guevara. Ho visto i due film che hanno fatto sul Che e non mi sono piaciuti. Mi sembrano noiosi.
Mafalda parla molto della Cina, di Cuba, del rock’n roll, dei Beatles, ma molto poco dell’Argentina di fine anni sessanta, se non nel sottotesto perché, appunto, io come figlio di immigranti mi sono sempre preoccupato di tutto quello che succedeva in Europa e nel mondo. Io ho disegnato il quartiere di Buenos Aires dove viveva la Mafalda, che era quello dove vivevo io. Però non è che si parli dei problemi dell’Argentina in quel momento lì. Si parla di economia. Suo padre deve pagare la macchina, lei ha le scarpe rotte e il papà mostra alla mamma che deve pagare la macchina. La scuola è molto argentina perché tutti i bambini vanno con il grembiulino bianco e lo stato dell’edificio non è sempre quello che dovrebbe essere, questi problemi sì, sono contestualizzabili. Per il resto io mi sento abbastanza universale.

Vedo l’Argentina un po’ come il resto del mondo. Va tutto male: l’economia va male, c’è poco lavoro, non so, veramente vedo male tutto, tutto il mondo. Oggi, secondo me, la politica ha lasciato il posto ad un’egemonia economica terribile. La politica come confronto di anime, di popoli, non esiste più, è tutto basato sulle economie, sul mercato e altre cose. Non mi piace Sarkozy, non mi piace quasi nessuno. Non so chi rappresenterebbe un esempio di buon governo oggi. Obama, poverino, gli hanno caricato sulle spalle tutto il mondo. Come farà?


Ci sono realtà fumettistiche italiane, e non solo, che apprezza?

Io devo dire che fumetti non ne ho mai letti. Mi piace l’umorismo grafico che ormai si fa pochissimo. Quindi, di fumetti, non è che ne conosca tantissimi. Certo, apprezzo molto Corto Maltese, ovviamente. Conosco Maltena. In Argentina mi piacciono due o tre colleghi molto bravi. Mi hanno detto di guardare in internet perché ci sono ragazzi che fanno delle cose fantastiche che non vengono pubblicate da nessuna parte. Quindi non saprei dire, perché io non ci capisco niente di internet, sono analfabeta completamente. In Italia non c’è tanto la consuetudine di pubblicare i fumetti sui giornali. Altan ha ancora la sua striscia. Mi piaceva tantissimo anche Cavandoli, l’Italia è piena di bravissimi fumettisti, anche Iacovitti.

© Joaquín S. Lavado (Quino)/Caminito S.a.s.


Per quanto riguarda internet. Non so se il disegno fatto a mano dia la stessa emozione via internet.  


Siamo vecchi. Io tanti anni fa ho disegnato una tavola che racconta di due genitori che hanno un bebé. Questo bebé sta sempre con l’indice alzato e i genitori si preoccupano tantissimo. Lo portano dal medico, il quale gli mette davanti un calcolatore - all’epoca non c’erano i computer - e il bambino subito si mette a sbattere sui tasti con precisione e fare calcoli. Ecco qual era l’aspirazione del bebé e perché era nato con il ditino così. Oggi i ragazzi sanno usare il computer senza leggere niente. Per quanto riguarda il cartone animato che hanno fatto di Mafalda, tutti abbiamo la sensazione di non voler sentire la sua voce perché preferiamo immaginarcela mentre leggiamo. Infatti lo show televisivo non ha avuto molto successo. Per questo nella versione cubana, che abbiamo fatto dopo, non c’è il sonoro, non parlano, ma usano dei tableaux. Però c’è lo svantaggio che non dicono le cose che dice la Mafalda, le battute.  

Cosa le accadeva, cosa sentiva nel cuore, quando disegnava Mafalda?

Mi accadeva che non avevo tempo di pensare a cosa mi accadeva al cuore. Dovevo consegnarla e basta, era un obbligo. Succedeva tutti i giorni! Era una roba molto complicata! Oltre che disegnare la striscia di Mafalda, dovevo consegnare anche le vignette umoristiche per il giornale. Avevo quattro ore per l’idea e quattro per disegnare e il resto per gli altri lavori. Quindi questa cosa della consegna quotidiana sembra molto stressante. È più difficile fare il minatore il Bolivia! Come nasceva? Dalla lettura dei giornali del giorno io pensavo di cosa avrebbe potuto parlare Mafalda domani. Poi, quando uno comincia a pensare ad un’idea, non sa dove andrà a finire. Le idee poi si concretizzano alla quarta ora, non all’inizio. Si sa come può nascere un’idea, ma non si sa come va a finire. Ci sono giornate in cui uno è più bravo a disegnare e altre in cui si fa molta fatica e magari per disegnare un naso bisogna disegnare tanti nasini, ma non trovi mai il naso che tu vuoi fare. Questo forse è difficile da capire, ma è così. Comunque per me Mafalda è un disegno come tutti gli altri che ho fatto, non è che per me sia un personaggio speciale.

Perché Mafalda è nata femmina, perché ha deciso di fare una bambina. E poi. la preoccupa il fatto che sia sempre più attuale?

Che sia sempre attuale mi dà un po’ di pena perché vuol dire che  i problemi sono quelli lì e non c’è niente da fare. L’uomo ripete le cose in continuazione. Perché è nata femmina? Perché a me sembrano sempre più vispe le ragazzine dei ragazzini. Le lettere che ricevo sono quasi tutte di ragazzine di sei o sette anni. Perfino una ragazza di undici anni che faceva la giornalista in una radio di provincia mi ha intervistato con delle domande fantastiche che un giornalista adulto non mi farebbe mai. Poi, mi ha spinto anche il movimento femminista. Io mi sono trovato che mi stavano pubblicando una striscia da sviluppare, della quale nemmeno io conoscevo bene i personaggi. Ho pensato: “allora, come la faccio? Che tematica le metto in testa?” E in quegli anni il movimento femminista era molto importante. Così ho pensato che dovesse essere femmina.

© Joaquín S. Lavado (Quino)/Caminito S.a.s.


Se non le avessero chiesto le tavole di Mafalda per la campagna pubblicitaria, avrebbe continuato a disegnarla?


No, io, da me, non avrei mai creato Mafalda. Avevo un carissimo amico disegnatore che si chiamava Osqui, il quale mi disse di non mettermi mai a fare un personaggio fisso perché sarebbe stata una schiavitù del cavolo. Anche per finirla ho seguito il suo consiglio. Mi ha detto che se si copre l’ultimo quadretto di una striscia con la manina e si capisce più o meno come va a finire, l’autore deve smettere di farla. Ed è quello che stava capitando a me. Mi sembrava che la gente fosse tanto abituata a leggere la Mafalda che ormai sapeva sempre più o meno come andava a finire. Non ho voluto che mi capitasse quello che è successo con Charlie Brown, che io amavo tantissimo, ma poi mi ha stancato. Così ho smesso di disegnarla.

Gli altri personaggi di Mafalda sono riproduzioni di amici suoi, veramente esistente. Ha mai chiesto i diritti d’autore? Manuelito, per esempio.

Manuelito era il papà dell’ amico che mi chiese se, oltre alle tavole umoristiche avessi qualcosa di diverso. Lui era un giornalista, il cui padre faceva il panettiere e voleva che lo facesse anche suo figlio. Così, litigarono e lui venne a vivere con me in una pensione dove avevo una stanza e lui si prese quella accanto. Siamo diventati molto amici. Quindi Manuelito era il papà di questo amico. Invece Felipe è un mio amico cubano che si trasferì a cuba non appena trionfò la rivoluzione. È ancora lì, sempre rivoluzionario. Il fratellino della Mafalda è un mio nipotino che suona il flauto in un’orchestra sinfonica, che oggi ha 44 anni. Il più orgoglioso è il Felipe che abita a Cuba.


Il suo dopo Mafalda è caratterizzato da vignette pressoché mute. È un modo per disintossicarsi da Mafalda?

Il mio ideale è sempre stato di fare vignette mute. Mi è capitato di lavorare per una rivista con un direttore bravissimo che ammiravo molto. Mi diceva: senta, i lettori pagano, non si può non dare molto materiale. Quindi mi ha costretto a scrivere i testi e riempire il disegno, perché prima disegnavo solo il contorno. Lui mi ha costretto a lavorare così, ma per quel che mi riguarda, avrei preferito disegnare senza parole.

Hai mai parlato con qualcuno dei Beatles?

Sono passato per il negozio che avevano a Londra e ho lasciato qualche libricino, però, tutto qui. Ma loro non hanno mai visto una striscia di Mafalda che parlasse di loro, niente. Chi se ne frega! Poi c’è stata la Citroen argentina. La macchina del papà di Mafalda era una Citroen. Una volta ho disegnato una tavola contro la Mercedes Benz e quelli lì mi hanno mandato delle macchinine piccole in regalo. Invece quelli della Citroen niente. Si sa che i francesi sono un po’ così, ma…

Dicci una parola di speranza.

Non c’è… ecco, la Bibbia, ma quella vera, non questa porcheria che c’è nella raccolta. La parola di Dio, figlia mia! Vai da Benedetto XIII che lui è bravissimo a dire parole di speranza, o sui preservativi. A parte ciò che ha detto sui preservativi, pensiamo alla famiglia. Come può parlare di avere una famiglia gente che si auto proibisce di averne una. È come se una persona che ha paura degli aerei fosse comandante o istruttore di volo. Hanno fatto una campagna atea a Barcellona sugli autobus che dice “Forse Dio non esiste, goditi la vita”. Questo mi sembra geniale. In Spagna c’è anche un movimento di gente che è stata battezzata e si sta facendo sbattezzare. Alcuni ci sono riusciti, sì, c’è un grande movimento. La chiesa è molto pesante anche in Spagna. I vescovi hanno una radio, la radio Cope, e tutti i taxisti la ascoltano sempre.

Ringraziamo Massimo Villa di RadioAlt per la gentile collaborazione

07 aprile 2009 Di Anna Zizola

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