Le interviste di Wuz.it

Un altro guaio a Chinatown: intervista a William C. Gordon

Una chiacchierata con l'autore nordamericano: avvocato, ex proprietario di un bar, ex ufficiale dell'esercito degli Stati Uniti e marito della scrittrice sudamericana Isabel Allende, ci ha invitato a parlare del suo primo romanzo: La giara cinese. Wuz entra nelle quinte di questo omaggio al noir e alla sua città natale, San Francisco.


Figlio d'arte, alla fine della sua carriera di avvocato ha deciso di seguire le orme del padre e dedicarsi alla scrittura. In questa intervista ci parla del libro, ovviamente, ma anche del suo impegno nella difesa delle minoranze ispaniche negli Stati Uniti e dell'importanza che ha, nel suo lavoro, l'essere sposato con una famosa scrittrice.



Leggi la recensione del libro  

Perchè ha scelto di scrivere proprio un romanzo poliziesco?


È molto semplice. Anni fa scrissi un libro che parlava di un avvocato molto importante, che portava sempre completi di seta, cravatte di seta, scarpe italiane ed era molto bello. Era il protagonista del romanzo, e aveva un compagno, un nano pervertito. Lavorai a questo libro per un paio d’anni, e quando lo lesse mia moglie, la prima cosa che disse fu che il nano era uno schifoso e che nessuna donna al mondo sarebbe mai andata a letto con lui. C’erano sette scene di sesso con questo nano e secondo lei avrei dovuto mettere il libro in un baule e lasciarcelo per sempre. Inoltre, disse che l’avvocato mi assomigliava talmente tanto che avrei dovuto vergognarmi di presentarmi al pubblico come uno snob. Ma l’avvocato non aveva niente a che vedere con me, perchè quando io facevo pratica per diventare avvocato, specialmente all’inizio, ero talmente povero che dovevo fare l’autostop per andare in tribunale. Non avevo un centesimo, e portavo completi da quattro soldi. Quindi le dissi che lui non aveva niente a che vedere con me. E lei mi rispose: “allora invece di giocare con queste cose,  perchè non scrivi una detective story? Tu leggi libri di legge per puro piacere. La legge la conosci, devi solo scrivere. E aveva ragione. Fu così che tutto ebbe inizio.

C’è qualche autore particolare di romanzi gialli a cui si è ispirato?


Lo scrittore che mi ha ispirato più di tutti è stato William Somerset Maugham, specialmente per il fatto che alla fine di ogni storia c’è un colpo di scena che nessuno si aspetta. La cosa più importante in un libro giallo è la suspense. Il maestro in questo è Erle Stanley Gardner, il creatore di Perry Mason. Ha scritto molti libri con cinque nomi diversi, non si fermava mai. E anche i maestri, come Chandler, per esempio, leggevano le sue storie, poi chiudevano il libro e provavano a copiare il suo modo di scrivere. Era fantastico, credo che persino Agatha Christie avrebbe dovuto leggerlo. Ci sono stati molti grandi scrittori di libri gialli, ma il più grande è stato Erle Stanley Gardner, per quel tocco suspense che metteva in tutte le sue opere.

Quando scrisse questo romanzo?

Lo terminai nel 2005. Ma decisi di ambientarlo negli anni Sessanta perchè non volevo che il protagonista avesse un computer, nè un telefono cellulare, nè nessun’altra di quelle stupidaggini che si vedono in televisione. Volevo un detective alla vecchia maniera. Io, quando esercitavo, mi comportavo nelllo stesso modo, ero come un cane con l’osso, cercavo una cosa, poi l’altra, poi l’altra, e avanti così finchè alla fine si scopre ciò che c’è da scoprire. L’unica cosa davvero importante è che sia una sorpresa.

Prima di cominciare a scrivere ha fatto molte ricerche sulla cultura cinese?

C’è una cosa da dire: a San Francisco c’è il quartiere cinese più grande del mondo. Io ci passavo sempre, il mio studio era lì vicino. Il mio contabile, che era con me da circa quarant’anni, era cinese. Quando ero senza soldi, era lui che me li prestava. La cultura è nell’aria. Per esempio, uno cammina per una strada di San Francisco e l’odore stesso è una mescolanza di latino, cinese, italiano, non si può scappare. E tutte le cose più oscure e misteriose hanno luogo lì, a San Francisco, è molto interessante.


Che importanza ha per lei questa mescolanza, che è la stessa che troviamo anche nel libro?


Posso solo dire che questa è la vita. La vita è fatta di questa mescolanza di genti provenienti da ogni parte del mondo. Poi io ci sono abituato, sono cresciuto in mezzo a messicani, mia madre era russa, mio padre australiano. Una cosa che non si sa è che a San Francisco c’è una grande comunità di filippini. Quando ero un bambino, a Los Angeles c’era la più grande comunità di messicani del mondo. Per me è stato totalmente naturale. A San Francisco ci sono anche molti italiani che vengono da ogni parte d’Italia.

Questo romanzo fa parte di una serie? Ha già in mente un finale o lascia che siano le idee che le vengono man mano a guidare il percorso della storia?

Certo, fa parte di una serie che vede protagonista Samuel Hamilton. Ho in mente un’idea generale ma non ho ancora deciso tutto.

I personaggi li ha presi dalla vita reale?


Solo Melba. Era la mia socia quando avevo il bar, e di lei non ho cambiato nulla, neanche il nome. Era proprio così: la sua voce roca, il suo modo di fare... ma soprattutto la sua onestà.
Un giorno, camminando per la strada vidi un cinese albino, e così mi venne l’idea. Volevo che fosse un venditore di erbe, non so perchè. Il nome l’ho inventato. In molti sono andati a San Francisco in cerca del bar e dell’erboristeria, ma non c’era nulla di reale. Canta Ranas, invece, è reale: è il posto dove sono cresciuto e l’ho menzionato nel libro per puro orgoglio.
Per il secondo libro, invece, il protagonista l’ho trovato a Venezia tre o quattro anni fa’. Ero su un vaporetto e ho visto un bell’uomo, italiano, alto più o meno come me, con i capelli grigi e crespi, con un profilo da grande attore. Si voltò e vidi che gli mancava un occhio. Non ci potevo credere: mi si era appena presentato il procuratore legale del mio libro successivo. Io cercavo un tipo che avesse un difetto e non sapevo ancora quale potesse essere. Non potevo farlo senza braccia. È un personaggio delizioso, cattivo, e il suo aspetto è molto importante, dà colore al suo carattere. Quando leggerete il libro scoprirete anche qual è la debolezza di questo personaggio.


Ci parli del personaggio di Samuel Hamilton.

Prima di tutto, avendo letto tutti questi grandi maestri del passato, volevo creare un personaggio che non fosse un avvocato. Doveva essere un vagabondo senza vergogna, che partisse dall’immondizia per risalire lentamente, e non volevo che fosse da solo. Volevo che fosse un perdigiorno, un ubriacone senza destino che poi, con l’aiuto della gente, risalisse a poco a poco.

La storia di Rafael è parallela a quella principale. Questo personaggio ha un valore simbolico?

É la rappresentazione della persona che lavora sodo e cerca di mettersi in regola ma non ci riesce. Da un lato c’è il disprezzo in quanto chicano, dall’altro ha la solidarietà di chi lo conosce e gli vuole bene.

Durante la sua carriera di avvocato ha difeso diversi lavoratori messicani immigrati illegalmente. È più facile che i sospetti di un delitto ricadano su un immigrato che non su un nativo?

Quasi sempre. Le carceri degli Stati Uniti sono pieni di immigrati e di neri. Il 90% dei detenuti americani sono persone povere, immigrati che non possono pagarsi un buon avvocato o che si mettono in stupidi pasticci per sopravvivere o per dare da mangiare alla propria famiglia. Un terzo della popolazione nera è in carcere. Quindi, un procuratore legale sa che se si tratta di un messicano vincerà sicuramente. Nel mio secondo libro si parla proprio di questo.

In concreto, lei che cosa fa per queste minoranze?

Faccio quello che posso. Io non ero avvocato penalista, ero civilista. Per la legge, la prova è tutto. Io facevo da solo le ricerche per il caso, in parte perchè non avevo soldi. Io trovavo cose importanti di cui nessun altro era al corrente. E non appena aveva luogo il fatto cercavo sempre delle prove concrete che nessuno potesse negare. Così facendo portavo avanti il caso e lo vincevo. Non lavoravo mai a un caso senza prima aver raccolto le prove. Purtroppo sono in pochi quelli che fanno così.

Qual è il ruolo di sua moglie nella sua carriera di scrittore?


Il mio ruolo nella sua è quello di portarle le valigie quando viaggia. Ma c’è una cosa interessante di cui mi sono reso conto solo nell’ultimo anno. Mio padre morì quando io ero molto giovane. Mia madre era brillante, le volevo molto bene, ma non era una persona forte. Fece tutto ciò che poteva per mantenere i suoi tre figli. Io non solo la adoravo, la rispettavo anche molto, tutta la mia vita intellettuale arriva da lei, era una persona che leggeva molto, ascoltava la musica, conosceva molto bene la cultura e le religioni del mondo. Io vivevo in un ghetto messicano, ma a scuola parlavo di filosofia e i professori non capivano come facessi a sapere queste cose. Le imparavo da mia madre, che era una persona fantastica. Quindi, tutta la mia vita interiore la devo a lei. La ammiravo molto, perciò quando entrò nella mia vita mia moglie Isabel mi resi subito conto che potevo ripagare mia madre per tutto quello che aveva fatto per me. Quindi, chiusi tutte le porte intorno a Isabel. Lei viene da una cultura latina dove l’uomo controlla tutto e la donna non ha diritti. Quindi, quando lei arrivò negli Stati Uniti era sorpresa da tutta questa libertà che non aveva quando era in Venezuela. Là aveva cercato di pubblicare un libro, l’aveva proposto a più di venticinque editori, ma nessuno la considerava perchè era una donna. Per guadagnare quanto un uomo doveva lavorare il doppio di lui. Cominciò a parlarmi delle scene dei suoi libri e io le dicevo cosa avrebbe funzionato e cosa no.  Mi resi conto che anch’io avevo la capacità di visualizzare le cose. Mio padre era un artista, uno scrittore, e sapevo che anch’io lo sarei stato una volta terminata la mia carriera di avvocato. Poi, quando il giorno è arrivato ho detto, ok, ora tocca a me. Quindi cominciai, passai a mia moglie il mio primo libro, quello del baule, di cui vi parlavo. La sfida che devo affrontare io è la stessa di tutti i giovani scrittori del mondo: non mi vengono le parole. Ho l’immagine e devo tradurla in parole. A poco a poco si impara come si fa. Io ho l’età di un vecchietto, ma sono uno scrittore giovane. Funziona così: io faccio quello che devo fare chiamando un editore, che legge il libro e mi consiglia. Avevo anche una segretaria che leggeva e mi dava opinioni. Dopo che tutti mi hanno dato la loro opinione sul libro, lo passo a  Isabel che lo prende e lo fa a pezzi.

Scriveva anche prima di sposarsi con Isabel?

Avevo scritto già qualcosa, ma non molto. Avevo in parte la base per questo libro. Più che altro scrivevo cose che avevano a che fare con la legge, niente fiction. Non avevo neanche il tempo, non potevo assentarmi dal lavoro, avevo altre cose per la testa.

Sono più i vantaggi o gli svantaggi di essere il marito di Isabel Allende?

Beh, lei è la superstar, io sono Willie... Willie chi? Ma è chiaro che siamo molto orgogliosi l’uno dell’altra. Lei mi ha aiutato molto.

Lei ha scritto La giara cinese in inglese, poi è stato tradotto. Nel testo italiano il traduttore ha lasciato delle espressioni in spagnolo, come amigo, carnal e altre, e a utilizzarle è soprattutto Rafael quando si trova in carcere. Erano in spagnolo anche nell’originale? Sì è perso qualcosa nella traduzione?

Erano in spagnolo anche nell’originale. Quando Isabel scrisse Il piano infinito, che è la storia della mia vita, dovette prendersi un dizionario di lingua pachuco, che è la lingua che si usava nel ghetto dove vivevo io. Io non parlavo spagnolo, parlavo pachuco. Diedi un’occhiata al dizionario e ritrovai delle parole che avevo dimenticato. Era uno slang che usavo da bambino. Isabel mi ha sempre sconsigliato di usare questo slang nei libri, ma sa bene che è quello che da colore ai personaggi. Nella traduzione allo spagnolo del primo libro la traduttrice ha cambiato molte cose, quindi nel secondo ho seguito il processo più da vicino.

Crede che i libri che contengono queste espressioni colloquiali e gergali, come il suo, perdano qualcosa nelle traduzioni che non possono rispecchiare questa varietà linguistica?

Sì certo. Tuttavia, quando ti separi da un libro che scrivi perdi il controllo su di lui. Non ho idea di che cosa abbia fatto il traduttore polacco o quello rumeno.

Non scrive mai in spagnolo?

Potrei, ma farei molta fatica e andrei lentamente. Non scriverei con la stessa facilità. Non riuscirei a giocare con la lingua, l’immagine si andrebbe a perdere.


Traduzione di Silvia Casati


07 luglio 2009 Di Paola Pedrinazzi e Silvia Casati

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