Vi proponiamo un'intervista con lo scrittore Carlo Patriarca.
La recensione del suo romanzo d'esordio, ""Il campo di battaglia è il cuore degli uomini"", la trovate qui.
Lei ha studiato medicina e dirige un reparto di Anatomia Patologica: quando e come è nata la sua passione per la scrittura? Quali sono le letture che l'hanno ""formata""?
Ho sempre letto in modo molto disordinato e piuttosto lento, un po’ di tutto, ma prediligo gli autori italiani degli anni cinquanta-sessanta e la poesia. Anzi, sulla lentezza vorrei dire che, di solito, se un libro mi piace, rallento nella lettura.
E la scrittura?
Non posso dire di essere un grafomane e nemmeno uno che ha sempre scribacchiato. Solo, ho sempre preso appunti e note, anche da ragazzo, perché diffido della mia memoria. Qualche anno fa ho cominciato a scrivere dei racconti e uno di questi, per successivi intarsi, è diventato un romanzo.
E' naturale pensare che il suo lavoro in ospedale sia molto impegnativo: come riesce a conciliarlo con l'attività di scrittore?
Scrivo la mattina presto, all’alba, non più di una mezza pagina per volta, al massimo una pagina nel fine settimana.
Al di là del valore oggettivo di un'opera letteraria, non è sempre facile, per un esordiente, riuscire a pubblicare il proprio romanzo, a maggior ragione, con una casa editrice importante come Neri Pozza: com'è andata, nel suo caso?
Ho la fortuna di avere amici colti e sinceri che ho ringraziato in calce al romanzo; a loro ho fatto leggere alcuni racconti e l’abbozzo del romanzo e a loro debbo l’incoraggiamento a proseguire.
Terminato il romanzo, il mio agente letterario ha fatto il resto, anche con un paio di suggerimenti di trama ben piazzati.
Com'è nata l'idea della trama, che si sviluppa a partire dal 1796, dai momenti che precedono la campagna napoleonica in Italia e, successivamente, in Egitto?
Diversi anni fa avevo letto stralci delle lettere scritte da Bonaparte a Josephine Beauharnais all’inizio di quella fortunata campagna militare, quando lei ancora tergiversava a Parigi con il suo amante invece di raggiungerlo in Italia.
Sono lettere piene di passione e di amarezza dettata dalla lontananza.
Qualcuno ha notato come nei proclami di Napoleone vincitore, dietro il tono enfatico di quegli annunci, ci sia sempre qualcosa di malinconico.
Insomma tira già un’aria romantica in quella cavalcata vittoriosa, perché si tratta di una vittoria azzoppata dalla tristezza di chi ha conquistato “le fertili pianure lombarde” ma non il cuore della donna amata. Poi sono andato a vedere l’età di quel gruppo di generali e dottori: Napoleone ventisette anni, Murat ventinove e tutti gli altri tra i venti e i trentacinque anni, più o meno. A quel punto mi è parso naturale che anche i miei personaggi cercassero qualcos’altro nella loro avventura in Italia, oltre la gloria intendo dire. Inoltre c’è stata la lettura delle emergenze sanitarie durante la campagna d’Egitto, in particolare i diari del dottor Desgenettes, medico capo della spedizione. Credo sia nata così l’idea della trama.
La ""lista del tutto personale"" delle sue principali fonti informative sull'epoca napoleonica è molto lunga: si tratta di un argomento che studia e l'appassiona da tempo?
Qualche anno di letture.
L'immagine, non sempre positiva, di Napoleone che emerge dal romanzo è il risultato di una sua personale valutazione sull'uomo e sullo stratega o di una più ampia e rigorosa analisi storica?
Ma no, non ho una formazione che mi consenta di eseguire un’analisi storica!
Mi interessava il rapporto con il potere, quando è incarnato da una figura che esprime il massimo della competenza, ma che cede alla prepotenza come si cede a una debolezza, perdendo così in lucidità e soprattutto perdendo la stima di chi gli sta accanto, o sotto. In questo senso ho forse impresso dei tratti cupi e violenti al carattere di Bonaparte durante la campagna di Siria, ma di certo quella spedizione non fu un capitolo glorioso dell’epopea napoleonica.
Etienne, uno dei protagonisti e narratore in prima persona, è medico, ma anche musicista e letterato: quanto le somiglia?
Non saprei dirle, forse un po’, giusto nelle prime pagine, poi va per la sua strada. Etienne è un idealista che vede il crollo delle sue aspettative in Bonaparte, traditore degli ideali repubblicani scaturiti dalla rivoluzione, nell’amico Raymond, di cui scopre le debolezze, e in sé stesso come medico, per non aver saputo arrivare in tempo a una certa diagnosi (ma non dico quale, le pare?).
Sarebbe d'accordo nel dire che Etienne possiede due anime, una romantica, legata alle arti ed all'amore per Costanza, ed una più illuminista, legata alla medicina, ai progressi ed agli insuccessi di questa scienza in quel periodo?
Credo di sì, di sicuro però Etienne non è un fanatico giacobino; me lo sono immaginato piuttosto come un moderato, un girondino di Bordeaux come Raymond, che crede nei progressi della medicina. Per noi è facile mettere in ridicolo la medicina dell’epoca, eppure a ben guardare quei medici facevano miracoli: senza anestetici né antibiotici le amputazioni erano frequentissime e dovevano essere eseguite con grande perizia e velocità, per non perdere il paziente per emorragia o infarti. Non parliamo poi dei cordoni sanitari necessari in un mondo senza vaccinazioni. Ma nel romanzo Etienne si imbatte nelle idee di Jenner, lo scopritore della vaccinazione contro il vaiolo…
Per tornare alla sua domanda, ho cercato di dare soprattutto a Costanza questa doppia valenza. Costanza cerca un’emancipazione dal ruolo che il suo secolo riserva alle donne, ma finisce per vivere di ricordi sentimentali.
Quindi Costanza rappresenta qualcosa di più dell'oggetto, più o meno raggiungibile, dell'amore di due amici e soldati dell'esercito napoleonico?
Lo spero, anche se mi rendo conto che avrei forse potuto darle più voce, qualche pagina in più.
Può parlarci anche di Raymond e dei sentimenti che lo legano a Costanza?
Raymond è una spia, e siccome il lavoro che svolgiamo finisce per imprimere su di noi anche dei tratti psicologici, Raymond si svela un tipo mondano ma chiuso, poco propenso a scaldarsi per le passioni politiche. Non è incline alle confidenze, non scava in sé stesso e ha una passione, Costanza, che coltiva in modo maniacale e che, sospetto, avrebbe finito per stancarla se… Ma la trama non va raccontata, giusto?
Per quale motivo ha scelto come titolo, che trovo molto suggestivo, una frase tratta da I fratelli Karamazov?
E’ stata una scelta dell’editore. Indovinata, no?
Dal punto di vista formale, lei è riuscito a mantenere l'equilibrio fra le varie parti del romanzo - le azioni belliche, la descrizione dei luoghi, i sentimenti e la vicenda amorosa... - ma, questa è la mia impressione, avrebbe potuto approfondire alcuni personaggi o alcune situazioni: è stata una sua scelta precisa?
Non so, forse a un certo punto mi sono stancato o forse avevo bisogno del riscontro della pubblicazione. In ogni caso sono sempre grato a uno scrittore quando il suo romanzo non è troppo lungo e così mi sono attenuto a una regola di stringatezza. E poi, come le dicevo all’inizio, il tempo che posso dedicare alla scrittura letteraria è limitato.
Ma sta scrivendo qualcos’altro?
Ma sì, quasi finito, spero: le vicende di due amici e di altri personaggi, ambientata tra gli anni ’80 e i nostri giorni. E’ una sequenza di dieci racconti legati tra loro e in cui compaiono sempre gli stessi protagonisti in momenti diversi della loro maturazione.
Dimenticavo. I due... indovini un po'? sono medici.
Intervista di Lidia Gualdoni
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