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Quell'intervista a Sergio Endrigo...




Riproponiamo una delle ultime interviste concesse dal cantautore Sergio Endrigo. Fu realizzata per il portale Librialice alcuni mesi prima della sua scomparsa il 7 settembre del 2005. Con lui avevamo piacevolmente parlato della sua vita, della sua passione per la letteratura, e anche del suo pappagallo. Noto era il grande amore di Sergio Endrigo per gli animali. Sergio Endrigo era nato a Pola, in Istria, il 5 giugno del 1933. Negli anni Sessanta si afferma come cantautore, con la sua eleganza interpretativa, sempre un signore dietro al microfono. Nel 1962, con  Io che amo solo te raggiunge il successo popolare. Nel 1968, vince il Festival di Sanremo con Canzone per te, eseguita insieme al brasiliano Roberto Carlos. Tra i suoi evergreen come non ricordare Lontano dagli occhi, L'arca di Noè e la celeberrima Ci vuole un fiore, scritta in collaborazione con Gianni Rodari. Era diventato anche un romanziere, con Quanto Mi Dai Se Mi Sparo? edito da Stampa Alternativa e nell’intervista ci confidò di avere un nuovo romanzo in preparazione. 

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ENDRIGO COME NOÈ

Uno stralcio della telefonata con Sergio Endrigo (perdonate la qualità dell'audio). Il cantautore triestino parla del suo pappagallo e degli animali della sua "arca".


La sua produzione musicale è stata molto influenzata dalla letteratura. C’è sempre stata quasi un osmosi naturale…

Nella mia vita ho letto moltissimo… mi scusi ma c’è un pappagallo che sta con me da 37 anni (urla e risate, ndr). Mi ricordo che quando avevo 14 anni ero in vacanza, anzi più che in vacanza ero ospite di un mio zio benestante a Grado. La mia famiglia era invece poverissima, noi venivamo da Pola dopo l’esodo, quando quelle terre vennero assegnate alla Jogoslavia. A 14 anni divoravo Le novelle di Moupassant, il Teatro di Ibsen, I promessi sposi… Quand’ero militare, alla Scuola Truppe Corazzate di Caserta, dove facevo il corso da sottufficiale, mentre il capitano spiegava logistica  io sotto il banco avevo i Fleurs du Mal di Baudelaire.. Io ho musicato molte poesie ma quasi sempre per caso. Il direttore della RCA era innamorato di Via Broletto, la mia ballata del ‘62, e voleva che Pasolini scrivesse per me delle ballate e che io le musicassi. Incontrai quindi Pasolini che però in quel momento stava per partire per l’Africa. Mi disse di guardare nel suo libro di poesie La meglio gioventù, in friulano, la storia di una famiglia, Colussi dal periodo napoleonico alla Resistenza. Io presi il primo pezzo, Il Soldato Di Napoleone, c’era  già la traduzione sotto in italiano e la musicai.

In questo momento cosa sta leggendo?
Mia figlia mi ha regalato l’ultimo romanzo di Garcia Marquez, Memoria delle mie puttane tristi.

Come ha iniziato a scrivere canzoni per bambini?
È stato per caso che ho iniziato a scrivere canzoni in generale. Non sono nato in una sala d’incisione. Ho fatto sette anni di night club dal ‘52 al ‘59, tra Italia, Beirut, Lussemburgo e Amsterdam. Poi mi sono stufato perché non vedevo nessun avvenire e ho firmato un contratto discografico come cantante con la Ricordi di Milano. Solo che allora c’erano già lì Paoli, Tenco, Gaber, Jannacci, Bindi. Un giorno il direttore artistico Nanni Ricordi, mi disse  “ma lei non scrive canzoni?”. Io risposi di no. Sono tornato a casa, ho cominciato e ne ho scritte 260 circa fino ad oggi. Lo stesso per le canzoni per bambini: è stato un caso anche questo. Ho sempre  pensato che per scrivere canzoni per bambini bisogna essere dei poeti o dei gran furbastri. Ed io purtroppo non sono mai stato nessuna delle due cose. Negli anni ’70 interpretai diverse canzoni per bambini scritte da e con il poeta brasiliano Vinicius De Moraes (La Casa, Il Pappagallo, La Pulce, La Papera, L’Arca,...) La Casa era inserita nel Long Playing La Vita, Amico, È L’Arte Dell’Incontro ed ebbe subito un gran successo tra i bambini. Il disco L’Arca includeva anche il brano Il Pappagallo. A casa mia, osservando Paco, il mio pappagallo, Vinicius aveva scritto “ma che bello pappagallo tutto verde e l’occhio giallo…”: ci mettemmo in tre per finirlo, io, Bardotti e Bacalov. Sono andato da Giovanni Rodari, gli ho fatto sentire il disco, e lui mi ha dato una ventina di testi, da musicare. Ne ho musicati insieme a Bacalov, 11 o 12 non mi ricordo, tra questi il famoso Ci vuole un fiore.


Prendendo un po’ spunto dall’interruzione di prima, ho letto che si è sempre circondato di animali…
Sì è vero. Contagiato da mia moglie prima e mia figlia adesso. Ho comperato il pappagallo nel ‘68, quando ho fatto la tournée con Roberto Carlos, dopo aver vinto Sanremo con Canzone per te. E non dimentichiamo i molti cani e gatti.

Quasi un’arca di Noè la sua casa…
Beh, sì un vero e proprio zoo.

Torniamo alla sua storia musicale. Come spiega i cambi di casa discografica durante la sua carriera? Non aveva un po’ di paura dei rischi?
Dalla Ricordi sono passato alla RCA, perché allora il direttore artistico Nanni Ricordi, e il vicedirettore Crepax, avevano litigato con il consiglio di amministrazione e se ne erano andati.  Tramite Nanni Ricordi sono passato alla RCA, che allora rappresentava il 51% del mercato, Chiunque arrivava vendeva il disco. Poi me ne sono andato perché Nanni Ricordi non c’era più e volevano assolutamente costringermi ad accettare scelte artistiche a me poco gradite. Non mi è mai piaciuto quando un consiglio di amministrazione vuole imporre delle cose ad un artista. Sono andato via e sono approdato alla Fonit Cetra, che mi ha regalato un sacco di soldi, tutti pagati con le tasse. Sono andato a Sanremo molte volte perché la Fonit Cetra è una casa discografica Iri, poi Eri, formata da funzionari parastatali, che non sapevano niente di musica e di poesia. L’unica promozione che avevano era il Disco per l’estate, Canzonissima, e Sanremo.

Il suo disco in friulano?

Tradurre le mie canzoni in friulano è stata un’idea di un certo Alberto Del Pieri di Udine. Il tutto è legato ad una manifestazione molto interessante, Canzoni di Confine. Sono canzoni fuori dall’omologazione totale. Mi hanno invitato più di una volta.

Lei pensa di essere in credito con il mondo discografico italiano?
No, io sono più che soddisfatto, perché dico sempre che se non ci fosse stata la discografia, io a quest’ora sarei un manovale in pensione in Canada o in Australia. Però i tempi cambiano. Ho scritto questo libro, ispirandomi  all’arrabbiatura che avevo perché dal ‘80 al ‘95 ho fatto ben cinque album, tutti buttati via. Non so perché me li abbiano fatti fare. Oggi per far conoscere un disco bisogna spendere centinaia di milioni,  perché le radio private e  le televisioni vogliono i soldi.

Questo libro è stato uno sfogo o la voglia di raccontare questo mondo?
All’inizio è stato uno sfogo, poi è stato il piacere della scrittura. Mi sono divertito e adesso ne sto preparando un altro.

Tutte le immagini sono tratte dal sito www.sergioendrigo.it

16 novembre 2007 Di Francesco Marchetti

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