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Jean-Paul Fitoussi - Il teorema del lampione o come mettere fine alla sofferenza sociale.


Da tempo mi interrogo sulle ragioni che spingono molti economisti, compresi alcuni tra i migliori, a investire la loro intelligenza nella costruzione di teorie la cui complessità è seconda soltanto all'inutilità.


Benessere” e “sostenibilità” sono certamente parole che evocano concetti rassicuranti e sommamente desiderabili, ma quando vengono accostate con disinvoltura nei dibattiti o sulle colonne dei giornali sortiscono lo stesso effetto dei biscotti di un celebre spot d’antan. Viene da dire “… e chi sono io? Babbo Natale?”.
Oggi viviamo in un paradigma che se da un lato ci insegna a considerare inevitabili “le magnifiche sorti e progressive” che il liberismo degli esordi ha portato in dote al mondo moderno, dall’altro ci mette tutti i giorni sotto gli occhi come “crescita illimitata” sia un ossimoro, un’impostura ormai insostenibile.
Il mondo moderno è un campo di battaglia, un regno della sofferenza sociale che sembra mantenersi in vita a dispetto di tutto, e nonostante l’evidente fallimento del modello cui si ispira, a solo beneficio di pochi.
La disoccupazione e l’inflazione formano un dinamico duo come non se ne vedevano dai tempi di Batman e Robin, e per “dinamico” bisogna proprio intendere “capace di adattarsi”.
Non sembra esserci fine all’ubiquità e alla tenacia dei due fenomeni (uno dei quali, per molti economisti che parlano di “disoccupazione volontaria”, non sembra nemmeno essere sulla mappa).

La Banca Centrale Europea. E il lampione.


Eppure la teoria economica, che contro questa corruzione ha per lungo tempo rappresentato un argine, non sembra aver fatto molti passi in avanti dai tempi di Keynes, salvo compiere una restaurazione bell’e buona con l’avvento di un “neoclassicismo” (figlio delle crisi degli anni settanta e dell’emergere di una leva di economisti legati a doppio filo ai mercati finanziari) che ha semplicemente cercato di adattare il dettato dei chicago boys di Milton Friedman a tempi ancor più selvaggiamente sregolati di quanto il padre di tutti gli sregolati avrebbe mai potuto sognare.

La mano invisibile del mercato teorizzata da Adam Smith, ormai lo si è bell’e capito, non si vede perché non c’è, oppure perché somiglia a uno schiaffone che arriva talmente forte e veloce da poter essere percepito solo con la coda dell’occhio. Quando cioè è troppo tardi per tentare qualsiasi difesa.

Il nome di Keynes, certo – e Fitoussi lo fa notare – è stato evocato a più riprese nel 2008, quando si sono viste le prime avvisaglie di una crisi che abbiamo avuto la presunzione di pensare transitoria e che invece è andata dispiegandosi e risucchiando ogni cosa, ma la profetica lezione dell’autore della Teoria generale dell'occupazione, dell'interesse e della moneta sembra essere stata deliberatamente trascurata o dimenticata dai più.

Eppure, a dispetto di ogni ragionevolezza, continuiamo a cercare la chiave di una porta che è stata scardinata, e il libro di Fitoussi sostiene esattamente questo, con dovizia di esempi e spiegazioni (facilmente accessibili però solo a chi abbia una solida infarinatura di teoria economica, questo va detto. Gli altri dovranno sforzarsi un po').
E dunque: come mettere fine alla sofferenza sociale? Austerità o maggiore flessibilità? Incentivi all'occupazione o freni all'inflazione? Quali ammortizzatori sociali gli Stati devono dispiegare per proteggere le fasce più deboli della popolazione? E ancora: quale dev'essere il ruolo della politica, in una crisi che si vuole di esclusiva pertinenza dell'ambito economico?

Un celebre lampione della storia del cinema. Dov'è finito l'ubriaco?


È la tempesta perfetta, e il campanello d’allarme che Fitoussi fa risuonare – con la potenza di una sirena da raid antiaereo – è semplicemente un memento per tutti coloro che si ostinano a cercare risposte alla crisi dove, ormai è certo, di risposte non se ne troveranno.

“Il teorema del lampione” non pretende certo di offrire ricette definitive per archiviare questo momento storico di enorme sofferenza, ma ci mette di fronte alle tante contraddizioni che inficiano la nostra lettura del momento presente rendendone velleitaria ogni possibile risoluzione.

Ah, un’ultima cosa: qual è il lampione di cui va vaneggiando Fitoussi nel titolo del libro?
È quello di una vecchia storiella, declinata in molte lingue nel corso del tempo, ma dall’umorismo decisamente yiddish, dove si racconta di un ubriaco che barcolla sotto il cono di luce proiettato nella notte da un lampione.
Sembra cercare qualcosa.
Gira attorno al lampione, e guarda per terra mentre ad ogni passo rischia di inciampare.
Arriva un vigile, e gli chiede cosa stia cercando. “Le chiavi di casa!”, risponde l’uomo.
E il vigile: “Ma è sicuro di averle perse proprio qui?”.
“No”, afferma sicuro l’ubriaco, “le cerco qui perché c’è più luce”.

Ecco, secondo Fitoussi, una perfetta allegoria dei tempi in cui viviamo.
Noi – nemmeno a dirlo – rappresentiamo l’ubriaco.
Ma abbiamo bisogno di imparare a cercare – e vedere – nel buio, lontani da lucciole che non possiamo più fingere di scambiare per lanterne.

Jean-Paul Fitoussi - Il teorema del lampione o come mettere fine alla sofferenza sociale.
Tit.or. Le théorème du lampadaire, trad. di Maria Lorenza Chiesara
226 pag., 18 euro - Einaudi
ISBN 9788806217259 

Il teorema del lampione o come mettere fine alla sofferenza sociale

Tutto è irragionevole in ciò che accade nel mondo d'oggi: più di cinque anni di stagnazione, un balzo della disoccupazione e del lavoro precario, il declino del ceto medio, l'esplosione delle disuguaglianze. Ma da dove viene questa irragionevolezza e perché la accettiamo? Questo libro è un invito al viaggio nei territori che abbiamo intravisto durante le crisi che si sono succedute dal 2007-2008: la crisi della teoria economica, la crisi finanziaria mondiale, la crisi bancaria, la crisi europea dei debiti sovrani, e, infine, quella dei nostri sistemi di misura. Con un bilancio insopportabile: noi affrontiamo l'avvenire con gli occhi rivolti al cono di luce che ci giunge dal passato. Non possiamo trovare nulla sotto queste luci, se esse non sono in grado di illuminare il tempo presente. Le nostre teorie economiche falsificate a più riprese dai fatti - e le nostre politiche rivolte a obbiettivi che derivano da esse (stabilità dei prezzi, concorrenza, sostenibilità del debito) non riescono più a rendere conto della realtà né a rispondere ai bisogni della popolazione. "Il teorema del lampione" è, in egual misura, un appello a dare più peso all'esigenza di legalità senza la quale le nostre democrazie deperiscono, le nostre economie funzionano male e il benessere della popolazione si riduce ai minimi termini.

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