1770, Santo Domingo, ora Haiti. Tété ha nove anni quando il giovane francese Toulouse Valmorain la compra perché si occupi delle faccende di casa. Intorno, i campi di canna da zucchero, la calura sfibrante dell'isola, il lavoro degli schiavi. Tété impara presto com'è fatto quel mondo: la violenza dei padroni, l'ansia di libertà, i vincoli preziosi della solidarietà. Contro il fondale animatissimo della storia, Tété, spicca bella e coraggiosa, un'eroina modernissima che arriva da lontano a rammentarci la fede nella libertà e la dignità delle passioni.
«Honoré a malapena riusciva a pelare le patate per il pranzo della padrona con le sue mani deformi ma quando suonava il tamburo era instancabile e se si trattava di ballare, nessuno alzava le ginocchia più in basso, né scuoteva la testa con più forza, né dimenava il culo con maggior soddisfazione. Quando non sapevo ancora camminare, mi faceva danzare da seduta, e non appena fui in grado di reggermi sulle gambe,mi invitava a perdermi nella musica come in un sogno. "Balla, balla, Zarité, perché lo schiavo che balla è libero... finché balla" mi diceva. E io ho sempre ballato.»
Un’isola sotto al mare.
Un paradiso dove non ci sono pene, né sofferenze né dolore.
Un posto magico dove risuonano i tamburi, luogo di forza e speranza. Un’isola sotto al mare dove chiunque è libero e non c’è schiavitù.
L’isola sotto il mare è il titolo del nuovo romanzo di Isabel Allende, che si svolge tra il 1770 e il 1810, prima tra le piantagioni di Saint-Domingue (la Haiti di oggi) e poi a New Orleans in Louisiana.
Zarité, detta Tété, la protagonista, è una ragazzina mulatta di appena nove anni che viene comprata dal giovane Toulouse Valmorain, venuto dalla Francia a gestire la piantagione di canna da zucchero della famiglia, piantagione in cui lavorano fino alla morte schiavi neri, ridotti a mucchi di ossa, spesso e volentieri frustati e torturati. Tetè, tuttavia, nella sfortuna, scampa a questo inferno e diviene la schiava personale della moglie di Valmorain.
Il destino, però, le tende parecchie trappole: da bambina malnutrita, Tété diverrà una bella ragazza, oggetto dei desideri del suo padrone e degli sguardi del crudele Prosper Cambray, il guardiano della piantagione; costretta ad abbandonare il primo figlio che avrà da Valmorain, scoprirà solo molti anni dopo che ne è stato di lui; si innamorerà di Gambo, un ribelle, incapace di portare sia le catene della schiavitù che quelle dell’amore.
E poi la rivoluzione haitiana, la rivolta dei neri contro i grandi proprietari terrieri, la paura della morte e la fuga verso una nuova città. Tété non fa che lottare per tutto il romanzo: lotta contro il suo padrone, un uomo bianco e libero, lotta contro la società che la condanna per il suo essere prima di tutto una donna, lotta per amore non solo della libertà sua ma quella dei suoi figli e dei figli dei suoi figli.
E nelle sue lotte incontra altre donne, figure femminili splendidamente evocate. Tra queste, la più accattivante è sicuramente Violette Boisier, cocotte mulatta, orfana sia di padre che di madre, capace di far capitolare qualunque uomo e sempre assistita dalla materna schiava Loula, che ricorda un poco la Mami di Via Col Vento. Anche a Violette non saranno risparmiate gioie e dolori, eppure non mancherà di amare disperatamente prima il marito soldato e poi il figlio adottivo, ma soprattutto di sfruttare quegli uomini che tanto la desiderano, ma, allo stesso tempo, la condannano per la sua razza.
Donne forti e decise, come Tante Rose, la guaritrice della piantagione di Saint Domingue, come Rosette, la figlia di Teté, viziata, bella e audace. Donne fragili come Eugenia, la prima moglie di Valmoirain, donne crudeli ma fautrici del proprio destino come Hortense, che sposerà in seconde nozze proprio Valmorain, riuscendo a sottometterlo a lei completamente.
Insomma a farne le spese sono sempre gli uomini che, salvo rare eccezioni, sono privi di compassione, senza spina dorsale, incapaci di amare incondizionatamente: dal padrone di Tété (e, come lui, tutti gli altri proprietari terrieri) al medico Parmentier, che seppur a favore dell’abolizionismo, si vergogna della sua relazione con una donna di colore. Ancora una volta vengono messe in risalto queste donne dimenticate dalla storia ma non dall’autrice cilena, che le innalza a eroine, mai perfette, eppure capaci di grandi gesti e dotate di una forza d’animo straordinaria se comparata a quella maschile.
Questo di Isabel Allende è comunque prima di tutto un romanzo storico e sin dalle prime pagine ci troviamo di fronte ad uno degli eventi più terribili della storia mondiale: lo sfruttamento degli schiavi nelle colonie europee. Siamo in quella isola che dal 1804 verrà ribattezzata Haiti, in ossequio alla popolazione degli arauachi, i quali chiamavano l'isola Ayiti. Prima della dichiarazione di indipendenza, sono però molte le lotte che la gente di colore e i mulatti intraprendono per far valere i propri diritti: nel 1790, 350 di essi si ribellarono al governo e cosicché nel 1791 l'Assemblea Nazionale francese concesse i diritti politici a tutti i mulatti e i neri nati liberi (senza, tuttavia, mutare lo status di coloro che erano ancora schiavi).
Ad infondere questo spirito battagliero è Macandal, il messia nero, personaggio realmente esistito e protagonista di un breve episodio all’inizio del libro, ma che resterà ben impresso non solo nella mente di Tété ma anche in quella dei lettori. La Allende infatti torna ad avvalersi di quel “realismo magico” che aleggiava in altri suoi romanzi come La casa degli spiriti o D’amore e ombra.
Per questo motivo sono invocati spesso dalle nostre eroine i Loa, le divinità Vodoun che gli schiavi africani hanno portato ad Haiti dall’Africa.
Per chi ha amato la Isabel Allende di Inés dell’anima mia e dei suoi primi romanzi, ne L’isola sotto il mare ritroverà le stesse atmosfere suggestive. Battaglie, avventure, amore, dolori e passioni sono gli ingredienti principali di questo magico romanzo, perfetto per una lettura invernale davanti ad uno scoppiettante caminetto.
Recensione di Jessica Fornasari
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