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La morte dei caprioli belli di Ota Pavel


Il papà si lanciò nella vendita. Eravamo in primavera, nei parchi di Praga fiorivano i tulipani, in campagna i lillà e le mosche ancora non volavano a nugoli. Il papà vendeva come se non dovessero volare mai più. Era formidabile. Persuasivo. Una volta mi portò con lui. Socchiudeva i suoi begli occhi marroni, sorrideva, faceva un gesto con la mano, dissipava i dubbi, e chi lo ascoltava non capiva neanche più quello che papà stava dicendo e che cosa offriva, sapeva solo una cosa, che il prodotto era meraviglioso, che non poteva farne a meno.


Non è facile, per uno scrittore, guardare al proprio passato e ritrovare la voce e gli occhi di se stesso bambino. Non è facile fare lo spoglio dei ricordi e forse è impossibile distinguere tra ricordi ‘veri’ e ricordi ‘costruiti’ su quello che altro hanno detto e ricordato. Recuperare la voce e le parole, l’innocenza che è la non-conoscenza di ciò che gli adulti sanno, l’ammirazione per i genitori che può non essere incondizionata, ma è così colma di affetto da ammantare i difetti con un’aura di pregio. Ota Pavel, giornalista sportivo e scrittore praghese, ci riesce: ne La morte dei caprioli belli ricostruisce la storia della sua famiglia - padre, madre e tre fratelli - sullo sfondo della storia di quella che era la Cecoslovacchia. Ma è la storia della famiglia, raccontata per episodi, che è la più importante: che cosa può sapere un bambino della grande Storia se non attraverso il riverbero che getta su quelli che lo circondano?


Ota Pavel è nato nel 1930 a Praga. Il vero cognome di famiglia era, però, Popper: il padre Leo era ebreo, la madre cattolica. Ma, in tutti questi racconti, l’origine ebraica non ha alcun peso finché diventa la causa per alcuni fatti strani- il laghetto in cui il padre non può più andare a pescare o i due fratelli che devono andare in campo di concentramento. Il che è molto più grave, ma il piccolo Ota lo dice come se andassero in vacanza e tuttavia i genitori si affannano a cercare del cibo in più per loro, perché partano ben nutriti. Sopravviveranno tutti quanti, i Popper deportati nei campi (anche il padre fu internato, solo ad Ota fu concesso di restare con la mamma cattolica). Forse, in una piccolissima, minima parte, giovò loro la forza interiore che gli veniva dalla maniera di affrontare la vita di cui il padre era un esempio: il commesso viaggiatore Leo Popper trasformava tutto in uno scherzo, in un grande gioco in cui lui era per lo più il vincitore. Anche quando nessuno avrebbe puntato un soldo su di lui.


Il padre è il protagonista quasi assoluto dei ricordi di Ota Pavel nella raccolta La morte dei caprioli belli. Era un eroe agli occhi del bambino. Con una parlantina e un modo di fare così accattivante, anzi, così incantatore, che era capace di vendere aspirapolvere e frigoriferi anche dove non arrivava la corrente elettrica. Oppure, degli acchiappamosche che in realtà funzionavano ben poco e infatti ritornarono tutti indietro, montagne di acchiappamosche, insieme a lettere cariche di insulti. Come non ammirare un padre che, orgoglioso e giocondo, schiaffava sul tavolo banconote, che raccontava ilare le sue imprese, che faceva ingelosire la mamma con le sue arie da conquistatore? Noi lettori lo paragoniamo alla patetica figura del commesso viaggiatore di Arthur Miller che si gloriava di successi inesistenti, vantandosi di essere ‘di importanza vita le nel New England’. Anche a Leo Popper capitava di ritornare a casa confessando sconfitte, ma non era tipo da lasciarsi abbattere - si riprendeva con un guizzo, una nuova idea, un’allettante impresa.


Uno dei fallimenti più clamorosi (e più divertenti) era stato quello in cui aveva comprato il famoso laghetto. Gli era stato detto che era pieno di carpe, anzi, aveva visto con i suoi occhi un esemplare gigantesco di carpa. Lo aveva pagato con i soldi che la mamma avrebbe voluto usare per un tanto desiderato viaggio in Italia. In Italia c’era andato il dottore che gli aveva venduto il laghetto, e di carpe, dentro, c’era quell’unica che aveva visto.

Se il padre è il gigante divertente agli occhi del bambino, la mamma è una presenza solida, un appoggio sicuro, una mamma di cui vantarsi perché è così bella. Ed entrambi i genitori hanno quella forza interna e quell’amore per la famiglia che sono capaci di schermare i figli dalla tragedia della guerra che avanza e che li priva, a poco a poco, dei loro diritti.


Semplice, della semplicità che non è mancanza di profondità, cristallino, poetico (basta guardare un paio di titoli per coglierne la poesia), La morte dei caprioli belli ha la saggezza tenera dell’infanzia. Ci addolora sapere che il bambino di quelle pagine abbia finito i suoi giorni in un ospedale psichiatrico. E ci chiediamo se l’origine lontana della sua psicosi maniaco-depressiva non vada cercata in quell’apparente leggerezza, in quello sforzo di vivere senza lasciarsi abbattere.

di Marilia Piccone


Ota Pavel - La morte dei caprioli belli
Titolo originale: Smrt krásných srncu
Traduzione di Barbara Zane
pagg. 158, Euro 13,50 - Edizioni Keller 2013 (Vie)
ISBN 9788889767375


L'autore


La morte dei caprioli belli

Le storie della famiglia Popper incrociano le vicende dell'Europa di prima, durante e dopo la Seconda guerra mondiale. Eppure, leggendo "La morte dei caprioli belli", ridiamo e ci commuoviamo non sulle macerie della guerra, ma sulle cose di ogni giorno. Qui protagonista è la vita, travolgente in tutta la sua bellezza: un padre sognatore, innamorato della pesca e delle donne, che tra alti e bassi non smette di combinare guai, una madre solida e paziente ma che sa il fatto suo, pescatori, operai e soldati che rubano, regalano, scappano, temono... Con un calore e una semplicità disarmanti Ota Pavel ci porta sulle sponde del laghetto, sdraiati con lo sguardo che punta al cielo e il cuore colmo di stupore.

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