Ricardo Menéndez Salmón
“La memoria non è uno strumento dell’uomo, un docile aiutante, un servo efficiente; si direbbe piuttosto che l’uomo sia un lacchè della sua memoria. Perché l’uomo si indebolisce, si distrae, si deteriora, mentre la sua memoria si mantiene salda, capillare, incorruttibile; e mentre l’uomo sbaglia, si ammala, perde i denti, innalza mura, si nasconde, o divora i suoi simili, lei rimane all’erta, ad assorbire tutto, conservare tutto: a scavare, scavare, scavare.”
Non sono molte le pagine che racchiudono la trama complessa di questo romanzo scritto da uno spagnolo che ha per protagonista un tedesco e che è ambientato in Francia e in Inghilterra.
Quasi in punta di piedi ha inizio la storia che mette in evidenza la normalità dell’esistenza di Kurt, il protagonista: l’amore per il proprio mestiere, quello del sarto, una famiglia che dà calore, una ragazza per cui vale la pena attraversare la città, un futuro solido. Ma con altrettanta puntualità, e fin dalla prima pagina, ecco apparire ciò che è in grado di scompaginare le carte, ignorare quel piccolo mondo e sconvolgerlo. Nel giorno in cui il giovane sarto compie ventiquattro anni, Hitler invade la Polonia e immediata è la chiamata alle armi. Solo il postino che consegna il telegramma di arruolamento sembra inchinarsi alla solennità del momento che né Kurt, né nessuno della sua famiglia accoglie come un’occasione di gloria, ma come un fastidio che va arginato per impedire che faccia troppi danni.
Kurt è un ragazzo di buon carattere, mite e pieno di abilità: sa suonare l’organo, è un buon lettore, ama la musica, sa essere docile e rispettoso, scoprirà di saper guidare molto bene il sidecar, ma forse non gli è chiara la situazione e l’entusiasmo che lo circonda continua ad essere per lui incomprensibile.
Menéndez Salmón inizia così a preparare l’atmosfera della guerra combattuta, l’arroganza nazista, sentimenti estremi che sembrano tanto lontani dal mondo reale e intellettuale in cui il suo personaggio è cresciuto e che gli fa godere, nella Francia in cui vive in qualità di “invasore”, gli stimoli culturali di quel luogo così ricco di fermenti e occasioni, ben più che la soddisfazione della vittoria militare. Nessun orgoglio predatore, ma molta umiltà e molta curiosità.
È con una sensazione, il freddo, che il lettore si avvicina all’episodio centrale e fondamentale del romanzo: un’atroce rappresaglia, compiuta per vendicare l’uccisione di alcuni soldati tedeschi. Gli abitanti di un intero paese, donne, vecchi, bambini, sono rinchiusi in una chiesa, intorno alla quale sono accumulati sedie, tavoli e legna di ogni tipo a cui è dato fuoco così da trasformare quel luogo sacro in un enorme falò.
“L’uomo convive con il proprio corpo ma non lo conosce. Almeno non del tutto. Un uomo e il suo corpo sono realtà distinte. Sicuramente è questo che permette di comprendere la radice più profonda del dolore, che altro non è che lo strappo prodotto dall’indifferenza del corpo verso se stesso”: Kurt davanti a quell’orrore sviene e quando riprende i sensi in lui qualcosa è morto per sempre. Il suo corpo rifiuta di avere ogni forma di sensibilità, nessun dolore, nessun tormento, nessun piacere, nessuna sollecitazione, nessuna ebbrezza, nessuno smarrimento: nulla, un’insensibilità mostruosa, malattia del corpo e dell’anima, che nessun ospedale, nessun medico potrà mai curare.
Ricoverato in ospedale, sotto le cure di un medico francese che si appassiona al caso (e al paziente), e accudito da una giovane e tenace infermiera, Kurt riprende a vivere, anche se i suoi superiori sembrano averlo abbandonato del tutto e la sua malattia non dà segni di miglioramento. Ma ecco che l’inesorabile crudeltà della guerra si riaffaccia: i partigiani francesi entrano nell’ospedale e decidono l’eliminazione di tutti i soldati tedeschi ricoverati. È ancora il freddo ad annunciare l’eccidio anche se questa volta Kurt non lo avverte. Il medico riesce a salvare il suo malato prediletto che assiste angosciato alle esecuzioni dei commilitoni: “… Kurt scoprì il rovescio – o, per meglio dire, il prolungamento – dell’orrore patito dieci mesi prima e constatò che la paura e la crudeltà non hanno patria, che si annidano nello stesso modo in tutti i cuori: francesi, tedeschi, russi, americani, giapponesi, spagnoli, cosa importa, è la materia bruta dell’uomo sul piatto della bilancia, la sua corruzione, la sua viltà, la sua arroganza di animale idolatra, non il suo cognome, il suo credo, le sue preferenze culinarie.”
La guerra finisce, Kurt cambia nome e nazione, va a vivere a Londra con la giovane infermiera che ama e da cui è teneramente riamato, trova un lavoro, sembra trovare anche la pace. Ma una sera, quando si prepara a festeggiare la sua prossima paternità, quattro uomini e una donna bionda, che sprigiona intorno a sé orrore e fascino, lo vanno a cercare...
Due parole in conclusione. Questo è uno di quei libri che non si dimenticano facilmente, che crescono dentro al lettore pagina dopo pagina, che costringono a pensare e che, anche nelle pagine più filosofiche, non impartiscono lezioni ma suggeriscono una riflessione: sull'ambiguità della vita, sulla guerra e la sua disumana crudeltà, sull'inscindibile legame tra il nostro corpo e le nostre emozioni.
Le prime pagine
Benché per tradizione familiare, ed espresso desiderio di suo padre, Kurt Crüwell avrebbe dovuto prendere in mano una rinomata sartoria al numero 64 di Gütersloher Strasse, nella città di Bielefeld, non lontano dal verdissimo Teutoburger Wald, a pochi isolati da dove, decenni più tardi, tra il 1966 e il 1968, il noto architetto di Cleveland Philip Johnson avrebbe costruito la famosa Kunsthalle, sta di fatto che il 1° settembre 1939 un evento atteso, ma non per questo meno traumatico, rimpiazzò i suoi sogni beati di proprietario - nonché una futura posizione privilegiata in seno alla società piccolo borghese bielefeldiana - con una sorte molto meno beata e oltremodo rischiosa.
Quel giorno, in cui Kurt festeggiava il ventiquattresimo compleanno, un suo compatriota di nome Hitler ordinava al suo esercito di penetrare nel corridoio di Danzica, attaccare la città che oggi conosciamo come Gdansk e appropriarsi di un pezzo di storia polacca in nome del Terzo Reich. Era scoppiata la Seconda guerra mondiale.
II
Il mattino dopo, un telegramma urgente pervenuto al numero 66 di Gütersloher Strasse, portone accanto alla sartoria e abitazione della famiglia Crüwell, composta da Kurt, sua sorella Hannelore e i loro genitori Joachim e Brunilda, ingiungeva al ragazzo di presentarsi immediatamente dall'ufficiale di maggior grado presente nel quartiere.
Negli occhi del postino che, con una solennità non priva di tenerezza, recapitò il messaggio, ardeva il sacro fuoco dell'orgoglio. In un certo senso, era lui che annunciava la buona novella alla gioventù tedesca. E poco importava che facesse il suo giro in bicicletta.
Fu così che Kurt seppe della fino ad allora insospettata esistenza del cinquantenne spelacchiato Josef Hepp, uomo cordiale e un po' buffo, che gestiva una locanda nella vicina Ummelner Strasse ed era membro della Nationalsozialistische Deutsche Arbeiterpartei dall'inverno del 1933. Lo ricevette sul portone ombreggiato della sua proprietà, vestito di un'impeccabile uniforme scura, fumando tabacco tranciato con evidente soddisfazione.
Interrogato da Hepp in un locale pieno di soldatini di piombo decorati di svastiche in miniatura e in cui aleggiava un odore persistente di cotoletta di maiale, Kurt rispose concisamente alle tre domande che gli furono poste.
Prima. No; non era imparentato con i Crüwell del Sedicesimo secolo, nobili proprietari di una lussuosa magione accanto all'Alter Markt.
Seconda. No; né lui né nessun componente della sua famiglia era in possesso della tessera della NSDAP.
Terza. Era orgoglioso di affermare che la sua professione era quella di sarto.
© 2008, Marcos y Marcos
Ricardo Menéndez Salmón – L’offesa
Titolo originale – L’ofensa
Traduzione di Claudia Tarolo
160 pagine, 13,50 euro – Edizioni Marcos y Marcos ( Gli alianti)
ISBN 978-88-7168-470-3
L'autore
Ricardo Menéndez Salmón è nato a Gijón, gioiello liberty nel cuore delle Asturie, nel 1971.
Ha studiato filosofia, scrive su quotidiani e riviste.
Con i suoi romanzi e racconti precedenti ha conquistato numerosi premi, tra cui il Premio Juan Rulfo, uno dei più prestigiosi riconoscimenti internazionali riservati alla letteratura in lingua spagnola. L’offesa ha suscitato grande clamore in Spagna, tanto da essere definito il fenomeno letterario del 2007.
11 febbraio 2008 | Di Grazia Casagrande |
Kurt Crüwell si preparava a fare il sarto, sposare Rachel e suonare l'organo in chiesa. Peccato che un suo connazionale di nome Hitler avesse altri programmi per lui. Spedito al seguito della Sesta armata, Kurt subisce un ardore guerresco che non gli appartiene. Per resistere, rammenda divise, cuce taschini e contempla le bellezze di Parigi. Finché, una gelida mattina d'inverno, non vede in faccia l'orrore: davanti a lui, per ordine del suo capitano, novantun civili francesi bruciano vivi in una chiesa di pietra. Annientato dalla brutalità di questo rito criminale, il corpo di Kurt si distacca dal mondo, perdendo completamente la sensibilità. Kurt non avverte più il freddo, il caldo, il dolore. Anestetizzato e vulnerabile, inabile alla vita, trascorre le sue giornate in un ospedale a picco sul mare, nella Francia occupata. In questa solitudine lo trova Ermelinde. Con passione e infinita pazienza lo restituisce alla bellezza, alla musica, alle carezze dell'amore. Ma il viaggio di Kurt verso il cuore delle tenebre non è finito. Quattro uomini e una splendida donna vengono a cercarlo, diabolica seduzione. Kurt sa bene di entrare in un gioco pericoloso. Eppure si sente trascinare da una forza straordinaria, come la risacca su una spiaggia.
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