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Parsifal di Richard Wagner al Covent Garden di Londra con la direzione di Rudolf Kempe

PARSIFAL - RICHARD WAGNER - STORIA DELL'OPERA - TRAMA - MUSICA
Da parte di Richard Wagner risale all’agosto del 1845 − giusto durante un soggiorno termale a Marienbad − l’interesse per il poema medioevale Parzifal di Wolfram von Eschenbach  e per varie altre analoghe letture sulle leggende ispirate al mito del Graal: la coppa dell’ultima cena di Cristo, con la quale verrà poi raccolto il suo sangue dalla croce.
Cinque anni dopo il compositore realizzerà il Lohengrin: ultima opera “lirica” (nel senso tradizionale del termine) del Nostro. Ma innumerevoli spunti, non solo mitologici ma pure musicali, di questa partitura saranno destinati a essere ripresi e confluire nell’estrema creazione wagneriana, il Parsifal, dramma frutto di una lunghissima gestazione durata, sia pure a più riprese, dal 1877 al 1882 e considerata oggi unani-memente dalla critica il capolavoro dell’artefice di Bayreuth.
Il cavaliere del cigno/Lohengrin, infatti, altri non è che il figlio di Parsifal: “der reine Tor”, il puro folle eroe del Graal.


Scena dall'edizione 2006 del Parsifal al Met di New York. Al centro Thomas Hampson

STORIA

“Ein Bühnenweihfestspiel”, un’azione scenica ieratica, cioè all’insegna del sacro. Ecco ciò che secondo l’autore avrebbe dovuto rappresentare questa complessa opera d’arte, densa di simboli esoterici e venata di un misticismo che è espressione d’una spiritualità in cui vengono a fondersi elementi religiosi sia cristiani che buddisti, motivi alchemici e spunti meditativi ispirati alla filosofia di Schopenhauer. Non a caso per decenni, almeno in Germania, causa la profonda religiosità di questo dramma teatral-musicale, il pubblico era solito evitare gli applausi a fine rappresentazione, ed in alcune città tedesche si inscena ancora il Parsifal proprio la sera del Venerdì Santo, quando per altri spettacoli il sipario invece resta chiuso.

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TRAMA
Già il lento ed intenso preludio sinfonico dell’opera appare subito caratterizzato da un’atmosfera di profonda sacralità/solennità.

Vi compaiono tre elementi tematico-melodici destinati a caratterizzare i cosiddetti Leitmotive o motivi conduttori che verranno ripresi, pur trasmutati o accennati, lungo tutti i tre atti.
L’azione scenica vede i cavalieri-sacerdoti del Graal destarsi all’alba in un bosco.
Fra loro è l’anziano Gurnemanz che narra l’antefatto della vicenda.
Il mago Klingsor ha sottratto al re Amfortas, mentre questi era fra le braccia di una donna, la reliquia della lancia che sul Calvario era stata usata per ferire il petto di Cristo. Poi con essa ha colpito il re causandogli un’inguaribile piaga.
Molti sono i cavalieri partiti per recuperare la sacra lancia, ma invano, essendo rimasti irretiti nel giardino delle delizie, regno di Klingsor.
Solo un puro folle, riuscirà nell’impresa e a sanare Amfortas.
Appare quindi sulla scena l’ambigua Kundry: insieme femmina sensuale e devota al Graal, recando in dono un unguento purtroppo inefficace per la piaga del re.
Si sentono nel frattempo grida: uno dei sacri cigni è stato ucciso dalla freccia di un cacciatore: ingenuo ragazzo inconsapevole del suo gesto e persino del suo stesso nome (Parsifal).
Che sia questo il puro folle tanto atteso?
Ma davanti al rito dell’esposizione del Graal, il giovane rimane attonito, venendo quindi allontanato come stolto.
Il ragazzo raggiunge però il giardino di Klingsor, dove Kundry cerca invano di sedurlo. La maliarda invoca allora il mago che tenta di colpire Parsifal con la lancia, ma egli dopo averla afferrata la usa per distruggere l’incantesimo del giardino, il quale inaridisce.
L’eroe a questo punto si allontana. Lungo sarà il suo vagare tra prove e sofferenze. Ma all’alba del venerdì santo farà ritorno dai cavalieri del Graal, il cui ordine appare decaduto. Lo accolgono una Kundry pentita dei suoi trascorsi ed il vecchio Gurnemanz che lo incorona re, conducendolo subito da Amfortas.
Là Parsifal con la lancia sana la ferita dell’ex sovrano e ordina di procedere allo scoprimento della sacra coppa. Alla luce splendente emanata dal Graal scende dal cielo una bianca colomba a posarsi sul capo dell’eroe. Tutti esultano enunciando: “Erlösung dem Erlöser” (redenzione al redentore) ed il dramma si chiude.


MUSICA
Il Parsifal, definito da Debussy “uno dei più bei monumenti sonori che siano stati elevati alla gloria imperturbabile della musica” è opera di vasto respiro, contraddistinta da un’orchestrazione opulenta pur se estremamente controllata; trasparente e limpida ma compatta, sebbene ricca di sfumature. Con essa Wagner raggiunge l’apice della sua arte che trae qui fonte d’ispirazione sia dal vasto patrimonio della musica luterana e bachiana, che dagli oratori di Haydn e Mendelssohn.
E pure i detrattori/polemisti nei confronti del Nostro, nel suo come nel secolo successivo, patirono – per dirla con Rubens Tedeschi – “l’irresistibile attrazione di quest’opera fluviale e il disagio che sempre comunica”.


Rudolf Kempe


Questa EDIZIONE e altri ALLESTIMENTI

Problematico indicare i migliori allestimenti del Parsifal.
Ottimi senz’altro, a mio dire, quelli musicalmente diretti da Pierre Boulez e da Georg Solti.
Ma dovendo scegliere un’interpretazione, soprattutto per chi non si sia mai accostato all’ultima fatica di Wagner, opterei per quella del 1959, andata in scena al Covent Garden di Londra sotto la direzione di Rudolf Kempe e appena ristampata da “Testament”.
E questo in primo luogo perché abbiamo a che fare con un Parsifal nel segno d’una orchestrazione assai morbida e soffusa (alla Knappertsbusch, per intendersi), lontana anni luce da ogni tentazione trionfalistica o spettacolare.
Karl Liebl forse non è il più eccellente “puro folle” della sterminata discografia wagneriana ma è all’altezza del difficile ruolo.
Discreta l’interpretazione del cattivo Klingsor, incarnato da Otakar Kraus.
Brava senza se e senza ma Gerda Lammers al suo debutto quale Kundry, come − unanimemente lodato dalla critica del tempo − convince ancor oggi l’Amfortas di Eberhard Waechter.
Forse la voce (e l’interpretazione) migliore è quella di Gottlob Frick, la magnificenza del cui canto è rimasta proverbiale.



23 marzo 2010 Di Francesco Roat

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