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Pasolini in salsa piccante di Marco Belpoliti

Partiamo da un’immagine per tornare all’immagine. Questo è uno dei nuclei fondamentali della riflessione sulla vita e l’opera di Pasolini fatta da Belpoliti nel suo ultimo lavoro, Pasolini in salsa piccante, edito da Guanda. Si parte e si conclude, dunque, soffermandosi su uno scatto di Ugo Mulas, che ritrae il regista in controluce, silhouette in positivo e non in negativo. È l’immagine che spicca sulla copertina del libello di Belpoliti, la stessa che viene ripetuta e di cui si parla in chiusura. Una fotografia che rivela un contrasto e, contemporaneamente, una sua soluzione nella sfera stessa del corpo autoriale. Una coincidentia oppositorum che esprime uno dei tratti più interessanti e discussi dell’opera pasoliniana, quello espresso nei celebri versi delle Ceneri di Gramsci: “Lo scandalo del contraddirmi, dell’essere / con te e contro di te; con te nel cuore, / in luce, contro di te nelle buie viscere”. Contraddizione e identificazione, il doppio movimento di un pensiero problematico che torna continuamente su se stesso e si ripensa, ma anche la forza “di colui che ha sempre ragione anche quando ha torto”.
Belpoliti riflette sul valore dell’immagine e del corpo nell’opera di Pasolini, sul metodo d’indagine adottato dal poeta per esplorare la realtà italiana e sul significato che in questa prospettiva assume quel gesto, tanto spesso frainteso, di gettare il proprio corpo nella lotta. Il metodo attraverso cui Pasolini legge la realtà, afferma Belpoliti, è semiologico-visivo. Pasolini è chiaramente simbolista, anti-illuminista, e questo aspetto è evidente già dalle poesie friulane della giovinezza. La radice della sua poesia e della sua attività polemica è, prima di tutto, estetica ed erotica, e prende le mosse dalla sua omosessualità, mai nascosta e continuamente esibita. Dal corpo dei ragazzi a quello dell’Italia, entrambi rimpianti dolorosamente, fino alla rievocazione nostalgica dell’umile paese degli anni del fascismo e subito successivi, nei quali ancora si respirava una grazia naturale, vitalistica, incorrotta, di matrice contadina. Sull’estetica, dunque, egli costruisce la sua etica. Partendo dai corpi e dai segni fisici, per arrivare di conseguenza al linguaggio verbale, Pasolini fu lucido osservatore della realtà del suo tempo. Su questo non si può non concordare con Belpoliti, né lui è certamente il primo a focalizzare l’attenzione sull’importanza dell’esperienza corporea ed estetica nel metodo conoscitivo pasoliniano. L’opera di Pasolini parla più chiaramente di qualsiasi discorso su di essa: inizia con un Narciso che si immerge innamorato e respinto nella realtà edenica di Casarsa partendo dal dialetto (aspetto da non sottovalutare, perché il dialetto è innanzitutto primigenia volontà di nominazione, puro suono, presenza fisica, corporea) e finisce con il festino di corpi presente in Salò (e poi in Petrolio, postumo). Se non vogliamo considerare parte dell’unica opera monumentale che fonde letteratura e corpo la fotografia del suo cadavere all’Idroscalo di Ostia. 

Pier Paolo Pasolini durante le riprese di Appunti per un'Orestiade africana

Non sono d'accordo con Belpoliti quando afferma che “si è quasi sempre sorvolato sul tema dell’omosessualità e sull’elemento estetico”. Sarebbe l’omosessualità di Pasolini a spaventare ancora l’Italia, che cerca di rifiutarla e nasconderla facendo di lui un martire delle trame occulte degli anni Settanta, come per alleggerirsi del senso di colpa nei suoi confronti. “Di Pasolini oggi ci viene offerto un santino quasi fosse il Padre Pio della sinistra, bisognosa, come i fedeli dello stigmatizzato di San Giovanni Rotondo, di uno sciamano che decifri in modo rabdomantico il presente, un sant'uomo cui rivolgersi con religioso stupore e abbandonata fiducia per conoscere il nostro futuro anteriore”. Non credo che la critica letteraria che studia l’opera pasoliniana abbia rimosso la sua omosessualità, considerandola alla stregua di un “vizietto” o sublimandola ideologicamente. Da un paio di decenni l’esame critico dell’opera pasoliniana si è fatto molto più obiettivo e problematico, filologicamente attento, accurato. D'altro canto, bisogna dire che se è vero che gli studi sull’opera pasoliniana si sono notevolmente approfonditi, è altrettanto vero che spesso ci viene offerta dai media l’immagine di un Pasolini martire e profeta, alla stregua di un santino, oggetto di devozione senza riserve. Da sinistra come da destra. Di fronte a questi ultimi casi, si nota decisamente un tentativo disperato di sublimazione ideologica e di semplificazione, che vuole renderci l’immagine di un intellettuale prima crocifisso, poi sacrificato come un agnello pasquale alla vittoria del consumismo e del nuovo fascismo. Mi sembra che Belpoliti non si soffermi a distinguere questi due piani, quello della critica e quello dell’opinione pubblica (e i due ritratti che ne scaturiscono), fondati su metodi di indagine e punti di osservazione notevolmente diversi. Ma il suo, forse, è proprio un approccio polemico provocatorio verso l’operato dei molti critici che non riescono a limitarsi a fare il loro lavoro da critici, confondendo i due piani, rivendicando sui quotidiani questa icona mediatica di profeta incompreso. Su questo non possiamo non concordare con Belpoliti, perché dai ricordi e dalle commemorazioni pubbliche il pensiero pasoliniano viene spesso banalizzato e continuamente sottovalutato nella sua ricchezza di sfumature. Inoltre, se Belpoliti non fosse quel grande critico che è, sarebbe a un passo dal cadere nell’errore opposto a quello di chi si è limitato a sublimare ideologicamente l’omosessualità pasoliniana, non considerando che dietro quell’estetismo c’era anche un’ideologia forte e un progetto con cui l’erotismo ha poco a che vedere. Allora sarebbe davvero il momento di fare pubblicamente i conti con Pasolini, con quella immagine da copertina che spesso viene giornalisticamente offerta ed esaltata, e risolvere le incomprensioni che hanno limitato e condizionato la ricezione della sua opera. Capire il suo amore, entrare nelle contraddizioni del suo pensiero, recuperarne la lezione, per onorarne la memoria senza cadere nella retorica dell’ammirazione aprioristica o del moralismo infecondo. Perché Pasolini è un grande maestro, e su questo Belpoliti non ha nessun dubbio.
Così, a 35 anni dalla morte del grande poeta, Belpoliti ci invita ad andare oltre le teorie complottiste e paranoiche che periodicamente sorgono intorno alla vicenda dell’omicidio Pasolini. Si riapra quindi il processo, se necessario, ma le indagini siano svolte da chi ha il compito di investigare. Che si smetta di strumentalizzare politicamente e intellettualmente la figura di Pasolini, a sinistra come a destra. Questo non toglie che resta un nostro diritto, e prima ancora un dovere in quanto cittadini, continuare a pretendere la verità su una vicenda che ha in sé molti aspetti contraddittori e oscuri. Senza rimozioni, senza rifugiarsi nei martirologi, senza voler vedere complotti dove non ve ne sono. È giunto il momento di “mangiare Pasolini per capirlo meglio, per trarre forza da lui, dalla sua contraddizione, per non subirla, ma per declinarla. Per non restare vittime del complesso Pasolini che attanaglia ancora chi attende la palingenesi generale della nostra società, tutta da salvare o tutta da perdere, inclinazione moralistica che il poeta per primo avrebbe, ne sono certo, colpito e sferzato con la sua urticante vis polemica”.

Pasolini e Totò sul set di Uccellacci e uccellini. ""I maestri si mangiano in salsa piccante"", dice il Corvo del film a Totò e Ninetto. Da qui il titolo dell'ultimo saggio di Marco Belpoliti.


Alla fine della lettura del saggio, davvero interessante anche per il corredo di fotografie di Ugo Mulas, si ha però la sensazione che Belpoliti non concluda, che la pars destruens prevalga sulla pars construens, che oltre alla rilettura dell’estetismo pasoliniano in chiave omoerotica e alla dichiarazione della propensione alla paranoia che attanaglia la sinistra italiana, non venga indicato nessun reale percorso da seguire. Che non ci dia la ricetta di questa “salsa piccante” con la quale cucinare, mangiare, divorare e digerire il maestro. Insomma, viene il sospetto che Belpoliti alla fine abbia scritto in risposta a quel gruppo di critici e intellettuali, facilmente individuabile, che sostengono la teoria dell’omicidio politico, attraverso questo libello che tratteggia tematiche che avrebbero meritato un approfondimento maggiore. Il rischio è che ne venga fuori un’immagine di Pasolini polemicamente opposta, ma limitata come tutte le altre.

Leggi l'intervista esclusiva a Marco Belpoliti


L'autore


05 novembre 2010 Di Sandra Bardotti

Pasolini in salsa piccante
Pasolini in salsa piccante Di Marco Belpoliti;

Sono trascorsi trentacinque anni dalla morte di Pasolini e forse è venuto il momento di fare con lui quello che il Corvo consigliava a Totò e Ninetto in "Uccellacci e uccellini": i maestri si mangiano in salsa piccante. Per digerirli meglio, ingerendo il loro sapere e la loro forza. Andare oltre Pasolini con Pasolini: è quello che si propone Marco Belpoliti nel suo saggio. Partendo dal primo processo, nel 1949, in Friuli, per atti osceni in luogo pubblico e corruzione di minore, passando attraverso la rilettura degli "Scritti corsari" e delle "Lettere luterane", e attraverso l'analisi dei nudi del poeta scattati nel 1975 da Dino Pedriali e le foto inedite di Ugo Mulas sul set di "Teorema", sino ad arrivare alla pubblicazione postuma di "Petrolio", Belpoliti mostra come la cultura italiana abbia sempre rifiutato l'omosessualità di Pasolini, come non abbia compreso che questa è la radice della sua critica alla "mutazione antropologica", e come oggi si cerchi di fare di lui un martire delle trame occulte degli anni Settanta, quasi per alleggerirsi del senso di colpa nei suoi confronti. Un pamphlet che è un atto d'amore: mangiare Pasolini per onorarlo, per liberarlo dal limbo dei cattivi pensieri e dei falsi perdoni, delle solerti ammirazioni e degli impotenti moralismi che l'hanno tenuto sospeso nei nostri pensieri per tre decenni. Mangiarlo in salsa piccante perché è un maestro. Un grande maestro.

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