Il piccolo principe, di Antoine de Saint Exupéry, è a tutt’oggi il libro che ha conosciuto più lettori e traduzioni al mondo dopo la Bibbia.
Ma non solo: esso viene continuamente ripubblicato un po’ ovunque. Recentissima, da noi, è una nuova edizione proposta da Sellerio nella classica collana blu all’insegna de La memoria.
Il testo, tradotto da Marina Di Leo, ha come pregevole commento una nota a cura di Daria Galateria, la quale ricorda che ormai sono quasi trecento, fra lingue e dialetti, gli idiomi in cui questa malinconica storia è stata sinora narrata.
E s’interroga sul perché di questo miracolo.
Tuttavia non risulta semplice rispondere a una simile domanda.
Troppo facile, ad esempio, limitarsi a sottolineare l’estrema poeticità di questa favola per bambini e per adulti al contempo.
Non basta infatti la bellezza o la pregnanza espressiva di un testo a farne un best seller universale.
Né certo basta l’originalità della vicenda o l’intensità dei temi affrontati.
Così temo debba in parte restare avvolto da una sorta di mistero il motivo per cui Il piccolo principe sia piaciuto e piaccia ancora così tanto.
Anzi, nel capolavoro irripetibile di Saint Exupéry vi sono – specie all’inizio della narrazione − atmosfere, frasi e sottolineature che, paradossalmente, potrebbero determinare sconcerto e/o perplessità nel lettore e quindi una presa di distanza, che però evidentemente finisce per non avere la meglio sul gusto di conoscere come prosegue la nota avventura ambientata nel Sahara.
Ma non solo.
Si pensi appena al clima mortifero che aleggia nelle prime pagine, quando, all’io narrante - pilota in panne nel deserto col suo aereo e preoccupato per la scarsa riserva d’acqua rimasta («Era una questione di vita o di morte») - appare d’improvviso un «ragazzino» che, pur trovandosi in quel luogo arido, non sembra – cito letteralmente − ""né morto di fatica, né morto di fame, né morto di sete, né morto di paura"".
Per non parlare della bizzarra richiesta che il piccolo principe fa al pilota, ovvero quella di disegnargli una pecora; cosa che il narratore dovrà ripetere quattro volte prima che l’eccentrico personaggio risulti soddisfatto.
Come d'altra parte è abbastanza probabile possano vantare uno scarso appeal i poco amabili abitanti degli asteroidi da questi visitati (il re, l’uomo vanitoso, l’ubriacone, l’uomo d’affari, il lampionaio, il geografo).
Senz’altro inquietante è pure il primo essere in cui le Petit Prince s’imbatte sul nostro pianeta, cioè un serpente dal veleno letale, che gli si presenta tramite affermazioni tanto perentorie quanto sibilline, tipo: ""Colui ch’io tocco ritorna alla Terra che l’ha generato"".
E quando il protagonista gli chiede come mai parli “per enigmi”, il rettile subito ribatte in modo categorico: ""Li risolvo tutti"". Chiaro esempio della non facilità di talune pagine di questa favola filosofica dolce-amara, in cui tra l’altro si sostiene che ""l’essenziale è invisibile agli occhi"".
Ennesima scena problematica – o comunque di non semplice lettura − è quella che vede la morte del piccolo principe, ""tornato sul suo pianeta"" giusto grazie al morso del serpente, che se da un lato lo annichila, dall’altro gli consente un’uscita di scena indubbiamente enigmatica ma commovente.
Insomma, appare davvero paradossale quest’opera d’alta letteratura che ha conosciuto una diffusione enorme nonostante la non sempre agevole difficoltà tematica e le sottigliezze stilistico-espressive che la caratterizzano. Come accennavo sopra, la prosa poetica che la sostiene è straordinaria.
La forza attrattiva di certe immagini e di certi personaggi, irresistibile (si pensi solo alle figure esemplari della volpe e del fiore).
Non da ultimo, ha senza dubbio aiutato a far vieppiù crescere la popolarità del testo la scelta compiuta dall'autore di illustrare personalmente il racconto.
Una scelta vincente: pochi altri disegni son destinati a rimanere impressi nella memoria come quelli che commentano questa favola sospesa tra amore e morte, disperazione e speranza, incanto dell’infanzia e adulto disincanto.
Primo fra tutti quello che raffigura il protagonista, vestito d’ampio mantello e armato di spadino, con quel suo volto insieme assorto e svagato, i capelli color del grano. O meglio, delle stelle.
Ci rammenta Daria Galateria che, nel 1942, il pilota-scrittore francese Saint Exupéry (due anni prima di venir abbattuto in volo da un caccia tedesco), allora esule negli Stati Uniti, stava disegnando sulla tovaglia di un ristorante a New York.
""Cos’è?"", gli aveva chiesto il suo editore, seduto allo stesso tavolo.
""Un bambino che porto nel cuore"", era stata la risposta di Antoine.
""Facciamone un libro per l’infanzia"" aveva immediatamente proposto l’ospite. Per sua e nostra fortuna Saint Exupéry, con entusiasmo, si disse subito d’accordo e l’anno dopo il piccolo principe fu pubblicato per la prima volta in America.
Recensione di Francesco Roat
Il Piccolo Principe - Antoine de Saint-Exupéry
Traduzione di Di Leo M. - 2015
156 p., ill., brossura - Sellerio Editore (La memoria)
EAN 9788838932663
Rievocando uno dei suoi incidenti di volo più gravi Saint-Exupéry raccontava di come aveva camminato per giorni nel deserto senz’acqua, senza meta, in compagnia solo di miraggi. Fu proprio da quella disavventura che nacque la figura dell’aviatore che, in panne nel deserto, incontra il Piccolo Principe. Un personaggio bambino e già adulto, «la favola più bella del Novecento» come è stata definita. Libro più letto al mondo (se ne sono vendute fino ad oggi più di centotrenta milioni di copie), secondo solo alla Bibbia, Il Piccolo Principe sfugge a qualsiasi classificazione, è stato infatti definito un libro inspiegabile, irripetibile, magico, sovrannaturale, unico, leggendario come il suo autore. Favola o racconto filosofico, pieno di riflessioni sulla vita, sull’amicizia, sulla solitudine, sulla morte, ha sempre esercitato un fascino prodigioso, anche per quei disegni dal tratto e dai colori delicati così indissolubilmente legati allo svolgersi del racconto. L’amore per il disegno era nato quando Saint-Exupéry era allievo caporale e passava il tempo a fare schizzi dei compagni del reggimento d’aviazione; così ne scriveva alla madre: «Non so cosa mi ha preso, disegno tutto il giorno; ora ho capito per cosa son fatto». Pilota, disegnatore, scrittore, tutto per passione e non come mestiere. A settant’anni dalla sua prima uscita una nuova traduzione del classico per eccellenza riletto da Daria Galateria.
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