A volte i miracoli accadono. Uno pensa di aver perso clamorosamente la Sua personale battaglia per la giustizia nella storia del Rock e invece si materializza, sotto i propri occhi, con una potenza comunicativa incredibile. jagger & richards
A volte i miracoli accadono e, oggi, il mondo si accorge di Exile On Main Street.
MICK JAGGER - KEITH RICHARDS - MICK TAYLOR - CHARLIE WATTS - BILL WYMAN - ROLLING STONES - EXILE ON MAIN STREET
Intendiamoci: chi ha seguito da vicino la storia della musica rock, ha nel cuore questo disco come poche altre cose.
E questo deve essere, obbligatoriamente, un punto di partenza.
Il discorso vale per tutti gli altri, per il mondo, per la cultura popular, insomma, per chi ritiene che The Wall dei Pink Floyd sia il massimo, che Light My Fire dei Doors sia un simbolo, che i Rolling Stones siano quelli di (I Can’t Get No) Satisfaction e che i Beatles partano da Yellow Submarine e finiscano a Let It Be. White Album escluso.
E che di Exile on Main Street non ne conoscevano neppure l’esistenza.
Ebbene, le jeu son faits, Exile On Main Street torna a casa, viene riconsegnato alla storia, con un clamoroso, quanto inaspettato, atto di umiltà collettiva.
Non ricordo, a memoria (e sono tanti anni che affondo le mani nel rock) un’operazione complessiva così accurata, meticolosa, strutturalmente storica che abbia accompagnato la ristampa di un disco (fondamentale) rock. Non la ricordo. Anzi, non è mai avvenuta. E questo dovrebbe dare l’esatta dimensione di un album epocale, sotto ogni aspetto, tanto quanto i primi tre dischi di Elvis, i primi due di Dylan e forse basta.
LA STORIA
12 Maggio 1972.
Curiosamente, l’anno in cui molti profeti del giornalismo rock (a ragione) tra i quali Lester Bangs, identificarono la fine della storia del rock e la nascita dell’Industry Of Coolness (l’industria del più figo, ovvero la nascita del rock commerciale e del marketing musicale).
Ecco, Exile On Main Street transita, quell’anno, il rock verso un mondo diverso. È l’ultima concreta espressione di una storia che si consolida e, puro capolavoro di modernismo, scrive quel che sarà da lì in avanti, il dogma di fede del rock and roll.
Un’opera d’arte a partire dalla copertina, realizzata niente meno che da Robert Frank, uno dei più grandi fotografi del ‘900.
È il decimo album della loro carriera e tutto il mondo crede che ormai Jagger e soci siano completamente, incredibilmente soddisfatti della loro esistenza: appagati, senza più alcuna voglia di andare oltre. Gli Stones, dal canto loro, sono stanchi della loro popolarità e forse, ancor di più, degli schemi in cui il mondo li hanno costretti. A forza. Con il bisogno di tutelare un mito.
Gli Stones scappano in Francia e scelgono una villa isolata come rifugio per la dissipazione. Il loro diventa il “beggars banquet”, un incredibile banchetto di debosciati, nel quale droga, alcool, sesso sono le uniche componenti presenti. Meravigliosi libri fotografici dell’epoca, ritraggono i Rolling Stones in una dimensione quasi aliena, completamente abbandonata e dimessa, allucinata.
Loro, i padroni della British Invasion, coloro che hanno riversato decenni di blues nella musica rock e pop mondiale,sublimano l’inferno e il tormento della musica blues nera: un ritratto, il loro, molto simile a quello del diavolo in persona, il più grande bluesman della storia, l’uomo che dialogava direttamente con Satana: Robert Johnson.
È in questa atmosfera, in questo contesto, che gli Stones decidono di suonare.
Suonare con l’impeto e la forza del romanticismo: lo Sturm Und Drang della musica moderna.
Accendono i registratori e cominciano a parlare con il mondo, secondo il loro linguaggio. Secondo il loro stato d’animo. Secondo la loro personalissima prospettiva, fatta di lassismo e di “sacrificio” musicale.
Abbandonano ogni velleità, ogni forza commerciale, ogni bisogno di gloria. Abbandonano tutto.
Tornano al blues e al rock and roll di Elvis.
Scremano ogni artificio. Suonano e basta. Confusi, sporchi, aggressivi, decadenti, a volte sbilenchi, ma meravigliosamente potenti ed essenziali.
È così che Exile On Main Street prende forma, diventando il più grande album di rock and roll dei tempi moderni. Perché in sé c’è sia il riassunto di cinquant’anni di esperienza rock and roll (quella blues, la radice, e quella di Elvis, la tradizione bianca) sia il dettato musicale del rock moderno.
I Rolling Stones inventano il Low-Fi, (Ventilator Blues) che dagli anni ’90 in poi sarà la matrice di ogni indie rock band mondiale: gli Stones incrociano il soul e il gospel, scarnificandolo, nell’impero dei sensi di Tumbling And Dice, l’inno spirituale alla dissipazione dell’uomo.
Scatenano una furia omicida, con il solo ausilio di chitarra e batteria, in Rip This Joint, un fulmine sul quale chiunque, dal 1973 in poi, svilupperà la velocità del rock and roll.
Qua e là, nel disco, si sentono stonature, gente che parla, cantanti improvvisati, urla, vetri che si rompono.
Come se una comune, improvvisamente, decidesse di concedersi, in modo quasi demoniaco, al linguaggio musicale popolare.
Come se i confini tra pubblico e musicista venissero sbriciolati, creando un nuovo asse, un dialogo, un continuum, una collettività artistica.
Qualcosa d’indefinibile.
Nella voce quasi rantolante di Jagger, nelle chitarre sgraziate e sudate, nella putrefazione della cultura radical chic, i Rolling Stones costruiscono il più grande tempio della musica rock moderna. Quello in cui entrare per riappropriarsi della verità.
Quello impossibile da riprodurre, se non a rischio della propria incolumità fisica.
Un album scritto tra la vita e la morte, in piena incoscienza, ma in totale contatto spirituale con il sovrannaturale.
Una sorta di rito voodoo. La fine del rock per come era conosciuto. E l’inizio di una nuova era.
La ristampa di Exile On Main Street ce lo riporta, così com’è, in tutta la sua enorme portata.
Con un Cd bonus aggiuntivo di brani inediti.
Un’opera filologica essenziale.
Un lavoro che alla Universal hanno avuto la capacità di impostare per il suo vero valore. Quello dell’epoca storica.
Una delle dieci ristampe più importanti del trentennio!
01 giugno 2010 | Di Mario Ruggeri |
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