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La storia di una donna: Santa Rita, la Santa degli impossibiliIl nuovo romanzo di Daria Bignardi 

Ho sempre pensato che a Milano sto bene, che è un posto da combattenti, da apolidi, una legione straniera. Che non saprei dove altro vivere. Ho fatto tutto qui: università, figli, matrimonio, lavoro. Milano mi somiglia. Parla poco, non ha tempo, sembra che non si affezioni a nessuno, ma non è così. Milano è come me, va di fretta e cerca di fare tutto meglio che può, nonostante se stessa.
 

In occasione di Bookcity Milano 2015, Daria Bignardi è stata intervistata da Barbara Stefanelli sul suo ultimo romanzo uscito con Mondadori, Santa degli impossibili. Una storia composta ma venata di tristezza e un personaggio inquieto, quello di Mila, donna costretta in una morsa esistenziale, tra il bisgono di recuperare la propria vocazione e il desiderio di accogliere quell'amore del mondo che solo ci può salvare.
È un libro fatto di coincidenze, quelle tra la vita della scrittrice, la sua protagonista e una Santa da una storia molto particolare... una storia che attira a sé le vite di altre donne accomunate dallo stesso disagio.

L'intervista di Barabara Stefanelli

B. Stefanelli

Mila, la protagonista, sembra avere tutto, una bella vita, un agio apparente... Però si capisce che c’è qualcosa che le manca. Che cosa?

D. Bignardi

Le manca la cosa più importante, però non lo sa. Alla soglia dei quarant'anni Mila sta per compiere un’azione drammatica, al seguito della quale conoscerà una persona che le parlerà di Santa Rita, la Santa degli impossibili. Questa Santa è presente in poche pagine del libro, però è importantissima.
Un anno fa sono andata a Monza, nel Duomo, e ho letto, per caso, la preghiera a Santa Rita che mi ha molto colpito dal punto di vista letterario e narrativo. Santa Rita è una delle pochissime sante che sono state sposate; a dodici anni aveva detto ai suoi genitori che voleva farsi suora, ma i genitori la fanno sposare a un uomo che ha diciotto anni più di lei e un bruttissimo carattere; da quest'uomo ha due figli. Un giorno il marito viene ucciso e lei supplica Dio che i suoi gemelli non vogliano mai vendicare il padre, che non diventino degli assassini; allora Dio se li prende. Lei rimane ""libera"" perché era arrivato il momento di riprendersi la sua vocazione. Così prova a entrare in convento, a Cascia, nel cuore dell’Umbria. Siamo nel Quattrocento; le suore non l’accolgono perché ha avuto un marito morto in circostanze anomale, ha avuto dei figli, perciò viene rifiutata. Una notte, Rita vola dal suo paesino all’interno delle mura di Cascia, è un miracolo, un volo magico. A quel punto le suore l’accolgono.
Questo miracolo le permette di fare quello che ha sempre desiderato fare: la suora. E questo mi è sembrato uno di quei miracoli che possono far accadere le donne, quando trasformano il dolore in amore. E proprio leggendo la poesia-preghiera di Rita ho capito cosa mancava alla mia protagonista: la cosa che la faceva stare male era aver lasciato dietro di sé la sua vocazione, quello che lei era prima di iniziare a fare la vita che sta facendo, quello che la rendeva felice quando era bambina.

 

B. Stefanelli

All’inizio del libro c’è questa sensazione di appartenenza, l’idea che l’amore del mondo in qualche modo non ci escluda. Alla fine l'importante non è quale sarà la vocazione di Mila, ma come lei fa questo percorso di ritrovamento di quell’amore del mondo, di come si mette in condizione di ritrovarlo. Ci sono donne che fuggono nel tuo libro, ma non da qualcosa, piuttosto verso qualcosa...

D. Bignardi

Le mie donne fuggono verso una felicità che è impossibile, ma forse, da qualche parte dentro di loro, c’è. Questo “destino” del dover assomigliare a sé stessi non dobbiamo lasciarlo indietro, è il bisogno di ricordarsi cos’è importante, non dimenticarsi di sé. Cos'è che mi fa vibrare, mi fa essere felice, che mi fa essere me stessa? È legato all’identità più che alla felicità, come la cosa più importante che noi abbiamo. Questo manca a Mila, questo è il suo malessere. Devo essere me stessa perché se non lo sono rischio di ammalarmi.

B. Stefanelli

«Niente serve, tanto vale volersi bene» è una delle ultime frasi di Mila, come se per ritornare alla sensazione di appartenenza al mondo, devi provare a volerti bene e rimetterti in movimento...

D. Bignardi

Sono contenta di sentire questa interpretazione perché chi legge aggiunge sempre qualcosa a quello che viene scritto. In realtà io ho scritto quella frase pensando al “io ti voglio bene”, non al “volersi bene”. Ogni libro illumina una serie di coincidenze. Per esempio: la copertina di questo libro è una copertina di Dino Buzzati, autore che ha sempre scritto di trascendenza. Io non avevo la minima idea che Dino avesse fatto come ultimo libro un libro di disegni, I miracoli di val Morel, tutti miracoli di Santa Rita che lui si era immaginato. Il disegno della mia copertina ricorda proprio due eventi importanti che avvengono nel libro. Io non sapevo niente di questo libro di Buzzati, per me è stata una grande coincidenza.

B. Stefanelli

Su questo libro è stato detto che le tue sono storie che hanno a che fare con la maternità. La mia impressione è che la maternità ricopra quel margine di possibilità che ciascuna donna dispone nella ricerca di sé stessa.
 

D. Bignardi

Certo, siamo sempre nell’ambito della qûete, della ricerca; infatti ho amato tanto i romanzi di formazione. Queste donne non sono donne che hanno dubbi e la maternità fa parte di loro come avviene per la maggior parte delle madri, è una condizione naturale. I figli sono dentro di loro, in questa corsa, e possono essere una zavorra, una distrazione… ciò che conta, alla fine, è riscoprire sé stessi, così da poter scoprire anche il mondo attraverso sé stessi.

a cura di Jessica Chia


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