Le interviste di Wuz.it

L'arte del guardare le cose


A seconda del punto di vista, le stesse cose appaiono in modo diverso: gli occhi dell'artista e quelli dello scienziato guardano la stessa cosa, ma hanno scopi e presupposti differenti.
È il pre-giudizio che spesso modifica le conclusioni a cui si giunge davanti al medesimo evento.
Ecco come un avvocato e uno scienziato affrontano, da diversi punti di vista, questo problema.

Il Festival della scienza

Gli altri interventi sul tema:
Nicola Cabibbo e Piergiorgio Odifreddi
Luca Doninelli e Fiorenzo Galli

La recensione di
Cavalcare la Luce. Scienza e letteratura


Secondo Franco Toffoletto, avvocato, ciò che hanno in comune gli uomini di legge e gli avvocati è un nemico: i pregiudizi.
Di pregiudizi parla anche Guido Barbujani, che vuole dimostrare l'infondatezza della tesi secondo cui esistono razze umane differenti...


FRANCO TOFFOLETTO

Io faccio l’avvocato ma in reatà avrei voluto fare lo scienziato, poi ho scoperto di non essere abbastanza portato. Riflettendo su che cosa sia invisibile per tutti, ma fondamentale e ben ""visibile"" per alcuni, mi è venuta in mente la lezione di un mio professore di liceo che, allora, mi aveva molto colpito e che ha avuto molta influenza sulla mia vita. 


Era il mio professore di latino e greco appassionato di storia della scienza e ha tenuto una lezione in cui distingueva tra un prima e un dopo Galileo. Ricordo questa battuta: ""la storia della scienza è la storia del vedere"". Aveva fatto una distinzione tra guardare e vedere. Tutti abbiamo sempre visto il sole che sorge, ma c’è chi lo ha visto pensando che fosse il sole a girare intorno alla Terra e chi invece, come Galileo, sa che è la Terra che gli gira intorno, quindi tutti guardiamo le stesse cose ma vediamo cose diverse a seconda di quello che abbiamo in testa, del pregiudizio, della superstizione.

Cambiare mentalità è un punto d'arrivo tipico della scienza, perchè sa vedere quello che prima nessuno aveva visto, pur guardando la stessa cosa.
Guardando una penna che cade si possono pensare cose diverse.
Prima di Galileo si poteva vedere un corpo che possedeva la qualità del cadere, ma dopo Newton o Galileo capiamo esattamente perché cade.
Abbiamo le macchie lunari descritte da Beatrice a Dante, ed è il trionfo della scienza medievale: qui l'arte è al servizio, o meglio sa trasformare in poesia la scienza...
Nell’arte abbiamo Mondrian, che guarda gli alberi, vede delle linee nere e le compone in maniera diversa rispetto a ciò che cade sotto i sensi di tutti: cambia il significato dell'arte e l’arte cambia la realtà; così come Galileo e Newton cambiano la scienza, perchè le cose si vedono sempre con la testa del momento storico in cui si vive.


E questo è un tema che si può espandere, può arrivare fino al mio mestiere, quindi anche ai giudizi, anche se i giudizi sono spesso influenzati da pregiudizi, dalla struttura, dal contesto, dal sociale, da quello che uno ha in intorno nella sua storia, e quindi anche dagli errori che dipendono da tutto ciò.
L’artista e lo scienziato sono liberi dal pregiudizio, aboliscono tutta la sovrastruttura e vedono cose nuove. Quindi la scienza e l’arte sono le scienze dell’invisibile. L’ansia dell’invisibile è rappresentata dalla metafisica e dalla religione. L’invisibile non è più la ricerca, ma è l’ansia di dover dare una spiegazione a ogni cosa e in qualunque modo.



GUIDO BARBUJANI


Riallacciandomi alla distinzione tra fisica e metafisica, forse si può partire dai sette nani, che come sapete non esistono, e si chiamano Pisolo, Cucciolo, Mammolo, Brontolo, Gongolo, Eolo e Dotto. Li ho detti tutti! Parliamo dei sette nani perchè ci sono delle entità che nel nostro discorso sociale e politico sono più irreali dei sette nani. Per esempio, le razze umane
Sono state studiate seriamente dagli antropologi a partire dal settecento, eppure non c’è mai stato un accordo fino agli anni sessanta del secolo scorso su quante fossero e su come chiamarle. Scienziati seri che avevano in comune l’idea che bisognasse riconoscere all’interno dell’umanità dei gruppi distinti per etichettarli non sono mai riusciti a mettersi d’accordo. Questo è uno dei motivi per cui oggi sappiamo che le razze umane non esistono.


Attenzione: questo non vuol dire che siamo tutti uguali, anzi è l'esatto contrario. Siamo tutti così diversi che ogni tentativo fatto nel corso della storia di dividerci in poche categorie facilmente etichettabili è fallito, perchè siamo fatti tutti in maniera diversa.
Oggi ci sono molti studi sul nostro DNA che fanno capire abbastanza bene che, nell’evoluzione dell’uomo, non c’è mai stata una fase in cui piccoli gruppi umani isolati sono diventati diversi l'uno dall’altro, com’è successo per esempio agli orangotango. Gli orangotango, nostri parenti, sono distinti in due razze ben distinte, noi no. Sarà una fortuna o una sfortuna, ma così è.


E allora, come mai ha una persistenza così forte il concetto di razza? come mai tutti quanti diciamo che Obama è il primo presidente nero degli Stati Uniti d’America anche se da un punto di vista prettamente antropologico è figlio di una donna del Kansas e di un uomo del Kenya, e quindi non è nè nero nè bianco? Perchè il concetto di razza funziona molto a livello di convenzioni sociali. Quello che non è scritto nei nostri geni può essere scritto, anche in maniera più radicale, più profonda, all’interno di convenzioni sociali tra le quali ci muoviamo.
Possiamo insistere su questo tema e dire una cosa che tutti sappiamo: non c’è bisogno che un concetto sia vero, scientificamente solido e fondato, perchè possa agire nel nostro vivere quotidiano, e quindi dobbiamo fare i conti con una parte del nostro pensare che non so bene se sia materiale o immateriale, ma certo produce conseguenze materiali.


Vorrei concludere riallacciandomi al discorso iniziale.
È una storiella molto importante perchè ci illumina sul nostro futuro. In un libro molto bello che si intitola L’ombra della guerraGuido Crainz racconta come, nel '45, i braccianti di Bergamo abbiano ottenuto un piccolo aumento di stipendio. Gli agrari non glielo volevano pagare, protestavano dicendo che, dacché mondo è mondo, la giusta mercede oraria corrisponde a un’ora di lavoro per un chilo di pane. Questo nel '45. Ora, io non so quanto costi il pane a Milano, ma a Ferrara il pane comune costa 5 euro al chilo. E l’equivalente di un chilo di pane all’ora corrisponde allo stipendio che in Italia si paga ai dottorandi di ricerca. Cioè alle persone che, avendo ricevuto il livello di qualificazione massima all’interno dell’università, continuano i loro studi per diventare la futura classe dirigente del paese. A quelli che in futuro dovranno prendere in mano le redini di questo paese, noi oggi diamo una mercede oraria che i braccianti di Bergamo nel '45 non riuscivano più ad accettare.


Secondo me, se queste sono le prospettive, in futuro sarà molto difficile ricostruire non solo la ricerca in Italia, ma anche una cultura in grado di prendere in mano un Paese complesso come il nostro in un secolo complesso come quello in cui ci ritroviamo a vivere.

19 ottobre 2009 Di Silvia Casati

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