Non è la fine della storia profetizzata da Fukuyama vent’anni fa, quella di cui Žižek racconta nel corpus bulimico della sua opera, che cresce di giorno in giorno e sempre più ci appare sponda bibliografica alla mole torreggiante del cosiddetto “gigante di Lubiana” .
No: la storia continua a fare placidamente il suo corso, anche dopo la fine della guerra fredda e in pieno climaterio globalizzante.
È che a furia di gridare “Al lupo! Al lupo!” a qualunque stormir di fronda che venisse dall’esterno delle nostre turrite cittadelle di benessere, abbiamo finito col credere davvero che il lupo fosse un altro, invece che cercarne il pelo e i vizi dentro di noi, e ora che il sistema si sta rivelando corroso sin dalle fondamenta e pare in procinto di implodere, non possiamo far altro che scrivere un bel coccodrillo, sederci sulla sponda del fiume e aspettar di vedere passare il nostro cadavere, sospinto da una corrente impetuosa e con gli occhi sbarrati per la sorpresa.
Referto dell’autopsia: il capitalismo è morto a causa di una dieta dissennata, troppi trigliceridi e fette di salame sugli occhi.
Naturalmente vedere il mondo come un “dentro” contrapposto a un “fuori”, o un “noi” opposto a un “grande altro” qualunque, è molto lacaniano, e quindi molto tipico di Žižek.
Ma quel che conta, con i libri di questo filosofo, è la capacità espositiva, talmente brillante e ricca di suggestioni eterogenee da rischiare a volte di offuscare la densità e la puntualità dei temi che Žižek sceglie di indagare.
Un collage di copertine zizekiane |
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