Tra Beethoven e il pianoforte c’è una correlazione intensissima e continuativa. Anche non tenendo conto delle opere in cui questo strumento romantico per antonomasia si accompagna ad altri – e fra le quali spiccano i celeberrimi cinque concerti per pianoforte e orchestra −, le 32 Sonate per piano solo accompagnano un po’ tutta la vita del grande musicista tedesco. A partire dalle prime tre giovanili dell’Op. 2, scritte attorno ai 25 anni (dal 1793 al ‘95), per concludersi con le sublimi e difficili ultime tre (Op. 109, 110 e 111), composte attorno ai cinquant’anni (dal 1820 al ’22). Tutte quante comunque − come ebbe a sintetizzare felicemente Virginio B. Sala − al di là del fatto di essere molto belle, sono importanti “perché costituirono, in un certo senso, il laboratorio sperimentale del compositore”; cioè attraverso di esse il Maestro di Bonn esplorò via via sempre nuove frontiere della sua creatività, sia dal punto di vista formale che espressivo. Ludwig van Beethoven e un suo manoscritto
Certo, le prime prove in questo senso non sono ancora straordinariamente innovative, in quanto all’inizio del proprio rapportarsi col pianoforte, Beethoven non può fare a meno di ricalcare: Clementi, per un verso, Haydn e Mozart, per un altro. Ma già le tre Sonate dell’Op. 10 ci mostrano un musicista ormai padrone di un’inedita forza e vivacità creativa. Con l’Op. 13, poi, Beethoven entra a far parte del panteon dei grandi musicisti, essendo la “Patetica” (come essa è detta) un autentico capolavoro dalla prima all’ultima nota.
Dopo le due facili Sonate dell’Op. 14 e la classicheggiante Op. 22, giungiamo alle due dell’Op. 27, la seconda delle quali (“Al chiaro di luna”), arcinota, rappresenta una partitura fra le più idolatrate/maltrattate dagli esecutori d’ogni tempo e luogo. Segue l’Op. 28 (“Pastorale”), molto amata e molto eseguita dallo stesso compositore, dalla sonorità profonda di carattere orchestrale. Meno conosciute dal grande pubblico le pur valide tre Sonate dell’Op. 31, e assai meno notevoli delle altre le due dell’Op. 49. L’audace respiro compositivo della Sinfonia “Eroica” si insedia invece, secondo Giorgio Pestelli, nelle Sonate Op. 53 e 57; felice senz’altro la sonata Op. 54, la cui conclusione, a detta di vari critici, si pone come un precoce annuncio delle ultime composizioni beethoveniane per pianoforte.
Dopo una pausa di vuoto creativo (ma solo rispetto al piano), lo strumento principe torna alla ribalta con le felici Sonate Op. 78 e 79. A quarant’anni Beethoven scrive l’Op. 81/a (“Gli addii”), che, nella sua struttura assai essenziale/razionale costituisce a mio avviso il vero e proprio spartiacque che separa/prepara – non tenendo conto della parentesi in cui si iscrive la successiva e melodiosa Op. 90 – le ultime straordinarie cinque Sonate, inaugurate dall’Op. 101, e che proseguono con l’immensa e ardua − interpretativamente parlando − Op. 106 (“Hammerklavier”), per terminare alla grande coi mostri sacri dei tre conclusivi ed indiscussi capolavori pianistico-sonatistici beethoveniani.
Che dire sulle innumerevoli, e spesso ottime, interpretazioni dell’integrale delle Sonate per pianoforte di Ludwig van Beethoven, incise su CD? Rispetto a pianisti del passato (le cosiddette incisioni storiche), il mio apprezzamento va in primis a Backhaus e a Kempff, seguiti da Schnabel. Fra le meno datate, assai ragguardevole mi pare quella di Schiff. Ma forse il miglior interprete delle ultime tre Sonate resta il nostro Pollini. Tuttavia è un recente/interessante − ed economico − cofanetto della Chandos (9 CD al prezzo di 3), quello che suggerirei a chi cercasse una registrazione integrale davvero vivace/arguta. Pianista è il canadese Louis Lortie, la cui incisione delle “Variazioni Eroica” è risultata vincitrice di un prestigioso Edison Award. Lortie è magistrale nell’esprimere la maestosa scrittura del Titano di Bonn senza enfasi virtuosistica; come si rivela in grado di sottolineare con estrema precisione ed equilibrio ogni sfumatura, ogni passaggio complesso, ogni elaborato costrutto armonico. Memorabile il raffinato nitore strumentale de “Al chiaro di luna”, senza una sbavatura l’“Hammerklavier”, semplicemente perfetta la Sonata Op. 54: un autentico coacervo di contrasti tematico-sonori, che non tutti i pianisti sanno gestire con altrettanta bravura. Da non perdere.Louis Lortie
27 gennaio 2011 | Di Francesco Roat |
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