“Il bene si fa ma non si dice e sfruttare le disgrazie degli altri per farsi belli è da vigliacchi”. Si trattava di portare da Firenze ad Assisi, nascosti nella canna della bicicletta, fotografie e materiale per preparare documenti d’identità falsi per coloro che erano costretti a lasciare il paese o che dovevano viverci sotto altre spoglie.
A tutti costoro, spiegò il cardinale, servivano cibo, riparo e documenti contraffatti, e voleva che Gino lo aiutasse. Avrebbe potuto diventare uno dei messaggeri della rete, con il compito di consegnare documenti e altro occorrente in Toscana e nei dintorni. Descritto così, sembrava un compito cucito addosso a Gino. Per gran parte della guerra aveva percorso le strade toscane come portaordini militare in bicicletta, e durante le sue frequenti licenze aveva continuato ad allenarsi e a gareggiare. Se c’era uno che conosceva quelle strade e aveva un buon alibi per percorrerle, quello era Gino Bartali.
“Chi salva una vita salva il mondo intero”, si legge nel Talmud. E, secondo il Talmud, ci sono in ogni generazione 36 uomini ‘Giusti’ da cui dipende il destino dell’umanità - dopo la seconda guerra mondiale il termine Giusti tra le Nazioni è stato adottato per indicare i non ebrei che hanno rischiato la vita per salvare anche un solo ebreo dalla furia nazista.
È sorto così, nel 1962, il Giardino dei Giusti di Gerusalemme in cui si pianta un albero di carrubo a ricordo eterno di un Giusto.
Dal 23 settembre di quest’anno, il 2013, ci sarà un nuovo albero - o una scritta su un muro in mancanza di spazio - in memoria di Gino Bartali che, fino ad ora, è stato per i più il campione del ciclismo italiano, due volte vincitore del Tour de France e a dieci anni di distanza, nel 1938 e nel 1948.
È con un certo stupore che vediamo due nomi stranieri sul libro che ci racconta la storia di questo nostro eroe in incognito.
Sono due fratelli canadesi, Aili e Andres McConnon, che hanno scritto La strada del coraggio e ci spiegano, nella Postfazione, come siano venuti a sapere di Gino Bartali nel 2002, quando Andres, seguendo una giornata del Tour, aveva deciso di fare delle ricerche sui personaggi più famosi di questa competizione, colpito dallo sforzo fisico che i ciclisti dovevano sostenere.
La grandezza di Gino Bartali è racchiusa in questa frase.
Ai giovani di adesso il nome di Gino Bartali dirà poco. Non così a chi ha vissuto gli anni del dopoguerra, quando le occasioni di divertimento erano scarse e il passaggio dei ciclisti lungo il percorso del Giro d’Italia (o anche soltanto per la gara della Milano-Sanremo) era uno spettacolo atteso: l’atmosfera vibrava di un entusiasmo elettrizzante mentre si tifava per quegli uomini che sfrecciavano sudati in bicicletta.
Si aspettava a lungo sul ciglio della strada, i bambini giocavano alle spalle dei genitori, si raccontavano gli ultimi pettegolezzi sui due grandi rivali, Bartali e Coppi.
Su Bartali che iniziava ad essere vecchio per il ciclismo, che rispondeva malamente ai giornalisti, che era stato soprannominato ‘Ginettaccio’, che era amico di De Gasperi e dei preti.
Su Coppi che era più giovane, che scalpitava nel ruolo di gregario, che aveva un’amante, la famosa Dama Bianca (erano i tempi in cui si finiva in prigione per adulterio).
Si parlava di queste cose, di maglia gialla e di maglia rosa, di cronometri e di cadute, e si taceva sull’altra faccia del corridore Ginettaccio, sul suo non essere un baciapile, sull’aver vissuto mettendo in atto i principi della religione che professava. Perché non si sapeva nulla. Perché il vero eroe non si vanta delle sue imprese.
Gino Bartali aveva detto al figlio Andrea, “il bene si fa ma non si dice e sfruttare le disgrazie degli altri per farsi belli è da vigliacchi”.
La grandezza di Gino Bartali è racchiusa in questa frase.
Negli anni più bui della guerra il cardinale Elia Dalla Costa, amico di Bartali, aveva chiesto al corridore se era disposto a fare da messaggero ‘alato’ in una rete clandestina di soccorso per i perseguitati dai fascisti e nazisti: si trattava di portare da Firenze ad Assisi, nascosti nella canna della bicicletta, fotografie e materiale per preparare documenti d’identità falsi per coloro che erano costretti a lasciare il paese o che dovevano viverci sotto altre spoglie.
Gino era sposato, aveva un figlio.
Il cardinale lo aveva avvisato del rischio che correva, se fosse stato scoperto.
Come non ammirare un uomo che sceglie quello che è giusto fare, accada quello che deve accadere?
Il libro dei McConnon è appassionante.
Segue le tappe della vita del corridore dalla sua infanzia (ah, i tempi in cui la bicicletta era il sogno di ogni bambino!), la passione per il ciclismo e le sue evidenti doti per questo sport, le prime gare, il dramma della morte del fratello, le corse più impegnative, le aspirazioni, le vittorie e le sconfitte.
Gino Bartali ritorna in vita nelle pagine del libro dei McConnon che riescono a darci un ritratto completo dell’uomo (Bartali che si innamora, Bartali che prega un Dio in cui crede, Bartali padre), del ciclista con tutti i dettagli delle gare e dei preparativi necessari per queste, e, nello stesso tempo, tracciano un quadro della politica italiana di quegli anni (l’assassinio di Matteotti, Mussolini e la guerra, l’attentato a Togliatti e gli scontri che seguirono).
Perché un Giusto tra le Nazioni deve essere un uomo completo che vive nel suo tempo e non sa che così facendo vivrà anche in eterno.
di Marilia Piccone
Aili e Andres McConnon - La strada del coraggio. Gino Bartali, eroe silenzioso
Titolo originale: Road to Valor: A True Story of World War II Italy, the Nazis and the Cyclist Who Inspired a Nation
Traduzione di Marco Bertoli
340 pag., 18,00 € - Edizioni 66thand2nd 2013 (Vite inattese)
ISBN 9788896538555
• LA BIOGRAFIA DI AILI MCCONNON
• LA BIOGRAFIA DI ANDRES MCCONNON
Durante il biennio fratricida del Novecento italiano, tra il 1943 e il 1944, Gino Bartali percorre decine di volte il tragitto Firenze-Assisi in sella a una bicicletta che nasconde nel telaio fotografie e documenti di identità contraffatti. Per gli ebrei rintanati nei conventi dell'Umbria e della Toscana, quel carico rappresenta l'unica possibilità di salvezza dalla persecuzione nazifascista. Ed è proprio a loro che è destinato, grazie all'attivismo di una rete di soccorso clandestina orchestrata dal cardinale Elia Dalla Costa, amico e guida spirituale di Bartali, allo scopo di favorire l'espatrio degli antifascisti. Negli stessi mesi Gino - al pari dei suoi colleghi costretto all'inattività dalla guerra, dopo aver vinto il Tour de France a soli ventiquattro anni - offre protezione a una famiglia ebrea, i Goldenberg, nascondendola in una cantina. "Ci ha salvato la vita, non ne ho il minimo dubbio" ha poi raccontato agli autori Giorgio Goldenberg, all'epoca bambino. "La strada del coraggio" farebbe arrabbiare Ginettaccio, perché squarcia lo schivo silenzio con cui Bartali - inorridito da ogni forma di encomio e adulazione - ha sempre voluto proteggere questa inattesa e misconosciuta parentesi della sua vita. Ma il rigore mai venato di retorica dei fratelli McConnon è il riconoscimento più sincero che si possa attribuire a un uomo che "ci ha ridato il nostro onore quando eravamo poveri e sfiniti".
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