Un film di Roberto Faenza
Iniziamo l'analisi di questo film con alcune dichiarazioni di Roberto Faenza sulle ragioni e il senso dei suoi Vicerè con cui intende “colmare un vuoto e pagare un tributo”. ‘’Il film offre una radiografia impietosa di questo Paese ma io lo considero un atto d’amore per l’Italia. Sono come un medico che ha scelto di dire la verità al proprio paziente'’.
Un film che parte da lontano, ma parla al presente, inducendo alla riflessione sull’oggi, così simile per tanti aspetti a quel mondo postunitario descritto nel romanzo e ora nel film.
Ed ecco un brano del romanzo estremamente chiarificatore del senso dell’intera storia:
""... Noi siamo troppo volubili e troppo cocciuti ad un tempo. Guardiamo la zia Chiara, prima capace di morire piuttosto che di sposare il marchese, poi un'anima in due corpi con lui, poi in guerra ad oltranza. Guardiamo la zia Lucrezia che, viceversa, fece pazzie per sposare Giulente, poi lo disprezzò come un servo, e adesso è tutta una cosa con lui, fino al punto di far la guerra a me e di spingerlo al ridicolo del fiasco elettorale! Guardiamo, in un altro senso, la stessa Teresa. Per obbedienza filiale, per farsi dar della santa, sposò chi non amava, affrettò la pazzia ed il suicidio del povero Giovannino; e adesso va ad inginocchiarsi tutti i giorni nella cappella della Beata Ximena, dove arde la lampada accesa per la salute del povero cugino! E la Beata Ximena che cosa fu se non una divina cocciuta? Io stesso, il giorno che mi proposi di mutar vita, non vissi se non per prepararmi alla nuova. Ma la storia della nostra famiglia è piena di simili conversioni repentine, di simili ostinazioni nel bene e nel male... Io farei veramente divertire Vostra Eccellenza, scrivendole tutta la cronaca contemporanea con lo stile degli antichi autori: Vostra Eccellenza riconoscerebbe subito che il suo giudizio non è esatto. No, la nostra razza non è degenerata: è sempre la stessa.”
I Vicerè è stato diretto da Roberto Faenza ed è uno dei film più attesi della stagione cinematografica. Per l’anteprima mondiale, la sera del 2 ottobre, si era scelto Bruxelles alla presenza dei parlamentari europei e dei membri della Commissione Europea, in occasione dell'apertura della nuova sede di Sky Italia nella capitale belga.
In passato due grandi registi avevano già pensato alla riduzione cinematografica del romanzo di De Roberto: Luchino Visconti, che poi scelse di lavorare invece su Il Gattopardo di Tomasi di Lampedusa e Roberto Rossellini, di cui restano appunti sulla possibile trasposizione.
Le polemiche sul film di Faenza non sono mancate ancor prima della sua uscita nelle sale. L’esclusione dalla recente Festa del Cinema di Roma è forse ciò che meglio le compendia.
Il regista al di là dei dissapori da lui attribuiti alla mancanza in Italia di una cultura autenticamente laica, vuole sottolineare il valore “didattico” del film. A questo scopo il sito ufficiale ha una sezione dedicata alle proiezioni per le scuole in cui vengono forniti materiali critici di preparazione alla visione, materiali la cui lettura è utile anche allo spettatore generico.
Prossimamente in televisione apparirà anche uno sceneggiato in due puntate, anche se sarà altro dal film. Ecco lo stesso Faenza come presenta i due diversi prodotti: “I Viceré non è nato per la tv. Abbiamo dovuto chiedere l'aiuto della Rai perché era un film molto costoso e da soli non ce l'avremmo fatta a realizzarlo. Ho lavorato parallelamente a un altro prodotto per la televisione sempre intorno alla trama del libro, girato in maniera completamente diversa, con macchine da presa diverse, che s'intitolerà persino in un altro modo”.
La trama
È l'epopea della potente e spietata famiglia catanese degli Uzeda, discendenti dei viceré spagnoli, divorati dalla sete di potere che riflette i vizi della politica e della società italiana: sopraffazione, affarismo, trasformismo. Siamo negli anni tra il 1850 e il 1882 in cui si attraversano le guerre risorgimentali e vi è l'unificazione dell’Italia.
Di questa famiglia ciò che, in molteplici occasioni e di generazione in generazione, emerge è l’avidità, la sete di potere, le meschinità e l’odio che i singoli membri nutrono l'uno per l'altro.
Tutti sono contraddistinti dalla corruzione morale e biologica a causa dei troppi matrimoni tra consanguinei, che si evidenzia anche nelle deformità fisiche.
Partendo dai personaggi si può meglio capire lo spirito e il significato fortemente emblematico di questa epopea:
Consalvo (Alessandro Preziosi), in lotta perenne con il padre che considera responsabile della morte della madre, diventerà il vero erede della stirpe degli Uzeda, discendenti dei vicerè. Molto moderno per la sua complessità e contraddittorietà, farà una scelta imprevedibile ma coerente con la cultura familiare e dei tempi.
Il principe Giacomo (Lando Buzzanca) è il primogenito del casato, vittima dello strapotere della madre, a sua volta diventa carnefice di fratelli e sorelle.
Teresa (Cristiana Capotondi) è la bellissima sorella di Consalvo, dolce e affettuosa, finisce col cedere alla volontà del padre e pur amando, disperatamente riamata, Giovannino accetterà di sposare Michele, il fratello maggiore dell’amato, sgorbio e fisicamente infelice, pur sapendo che la cosa avrebbe distrutto, come avverrà, Giovannino.
Giovannino (Guido Caprino), ama follemente Teresa ma non potrà sposarla perché figlio cadetto e secondo i dettami della nobiltà tale “privilegio” spetta al figlio maggiore. Appassionato, vero personaggio romantico, porrà fine con un gesto tragico alla sua vita.
Donna Ferdinanda (Lucia Bosè) è una donna eccentrica e bizzarra che ha come unico protetto il pronipote Consalvo a cui perdona ogni comportamento, ma non tollererà il suo ingresso in politica al fianco dei progressisti.
Duca Gaspare (Sebastiano Lo Monaco), tipico esempio di trasformismo: pur essendo conservatore, accetta di diventare parlamentare liberale per ambizione e sete di potere dopo essersi barcamenato a lungo tra destra e sinistra, passando da un estremo all’altro.
Conte Raimondo (Franco Branciaroli) fratello di Giacomo, è il preferito dalla madre, anche perché è il più bello della famiglia, cosa che gli garantisce, pur essendo il figlio minore, un patrimonio uguale al primogenito.
Graziella (Giovanna Bozzolo), combatte una sorda lotta per conquistare il cugino Giacomo di cui è innamorata da sempre, ma riuscirà a sposarlo solo dopo la morte di Margherita.
Baldassarre (Biagio Pelligra) è il fratello bastardo di Giacomo, lavora come maggiordomo al suo servizio. Accompagnerà Consalvo in esilio e con il colpo di scena finale, si trasforma in vero simbolo di una presa di coscienza che non tocca mai i potenti.
Donna Margherita (Katia Pietrobelli) è la moglie di Giacomo, madre di Consalvo e di Teresa, sarà spodestata dalla cugina Graziella che prenderà il suo posto nella casa. La sua dolcezza può però apparire, in tante occasioni, vera debolezza nei confronti di chi è dominato dalla febbre del potere.
Chiara (Anna Marcello) è una donna ossessionata dal desiderio di maternità che non riuscirà mai ad assolvere. L’unico figlio che riuscirà a partorire e che verrà lasciato morire subito dopo il parto, è mostruoso ed è il simbolo della decadenza anche biologica di una razza. Chiara adotterà come suo il figlio che il marito Tancredi ha avuto da una serva che lei stessa gli ha offerto come amante.
Ecco il brano di De Roberto in cui viene descritto il parto: “A un tratto le levatrici impallidirono, vedendo disperse le speranze di ricchi regali: dall'alvo sanguinoso veniva fuori un pezzo di carne informe, una cosa innominabile, un pesce col becco, un uccello spiumato; quel mostro senza sesso aveva un occhio solo, tre specie di zampe, ed era ancora vivo”.
Duchessa Radalì (Assumpta Serna) è la madre di Michele e di Giovannino, impedirà le nozze tra Teresa e il suo secondogenito per imporre invece quelle con Michele.
Don Blasco (Pep Cruz), zio di Giacomo era stato costretto per volere materno a farsi monaco. È colui che più di altri è emblema di una Chiesa corrotta e corruttrice. Amante del piacere, beffardo e iracondo, vuole solo arricchirsi e vivere nel lusso. A tal fine cambierà spesso bandiera riuscirà a beffare la sua intera famiglia con un testamento assolutamente imprevedibile.
Lucrezia (Giselda Volodi) sposa, contro il volere di tutti (la madre la voleva zitella) l’avvocato Giulente per poi sottometterlo e umiliarlo. Ancora una volta in questa figura si denuncia l’incongruenza e l’incapacità di amare di una intera stirpe.
Fra Carmelo (Vito) è il fratello bastardo di Don Blasco, gli fa da umile e fedele servitore. Sarà lui l’erede universale del patrimonio di Blasco.
Michele Radalì (Jorge Calvo) sgorbio e rozzo è l’esatto opposto del fratello Giovannino, ma in quanto primogenito sarà erede di titolo e patrimonio familiare.
Cast Artistico
Consalvo - Alessandro Preziosi
Principe Giacomo - Lando Buzzanca
Teresa - Cristiana Capotondi
Donna Ferdinanda - Lucia Bosé
Giovannino - Guido Caprino
Duca Gaspare - Sebastiano Lo Monaco
Conte Raimondo - Franco Branciaroli
Graziella - Giovanna Bozzolo
Baldassarre - Biagio Pelligra
Donna Margherita - Katia Pietrobelli
Chiara - Anna Marcello
Duchessa Radalì - Assumpta Serna
Don Blasco - Pep Cruz
Lucrezia - Giselda Volodi
Fra Carmelo - Vito
Michele Radalì - Jorge Calvo
Cast Tecnico
![]() |
Roberto Faenza
![]() |
Regia e soggetto - Roberto Faenza
Sceneggiatura - Roberto Faenza, Filippo Gentili, Andrea Porporati, Francesco Bruni
Costumi - Milena Canonero (tre volte premio Oscar)
Scenografia - Francesco Frigeri
Direttore della fotografia - Maurizio Calvesi
Musiche - Paolo Buonvino
Produttore -Elda Ferri
Produttore esecutivo - Giulio Cestari
Montaggio - Massimo Fiocchi
Il romanzo di Federico De Roberto
“Ora che l’Italia è fatta dobbiamo fare gli affari nostri”
I Viceré è il titolo del romanzo più importante di Federico De Roberto che ne iniziò la stesura a Milano nel 1894 raccogliendo materiale sulle vicende del risorgimento meridionale, qui narrate attraverso la storia di una nobile famiglia catanese, quella degli Uzeda di Francalanza, discendente da antichi viceré spagnoli della Sicilia ai tempi di Carlo V. Il romanzo è ambientato negli anni tra il 1850 e il 1882, anni in cui mentre si attraversano le guerre risorgimentali e si unifica l’Italia, si svolgono le vicende degli Uzeda. Le tre parti in cui il romanzo è diviso, vedono nella prima la morte della vecchia principessa Teresa, crudele e dispotica fino alla caduta del regno borbonico e l'elezione a deputato di Gaspare Uzeda; la seconda parte si chiude con la presa di Roma e con la conversione al liberalismo di don Blasco; la terza con le prime elezioni a suffragio allargato del 1882 in cui Consalvo, l’ultimo discendente della famiglia, da sempre reazionario e borbonico, finge idee di sinistra per mantenere intatto il suo potere, convinto che i privilegiati devono adattarsi alle nuove situazioni politiche per mantenere intatti dominio e potere. Il romanzo, al momento della sua pubblicazione, passò sotto silenzio sia perché ebbe una critica negativa da parte di Benedetto Croce ostile a tutto ciò che avesse ancora tracce di “verismo”, sia perché subì l’opposizione di due grandi poteri: la Chiesa e la politica., entrambi al centro del romanzo. L’altra istituzione attaccata nel romanzo è il terzo pilastro del perenne spirito conservatore italiano, la famiglia. Ma oltre alla messa a nudo di vizi profondamente radicati in queste istituzioni De Roberto mise in luce il vizio di sempre di noi italiani, il trasformismo. Anche Tomasi di Lampedusa dopo alcuni anni riprenderà questo stesso tema e lo porrà a fondamento del suo capolavoro Il Gattopardo.
Solo nel dopoguerra grazie a Carlo Bo il romanzo di De Roberto venne riproposto all’attenzione della critica e riuscì a superare la stroncatura di Croce, ma non riuscì mai ad essere valutato per quel capolavoro che è.
Grande invece la considerazione di Indro Montanelli per quest’opera che considerava il “nostro più importante racconto storico laico” che però il nostro Paese “per quieto vivere” aveva sempre rifiutato di prendere in considerazione. Leonardo Sciascia aveva messo i Viceré al secondo posto tra i romanzi della letteratura italiana subito dopo I Promessi Sposi e molto recentemente con due convegni a Malta e a Cambridge, De Roberto ha ottenuto il posto che gli spetta nella nostra letteratura.
Indubbia, quasi prodigiosa, la modernità dei Vicerè in cui la saga della famiglia Uzeda diventa metafora di una certa Italia, un Paese dominato da “ex patrizi, ex monaci, borghesi, piccolo-borghesi, commercianti, avvocati, politicanti, sindaci, preti cardinali, mestieranti e servizievoli intellettuali, sempre pronti a prostrarsi ai potenti di turno, salvo lasciare sul carro dei vincitori appena cambia il vento”. (dalla Introduzione di Roberto Faenza alla recente edizione e/o dei Vicerè).
De Roberto sa spietatamente mettere in luce tutti i difetti nazionali, il conformismo, l’acquiescenza, la subordinazione interessata al potente di turno…
Emerge così il fallimento degli ideali risorgimentali come era già avvenuto in altre importanti testimonianze letterarie: dalle novelle Il reverendo, Libertà e da Mastro don Gesualdo del Verga a Pirandello in I vecchi e i giovani, a Tomasi di Lampedusa, nel Gattopardo.
09 novembre 2007 | | Di Grazia Casagrande |