Montagne di panini, pochissime ore di sonno e una lacrima congelata: ecco in tre atti il viaggio in Antartide di Susan Solomon, colei che ha risolto il mistero del buco nell’ozono.
Oggi è tutto chiaro, ma all’epoca, negli anni Ottanta, il buco nell’ozono era un vero e proprio giallo: c’erano un misfatto e qualche indizio, ma mancava il colpevole. Il misfatto era un vero e proprio buco, in corrispondenza del Polo Sud, nello strato di ozono, un gas che racchiude la Terra come fa un guscio di noce con il suo gheriglio. L’ozono protegge il pianeta, e soprattutto i suoi abitanti, dagli effetti nocivi dei raggi ultravioletti provenienti dal Sole. Va da sé che un buco nella coperta era una pessima notizia: significava che gli esseri viventi erano esposti a radiazioni solari pericolose. Un po’ come se vai al mare, ti metti la crema protettiva ma dimentichi di spalmarla su un ginocchio, col risultato che il giorno dopo ti ritrovi con una bella scottatura.
Una volta scoperto che il guscio di ozono aveva un buco, gli scienziati di ogni parte del mondo iniziarono a chiedersi come mai il guscio si fosse rotto, e soprattutto perché proprio al Polo Sud. È a questo punto che entra in scena la nostra protagonista, Susan Solomon: nata a Chicago, laureata in chimica, negli anni Ottanta lavorava al NOAA, l’ente degli Stati Uniti per gli oceani e l’atmosfera. Venuta a conoscenza del problema del buco nell’ozono, Susan si interessò particolarmente a una ben precisa teoria in materia, quella di Mario Molina e di Frank Sherwood Rowland. Secondo loro erano certi composti chimici, chiamati clorofluorocarburi, a danneggiare lo strato di ozono. Ma che cosa sono questi clorofluorocarburi?
Prima di tutto chiamiamoli CFC, che è già più semplice. I CFC sono sostanze che si trovano, per esempio, nelle bombolette spray. Gli elementi che le compongono hanno una struttura che tende a smontare i legami chimici dell’ozono. Metti tanti CFC a contatto con uno strato di ozono, e in breve ti troverai lo strato di ozono bucherellato come uno scolapasta. Il giallo stava nel fatto che il buco si trovasse al Polo Sud, dove non viveva quasi nessuno e certo non si usavano bombolette spray. C’era un solo modo di capire come stessero le cose: andare sotto il buco a controllare di persona. E così fece Susan Solomon.
Nell’agosto del 1986 un gruppetto di scienziati, capitanati da Susan – promotrice e unica donna della spedizione – si spinse fino alla base polare McMurdo, in Antartide, per verificare la composizione chimica dell’atmosfera in quel punto. L’anno seguente il team ripeté l’esperienza per completare la raccolta dei dati. Lavoravano anche venti ore al giorno, per non sprecare neanche un minuto trascorso in quell’ambiente così speciale – l’unico posto dove potevano trovare risposte al mistero del buco nell’ozono. Mangiavano solo panini, perché il Polo Sud non ospita insetti ed è come un grande frigorifero dove i sandwich si conservano benissimo. E una volta, racconta Solomon, mentre era al lavoro sul tetto della base con gli occhi che lacrimavano dal freddo, una lacrima le si congelò all’istante formandole una patina di ghiaccio dentro l’occhio: lavorando al Polo succede anche questo!
Dopo due spedizioni fatte di estenuanti analisi sul campo, infiniti panini e freddo polare, Susan Solomon conosceva la soluzione del mistero. Se l’ozono si era bucato in una zona così distante dai Paesi dove il consumo di CFC era più diffuso, la risposta era… nelle nuvole. Le nuvole dell’Antartide contengono sottili superfici ghiacciate su cui le reazioni chimiche tra i CFC e le molecole di ozono sono più facili e frequenti. Ecco svelato l’arcano!
L’avventura scientifica di Susan Solomon ebbe ripercussioni importantissime: fu proprio nel 1987 che, con il Protocollo di Montreal, molti Paesi iniziarono a limitare la vendita di prodotti contenenti CFC. Nel giro di qualche anno il loro uso fu bandito e, piano piano, il buco si è ridotto. Oggi Solomon è una scienziata importante e lavora all’IPCC, il Gruppo Intergovernativo sui Cambiamenti Climatici: dirige studi cruciali per capire come rallentare la crisi climatica. Ora c’è più che mai bisogno di persone come lei, capaci di portare la scienza sul tavolo delle decisioni politiche globali!
Di
| L'Ippocampo Ragazzi, 2020Di
| Editoriale Scienza, 2023Di
| Editoriale Scienza, 2021Di
| De Agostini, 2020Di
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