Non ti capaciti di quello che sta succedendo, è così, sei uno a cui non può capitare manco una catastrofe, no, manco quella, eh, no qui, che qui non succede mai niente, si ferma tutto davanti alla tua porta, forse è quello che ancora pensi, e puoi startene lì con le mani in mano, così, a rifiutarti di vedere lo spettacolo, ma questo non vuol dire che tu non ne faccia parte
Regione semi rurale della Francia, un paesino tranquillo dove non succede mai niente. Tre case, di cui una abbandonata, e una stalla. Quattro personaggi: Patrice e Marion con la figlia Ida e l’eccentrica vicina Christine accompagnata dal suo cane. Un quartetto legato da rituali quotidiani condivisi ma separato da bugie e segreti. Saranno proprio questi segreti ad irrompere, portati da tre figure misteriose, nel giorno della festa di compleanno a sorpresa di Marion, alterando gli equilibri del gruppo per dare vita ad un thriller letterario di 500 pagine.
Con La festa di compleanno (Feltrinelli), Laurent Mauvignier porta sulle pagine il cliché dell’invasione domestica da parte di sconosciuti, riflesso delle ansie sociali prevalenti, senza cadere nella trappola della visione dicotomica tra male e bene, ordine e caos ma conferendogli una svolta letteraria oscura resa con uno stile impeccabile e travolgente.
In un isolato borgo abitano Patrice e Marion con la figlia Ida e, accanto, una pittrice parigina ritiratasi in campagna: Christine. In questo micromondo irrompe un bel giorno non soltanto un terzetto di personaggi inquietanti, ma il passato di Marion.
Il libro si allontana dalle convenzioni dei thriller: le frasi sono lunghe e labirintiche grazie anche ad una scrittura tortuosa, tanto da raggiungere un effetto ipnotizzante, talvolta cruda ma sempre evocativa. La prosa è densa, costruisce una suspence che obbliga a voltare le pagine, una dopo l’altra, crea tensione e un’immersione totale nel terrore, nella psicopatia e nell’intimità dei personaggi grazie anche ad una voce narrante in terza persona ravvicinata che ne penetra la coscienza.
Con la paura c’è sempre l’idea che una via d’uscita si possa trovare, e finché una via d’uscita è possibile non è niente, niente, mentre il terrore ti impone invece ogni notte lo stesso muro invalicabile, ogni notte lo stesso inferno che ricomincia
Sono innumerevoli i riferimenti al cinema e alla letteratura francese e lo stesso stile di Mauvignier può essere definito cinematografico: scene dettagliate e intense, periodi lunghi che estendono i momenti al limite della sopportazione creando un effetto rallentatore, soprattutto nella prima parte, quasi a voler disinnescare la crescente minaccia per poi svoltare verso una trama sempre più tortuosa e fitta in uno spazio che si restringe fino a diventare claustrofobico. Il lettore intuisce sin dall’inizio che qualcosa di brutto sta per accadere ma non capisce quando, né cosa succederà e soprattutto quanto durerà. Mauvignier è abile a rimandare le risposte a quegli interrogativi che egli stesso instilla nel lettore dilatando così il tempo in modo ansiogeno, un tempo che la narrazione sembra fermare per tornare continuamente indietro e rivisitare gli stessi momenti da angolazioni sempre diverse.
L’aspetto terrificante di quest’opera è la sua quotidianità. Nessun mostro, solo persone normali. Nessuna forza sovrannaturale, solo segreti. Gli unici fantasmi sono quelli del passato. Le informazioni sono solo intraviste e continuamente nascoste, l’intrusione è quanto più minacciosa anche per il lettore perché si trova a condividere la confusione della famiglia stessa.
E allora ritrova il silenzio della notte, come quando era bambino e la madre doveva tranquillizzarlo, dirgli che i morti non si alzano per mangiare i bambini né per giocare con loro, come gli aveva spiegato una sera in cui lui questo temeva e credeva
La narrazione gioca sulle convezioni di genere affrontando argomenti di rilievo quali la mascolinità bianca, le frustrazioni coniugali e la violenza domestica, la divisione e il risentimento di classe, la salute mentale. Tutto si conclude con un colpo di pistola e molti interrogativi in un finale aperto in cui tutti risultano un po' vittime e un po' carnefici.
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