Scritto da un giovanissimo Saramago durante la dittatura fascista di Salazar, sebbene La vedova non abbia quel potere dissacrante e critico nei confronti delle ingiustizie sociali dei suoi successivi capolavori, ci sembra tuttavia anticipare quell’indagine profonda nella complessità dell’animo umano che si troverà nelle sue opere più famose. Un giovane autore, ateo e comunista sotto una dittatura e in uno dei paesi più cattolici d’Europa, mette al centro della narrazione un’indimenticabile figura femminile, dando voce a quel “desiderio inestinguibile” della carne, che convenzioni e obblighi sociali finiranno per schiacciare.
In questa opera giovanile di Saramago ritroviamo il suo peculiare modo di guardare il mondo, la sua straordinaria forza narrativa e un personaggio femminile indimenticabile: c'è già tutto il grande scrittore che conosciamo. La follia, il peccato e l'ossessione della giovane vedova Maria Leonor, dilaniata tra passioni indomabili e obblighi sociali.
Una giovane vedova, Marìa Leonor, donna sola in una società retrograda e antiquata viene delineata attraverso le sfumature dei sentimenti e delle emozioni che sembrano attraversarla come voci a cui sembra soccombere con la sua fragilità e le sue contraddizioni. La follia sembra l’unica possibilità di poter far fronte, come ricettacolo di emozioni contraddittorie, alla disperazione per la morte del marito, alla solitudine e all’apatia che ne consegue, alle notti insonni in cui prendono vita ombre e fantasmi.
Ma ancor più la follia sembra il solo spazio interiore dove rinchiudere la lotta della passione e desiderio contro la colpa e la paura di uno scandalo quando il suo corpo ritornerà a reclamare la vita nella sua pienezza, dopo l’incontro con due figure maschili, il cognato Antònio e il medico laico e filosofo Viegas , che saranno determinanti nel suo destino e per un apparente sforzo di rinascita.
Destino che sembra tuttavia sfuggirle continuamente poiché non più nelle sue mani: la sua devota serva, Benedita, con il suo puritanesimo e rigidità morale, alter ego o doppio di Marìa Leonor, in possesso dei segreti della sua padrona, la terrà in pugno, o così finisce per credere la giovane vedova. In una continua tensione carica di menzogne e silenzi, in un ambiente che si farà soffocante rispecchiando l’animo dei protagonisti, saremo travolti dal duello psicologico fra le due donne divenute nemiche: una con il potere del segreto conosciuto, “custode della moralità della casa”, divenuta persecutrice e silente accusatrice, l’altra succube del senso di colpa e così crudelmente ricattabile.
Anche la natura e gli oggetti quotidiani, nelle intense pagine di Saramago, sembrano farsi interpreti delle emozioni dei personaggi condividendone “quel malessere e le ansiose aspettative”. Così assistiamo alla “festa della terra” che fa da eco alla ripresa della vita dopo il lutto, mentre “la casa assume un’aria conventuale, rassegnata e solenne che intimidisce” con il finire delle feste”, e sul tavolo “persino i bicchieri e i piatti brillano freddamente con severa ostilità” mentre il senso di colpa e il senso di estraneità si fa strada in Marìa Leonor.
La voce che si innalza sopra quella dei principali attori e della natura circostante nella narrazione, è quella di Eros, della pulsione di un corpo “vedovo”, che da voce ad un’assenza, a una mancanza, è quella di un corpo femminile che parla, in anticipo sulle rivendicazioni femministe di decenni posteriori. É la voce di quelle emozioni, che come scrive Freud “se inespresse non muoiono mai, e se sepolte vive sono destinate a riemergere (…).” La vedova sente in sé “l’energia latente della terra in un dispiegarsi infinito di forze occulte e misteriose”, e questo in un’epoca in cui alle donne non era concessa la libertà di ascoltarsi. Sotto i suoi piedi sente “l’ansimare convulso della terra “che le provoca “il terrore assurdo e totale dei primi uomini al primo tuono e alla prima scossa della terra”. Primitività e semplicità di vita a cui anela, dove “era la grande Natura la padrona di tutto”.
Le pagine del romanzo ci portano con sé nel dramma del desiderio represso, nel tormento dell’incomprensione dei doppi sensi e “intenzioni tacite” della serva persecutrice, nella lotta tra moralità e la vitalità della natura umana, in quell’”angoscia voluttuosa” che spinge la giovane donna a voler “dissolvere il corpo e lo spirito nel vino caldo e inebriante che le scorreva nelle vene”, mentre tutto intorno a sé è minaccia e accusa in quell‘ “invisibile brulicare di sospetti discreti”, e dove la sconfitta sembra già essere preannunciata.
Un colpo di scena sembra risolvere, anche se drammaticamente, una situazione di cui non si vedeva una via di uscita. Ma è un colpo di scena a cui la grande tensione emotiva della narrazione ci ha in qualche modo preparati, in un clima di attesa di una catastrofe imminente. Saramago ha ripudiato questo suo romanzo giovanile, che sebbene ancora lontano dalla profondità dei suoi capolavori, ci mostra già in forma primitiva, nella lotta tra pulsione e leggi della moralità di Marìa Leonor, quella denuncia dell’oppressione dell’integralismo religioso e delle dittature che caratterizzeranno il percorso lettereario dell’autore verso una piena libertà intellettuale di scrittura.
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