scienza senza maiuscola

Di brevetti, innovazione e salute, tra realtà e sogno. Un articolo di Fabio Turone

Quando si parla di proprietà intellettuale e di brevetti, ogni proposta di riforma viene fermata nel nome dell'innovazione e del progresso, che i brevetti servirebbero appunto a incoraggiare e premiare. L'innovazione scientifica e tecnologica è senza dubbio importante, ma sono sempre più numerose le voci che lamentano la totale inadeguatezza dell'attuale sistema: persino paludate voci dell'establishment economico-finanziario, come il settimanale britannico Economist, hanno denunciato in anni recenti il fatto che "anche se l'attuale regime dei brevetti opera nel nome del progresso, in realtà fa arretrare l'innovazione".

Al giorno d'oggi, la maggior parte delle tecnologie non è semplicemente frutto dell'idea di un singolo ricercatore: quasi sempre si tratta di "innovazione cumulativa", che si completa nell'arco di più anni. E sempre più spesso capita che il primo che deposita un brevetto abbia buon gioco nel rivendicare per sé un'idea molto ampia ma ancora embrionale, e molto generica, che non è in grado di concretizzare. Chi successivamente lavora sulla stessa idea, magari in modo del tutto indipendente, e fornisce alla soluzione del "puzzle tecnologico" un contributo magari molto più significativo in termini di innovazione, per poter sfruttare commercialmente la propria invenzione si trova a dover pagare lui stesso royalties a chi è arrivato prima, anche se il contributo del detentore del brevetto era modesto.

Questo meccanismo ha fatto moltiplicare il numero dei brevetti, perché le grandi società lo considerano un buon investimento: negli Stati Uniti nel 2019 ne sono stati registrati oltre 350.000, quattro volte più che nel 1980.

Nel campo della tutela della salute questo è particolarmente difficile da accettare, come spiega il farmacologo Silvio Garattini nel suo ultimo libro Brevettare la salute? Una medicina senza mercato:

"Dietro a un vaccino c’è una fittissima rete di centinaia di brevetti e dispositivi simili, molti dei quali sono in mano a diverse aziende ed enti, non sono proprietà di un unico soggetto, cosa che rende molto complesso il processo di richiesta di liberalizzazione delle licenze. Ce ne sono, mi pare, 129 che coprono quanto è necessario per la produzione del pembrolizumab, un anticorpo monoclonale impiegato in oncologia soprattutto contro il melanoma, e 247 per quella di adalimumab, un altro anticorpo monoclonale impiegato invece contro alcune malattie autoimmuni"
(...)
"Prima eravamo in pochi a essere consapevoli di questa situazione tanto complessa e gridavamo inascoltati come Cassandra dai troiani. Oggi invece, proprio a causa della tragedia di Covid-19, ci stiamo rendendo conto, sempre di più, e a diversi livelli, di questa situazione. Purtroppo quello che sta succedendo può ripetersi, anzi si ripeterà, se qualcosa non cambia nel sistema".
Brevettare la salute? Una medicina senza mercato

La salute è un diritto di tutti: un accesso universale alle cure è necessario e possibile.L’epidemia da Covid-19 e la discussione che si è sviluppata attorno alle licenze sui vaccini, ci hanno drammaticamente mostrato che il nostro sistema economico, e in particolare l’istituto del brevetto e della proprietà intellettuale in campo medico, richiedono un prezzo alto da pagare in termini di monopoli e di disuguaglianze. È possibile immaginare un futuro in cui tutti possano godere dei frutti della scienza e della tecnologia eludendo il salato pedaggio che il mercato ci chiede?

Insomma, a Garattini il sistema dei brevetti non piacerebbe neanche se funzionasse davvero, perché rappresenta un ostacolo spesso insormontabile che impedisce a tantissimi malati in tutto il mondo di ricevere tempestivamente le terapie che migliorano o salvano la vita ai più fortunati, come i vaccini contro il virus SARS-COV2:

"Per la salute devono valere regole diverse perché è un bene universale che riguarda ognuno di noi e che riguarda anche la collettività. Quanto più c’è salute, infatti, tanto più una società può raggiungere il fine di migliorare il proprio benessere e quello dei suoi cittadini. Se le attuali regole di mercato, di proprietà intellettuale e di profitto, non garantiscono l’accesso alla salute a tutti i cittadini, forse vanno riformate, fatte evolvere in modo da mettere al centro l’interesse dei pazienti e della società".

È un obiettivo per il quale il decano dei ricercatori clinici italiani, fondatore e tuttora presidente dell'Istituto di ricerche farmacologiche "Mario Negri" di Milano, si batte da sempre, e ancora alla soglia dei 94 anni è disposto a impegnarsi in prima persona (domenica 5 giugno prossimo sarà a Padova a perorare questa causa al CICAP Fest, in dialogo con l'autore di questa rubrica). Dimostra anche così di meritare la definizione di "Guerriero gentile" usata nella recente autobiografia scritta a quattro mani con Roberta Villa, ma un guerriero che non smette di sognare:

"Potrebbe essere l’epoca in cui la medicina non è più un 'mercato', ma un’organizzazione al servizio di chi soffre. Come più volte ho affermato, diversi lettori potrebbero giudicare tutto questo un’ingenuità e un sogno" (...) "Tuttavia, sognare – come ho scritto anche all’inizio di questo libro – è pur sempre possibile, e se sogniamo in molti, i sogni possono diventare realtà".


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