Una delle cose più belle che possono accadere quando intervistiamo un autore è percepirne l’entusiasmo non solo verso il libro che viene a presentarci, cosa più che prevedibile, ma anche verso i libri che gli chiediamo di consigliarci. È quel senso di appartenenza ad una stessa comunità di lettori che ci piace tanto e ce li fa immediatamente sentire più vicini.
Questo entusiasmo lo abbiamo decisamente riscontrato nello scrittore Paolo Di Paolo, che abbiamo intervistato in occasione dell’uscita del suo nuovo libro Romanzo senza umani (Feltrinelli). Potete leggere e ascoltare la nostra intervista qui e leggere la recensione del romanzo qui.
Il consiglio di lettura che ci ha dato ci trova decisamente d’accordo. Ha infatti scelto Il Polacco, romanzo dello scrittore sudafricano John Maxwell Coetzee, Premio Nobel per la letteratura nel 2003, uscito da poche settimane per Einaudi.
Punteggiata di ironia, questa breve storia di amore e differenze coinvolge la poesia, la musica, il linguaggio, il trasporto – quello dei sentimenti e quello indotto da Chopin – e la sua traduzione in parole, e offre un inconsueto ribaltamento del punto di vista, dando voce al «provvido scetticismo» di una moderna Beatrice.
Quando un pianista avanti con gli anni, austero interprete di Chopin e dal nome impronunciabile tanto da essere da tutti chiamato “il Polacco”, conosce Beatriz, donna di mezza età elegante e appartenente alla buona società di Barcellona, nulla fa presagire che si rivedranno ancora. Eppure qualcosa di quell'incontro si è radicato profondamente in lui, che la ricontatta nei mesi successivi facendo di lei la sua musa, corteggiandola con il candore di un uomo che sta invecchiando e sente fremere dentro di sé una passione che pensava impossibile. Novello Dante con la sua Beatrice, si imbarca in una relazione inizialmente a senso unico, che sfocia poi in qualcosa di insperato per entrambi.
Eppure nulla è semplice nel loro rapporto, nulla è come appare. In uno gioco di incomprensioni, ritrosie, cedimenti e vaneggiamenti, il valzer danzato dai due amanti ha la struggente intensità di un notturno e la frizzante ironia di una fantasia.
Un libro tagliente, bruciante che si gioca sulla dicotomia tra aridità e ardore
Tra le pieghe di questa storia d’amore priva di illusioni eppure di una dolcezza disarmante, cogliamo la difficoltà dei due protagonisti di comprendersi nel profondo, costretti ad utilizzare una lingua comune, l’inglese, che nessuno dei due padroneggia.
Eppure riusciranno a toccare le proprie anime, sostituendo i gesti alle parole. Anche grazie ad un epilogo molto particolare, che li metterà in contatto persino dopo l'estremo saluto.
Vale la pena ricordare quanto il tema della lingua sia molto caro a Coetzee, che da anni porta avanti una battaglia per valorizzare l'importanza di potersi esprimere nella propria lingua madre non solo in ambito domestico, cosa per nulla scontata in molti paesi del mondo, in particolare quelli ex-coloniali, dove l'imposizione delle lingue ufficiali e dominanti allontana le persone dalle proprie origini, impoverendo così il patrimonio culturale di intere nazioni.
Non è un caso che Il Polacco sia uscito prima di tutto in lingua spagnola in Argentina e solo successivamente in inglese. Quasi come se lo stesso autore abbia voluto sperimentare e spezzare la barriera linguistica che divide i due amanti del romanzo.
Il finale ha una malinconia devastante perché ci pone la domanda delle domande: “Che cosa resta di noi nel mondo”
Un romanzo breve, appena 128 pagine di intensa narrazione, in cui Coetzee esplora la vita che scorre inesorabile, la predestinazione, l’amore, la diversa percezione che abbiamo di noi stessi rispetto a quella che hanno gli altri, e l’idea di quanto resta di noi dopo la nostra dipartita.
Concetti profondi, che restano con noi ben dopo aver terminato la lettura del libro. Non è forse anche questo che fa grande un romanzo? Questa capacità di accompagnarci per lungo tempo?
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