Il verso giusto

Canzoniere di Hafez Haidar

Illustrazione digitale di Asia Cipolloni studentessa del Liceo Volta di Pavia, 2022

Illustrazione digitale di Asia Cipolloni studentessa del Liceo Volta di Pavia, 2022

C’è un turco, a Shiraz: mi dicesse di sì, a Samarcanda
rinuncio, a Bukhara, per l'indico nero nonnulla che ha in volto.
L’eternità sta nel vino, coppiere, a me versane l’ultima goccia:
lassù non fiorita è radura, non quale a Shiraz riva d’acque.
Ahimè, zingarelli vezzosi! Son gente proterva e tumulto di questa città,
quali turchi festanti a saccheggio di mensa, scompiglio di questo mio cuore.
Ma a bellezza d’amico che giova, se l’amo d’amore imperfetto?
Non sono tocchi, non sono, che valgano a fare un bel volto più bello.
Di liuti parlatemi solo, parlatemi solo di coppe: il segreto
di questo mondo è un enigma che mai saprà scioglier sapienza.
Da quella sempre crescente bellezza ho capito che cosa è l’amore:
perché, come appare Giuseppe, si perde la donna d’Egitto.
E se pur mi disprezzi, non conta, lietissimo sono:
risposta amara fa ancora più dolce un bel labbro di dolce rubino.
Ascoltami, amore: ben più della vita hanno caro,
i giovinetti felici, segreto dal Vecchio dei magi dischiuso.
Sono un filo di perle, poeta, i tuoi versi. Rallegraci dunque cantando,
ché sul tuo canto oggi certo monile di Pleiadi scende.

Traduzione di Stefano Pellò e Gianroberto Scarcia
Da Hafez, Canzoniere, a cura di Stefano Pellò e Gianroberto Scarcia, Ariele 2005
Ottanta canzoni. Testo persiano a fronte

Hafez è, insieme a Omar Khayyâm, il poeta persiano più celebre, più amato e recitato: in Iran è ancor oggi molto popolare, tutti ne sanno recitare lunghi passi a memoria, e si dice che in ogni casa non devono mancare il suo "Canzoniere" e il "Corano". Poeta di un'epoca nella quale il persiano era la lingua franca dell'Asia: Iran, Afghanistan, India musulmana, Mongolia e Cina. Hafez è stato celebrato in Occidente per primo da Goethe, che si ispirò alla sua opera per la composizione del "Divan occidentale-orientale" (1819). Le traduzioni in Occidente da allora si sono moltiplicate. La raccolta completa della sua opera comprende cinquecento poemi (o "ghazal"), dei quali viene qui offerta una scelta. Nel cuore dei suoi versi convive l'amore carnale con quello ideale e mistico, l'amato e Dio si scambiano continuamente le parti. Scrisse: "Non morirà mai chi nel cuore non ha che amore".

A Shiraz, la capitale del Fars (Persia sud-occidentale) vicina alla magnifica Persepoli e alle tombe dei maggiori sovrani persiani (tra gli altri, Ciro il Grande, Serse, Dario I, Artaserse), c’è un luogo in cui migliaia di persone si recano in visita con un libro di poesie: è la tomba di Hafez, immersa nel verde dei Giardini di Musalla. I visitatori sostano assorti, formulano una domanda in silenzio, poi aprono il Canzoniere (Divan) di Hafez che hanno portato con loro, e dai versi traggono il vaticinio. È un rito che si ripete puntualmente anche in casa, durante le più importanti ricorrenze persiane: Yalda (solstizio d’inverno) e Nowruz (festa di inizio anno, che coincide con l’equinozio di primavera). Basterebbe questo per dimostrare l’immediatezza e l’assolutezza con cui le poesie di Hafez, spesso chiamato “Interprete dei misteri”, continuano da secoli a parlare ai persiani, che vi ritrovano la loro memoria e la loro identità, oltre che la bellezza, la musicalità e la perfezione delle composizioni classiche. E trovano un poeta che “anziché essere un uomo perfetto, è perfettamente umano” (Baha al-Din Khorramshahi). Nei versi di Hafez, ha scritto Stefano Pellò, enigmatici al punto di essere considerati “lingua dell’arcano”, “si coglie una vibrante umanità, il senso medievale, ora drammatico ora ironico, della fatica e delle emozioni di una vita vissuta in un mondo terreno pervaso di trascendenza e divenuta, attraverso il filtro poetico, exemplum, ovvero monumento letterario universale”.

Delle vicende terrene di Shams al-Din Mohammad Shirazi, noto con lo pseudonimo poetico di Hafez, cioè “colui che conosce a memoria [il Corano]”, sappiamo poco: nacque tra il 1315 e il 1321 a Shiraz, e vi morì nel 1389 o 1390. Famoso già in vita, fu un poeta di corte, anzi delle corti che si succedettero nella regione del Fars, e nei suoi versi sono numerosi gli accenni a sovrani e altri protagonisti della vita politica dell’epoca. Le edizioni critiche più recenti della sua opera contengono circa cinquecento ghazal, antica forma metrica che in origine indicava sia la poesia amorosa sia brevi componimenti di argomento erotico. Ben presto, però, il carattere profano di questa lirica fu inglobato nella dottrina del sufismo, senza che il ghazal cambiasse il proprio codice espressivo. In pratica, l’elemento secolare e quello mistico si fusero, e proprio questa divenne la caratteristica fondamentale del ghazal persiano, che dal punto di vista tecnico è simile al sonetto, è lungo in media dai 7 ai 10 versi e segue regole compositive rigidamente fissate. L’amore di cui parla il mistico Hafez, dunque, è terreno ed è divino, ed è intimamente congiunto all’idea della Bellezza Divina, di cui la bellezza terrena è il riflesso. È una poesia composta di stratificazioni, intrecci, sovrapposizioni, miscele inestricabili, che colgono contemporaneamente l’aspetto immanente e quello trascendente degli oggetti poetici, di per sé incommensurabili. Sembra impossibile, eppure è questo il prodigio che riesce ad Hafez, rappresentante indiscusso della maturità classica del ghazal e sommo maestro nell’arte di creare versi come “fili di perle”.

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