“Con Elisabetta Sgarbi abbiamo pensato alla possibilità di creare una collana che permettesse di dialogare, parlare attraverso formule facilmente comprensibili per ristabilire un’alleanza tra medico e paziente. Così è nata la collana "La cura"
“Ognuno di noi ricorda quando il medico ci ha preso il polso con la mano e ha incominciato ad auscultare il battito. Il medico eseguiva un'azione clinica, ma era anche un'azione di unione. Il contatto era benefico, sia dal punto di vista fisico che psicologico. Oggi non c'è più bisogno di toccare, di usare il fonendoscopio, perché c'è l'ecografia. Ma in questo immediato rinviare alla tecnologia, si è allargato lo spazio tra medico e paziente. Ecco che allora vanno ritrovati tre aspetti: tempo, parola, spazio”
Con queste parole Gianpaolo Donzelli, pediatra, medico e Presidente della Fondazione Meyer di Firenze, spiega la ricetta, la sua “cura” per tutti noi - persone, medici e pazienti - che apparteniamo a una società alla quale la scienza ha impresso svolte impressionanti, ma ci ha spesso lasciato soli.
E si chiama proprio “La cura” la nuova collana fortemente voluta da Elisabetta Sgarbi assieme allo stesso Professor Donzelli. Così oggi, accanto alla professione di medico, il Professor Donzelli affianca un nuovo mestiere: quello di curatore editoriale.
Un saggio che mira non solo a ripercorrere la storia di un'attività tanto complessa quanto indispensabile, ma anche e soprattutto a delineare il senso ultimo della cura nella comunità di destino. E lo fa cercando di rispondere a un interrogativo che è anche una sfida: può oggi la scienza, e in particolare quella medica, valutare l'essere umano nella sua complessità e, in un futuro che è già qui, accompagnarlo in una evoluzione che si preannuncia radicale?
Buongiorno, professore. Ci racconta com’è nata e si è sviluppata la sua collaborazione con l'Editore?
Nella Fondazione Meyer di cui sono Presidente ho realizzato un Centro Studi che aveva l'obiettivo di avvicinare sempre più l'aspetto medico-tecnologico a quello del vivere quotidiano. Collaborando poi alla realizzazione dell’edizione fiorentina della Milanesiana, con Elisabetta Sgarbi abbiamo pensato alla possibilità di creare una collana che permettesse di dialogare, parlare attraverso formule facilmente comprensibili per ristabilire un’alleanza tra medico e paziente. Così è nata la collana "La cura".
La collana è stata inaugurata dal suo “Medicina inedita”, scritto a quattro mani con il sociologo Pietro Spadafora. Quali altri libri sono in cantiere?
L’uscita successiva è stata "L'esperienza di malattia e spiritualità" scritta a più mani da autori appartenenti a culti diversi: un buddista, un cattolico, un ebreo e altri ancora. Il terzo libro si occuperà invece di un aspetto “materiale” della medicina, parlerà infatti di come costruire un ospedale pediatrico e sarà realizzato da architetti di tutta Italia. La quarta uscita sarà affidata a una psicoterapeuta, Manuela Turci, con un titolo particolare: "L'ospedale delle bambole", ancora da definire, però.
Torniamo al suo “Medicina inedita”: cosa significa, per un medico di lungo corso com’è lei, dar voce a quelle che sono le nuove tendenze della medicina, in un momento storico come questo?
A mio modo di vedere esistono due medicine che vanno a velocità diverse: una medicina a velocità altissima, quella di ricerca, che deve condurre una battaglia contro nuovi virus, attraverso nuove molecole e nuove farmacologie… e poi c’è un'altra medicina, che è stata dimenticata, ed è – appunto - inedita. È la medicina lenta e silenziosa, quella dell'ascolto delle emozioni, quella dello stare accanto al paziente, che vive la presenza di una persona e cammina con lei in un percorso faticoso, spesso in salita.
Quindi è ora che l’antica dialettica salute/malattia lasci spazio a un concetto più fluido? Si tratta di un passaggio culturale prima ancora che scientifico, in questo caso?
Certamente. È necessario un passaggio culturale e sociologico, e non è un caso che “Medicina inedita” sia stato scritto a quattro mani insieme al Dottor Pietro Spadafora che è, appunto, un sociologo. Ben-essere, col trattino (n.d.A.) non significa non avere una malattia, significa "essere bene”, cioè trovare una sintesi, un’armonia tra le parti, spirito e corpo. La nostra società invece ha spesso nascosto, reso “non edite”, alcune di queste parti. Bisogna tornare a una medicina che non guardi più solo all'organo, ma che cerchi di guardare alla persona intera.
In questo senso, il paradigma medico occidentale della cura farebbe bene a cominciare a guardare verso est, cercando una conciliazione con la medicina orientale?
La medicina deve guardare tre cose, secondo me, il tempo, la parola e lo spazio.
TEMPO: ciascuno di noi si affacci e guardi dispiegarsi la propria vita.
Sarà diverso a seconda della persona, della sua età, della complessità della sua vita ma ci sarà sempre qualcosa che ci ha segnato, quando ci siamo ammalati di una malattia grave o quando si è ammalata una persona cara. Ecco, questo è un tempo speciale, verso il quale la nostra medicina finora si è posta unicamente cercando risposte per la cura delle molecole malate.
PAROLA: prima ancora di Ippocrate già Gorgia, allievo di Empedocle, scriveva che le parole sono come i farmaci, possono avvelenare o possono curare. Oggi invece la parola è legata quasi esclusivamente alla descrizione dei segni clinici della malattia. Ma la parola è importante, perché permette al medico di avvicinarsi al paziente e viceversa.
SPAZIO: oggi grazie alla tecnologia riusciamo a fare cose meravigliose che in passato non si sarebbero mai neanche potute immaginare, ma in questo immediato rinvio alla tecnologia, si è allargato lo spazio tra il medico e il paziente.
Le tecniche di cui la medicina promette di avvalersi oggi ci danno la hybris, la superbia di pensare che un giorno non troppo lontano vinceremo tutte le malattie… ma è giusto – prima ancora che possibile - inscriversi in questo orizzonte esistenziale?
Esiste un diritto alla salute e fa parte della nostra costituzione. Penso, però, che l'uomo non possa ritenere di superare qualsivoglia malattia, credo non sarà mai possibile. L'uomo sta continuando a seminare disarmonia e “madre terra”, così è stata definita, da Papa Francesco a Leonardo Boff, viene continuamente calpestata. Pensiamo ai cambiamenti che ci sono stati dal secolo scorso ad oggi: incredibili, fondamentali impressionanti. Siamo riusciti a capire il codice della vita, siamo riusciti a leggere ciascun cromosoma, riusciamo a fare terapia genica, cioè a spostare un gene malato sostituendolo con quello sano, eppure una molecola, un microbo, un "niente" come il coronavirus ha piegato il pianeta, l'ha messo in ginocchio.
Il Professor Donzelli ci ha raccontato di una medicina diversa, possibile. E le sue parole ci hanno fatto sentire la cura in tutte le accezioni che è possibile immaginare per questo bellissimo concetto.
Il Professore si congeda da noi rispondendo a una domanda di Beatrice, giovane specializzanda in Medicina.
Professore, quali pensa siano le doti caratteriali, le soft skills necessarie a un buon medico per creare una relazione empatica con il paziente?
Come dico sempre ai miei studenti, “Se volete essere dei bravi pediatri dovete trovare il bambino dentro di voi, ma anche la donna, la madre. E, una volta che li avrete trovati, restate lì. Così, quando incontrerete una madre e un bambino, la scoperta di quelle persone sarà più facile”.
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